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Creature simili
modernauta.altervista.org, 25 settembre 2020Ho finalmente letto Creature simili e ho capito…
Ho finalmente letto Creature simili. Il dark a Milano negli anni 80, di Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà, ed ho capito che gli skinheads erano un dito nel sedere per tutti quanti. Questo libro è stato pubblicato nel 2013 ma siccome si parla degli anni 80 non è mai troppo tardi per leggerlo e vi consiglio di farlo. L’ho letto tutto d’un fiato nonostante la mia pigrizia.Dalle prime righe si fa subito una fotografia della situazione: “i Funeral Party con le voci di Peter Murphy e Ian Curtis sparate da cassette gracchianti. Le coltellate in via Torino e le fughe dagli skin”.

Il contesto storico della Milano anni 80
Siamo nella Milano anni 80, la Milano da bere, i socialisti di Bettino Craxi al governo e nell’amministrazione comunale. L’Italia usciva con le ossa rotte da una stagione politica violenta, gli anni 70 e del terrorismo, a qualcuno sembrava di tirare un sospiro di sollievo, una boccata d’aria a confronto degli anni passati, ma i ragazzi di strada no, i ragazzi di strada vivevano ancora un disagio. Ed è qui, nella strada, che si incrociano le vite, le amicizie e le rivalità di tutte le sottoculture.

Mode e sottoculture nella Milano anni 80
Negli anni 80 a Milano come nel resto del paese e d’Europa “convivevano” molte realtà: dai punk ai mods, dai dark ai rapper, dagli skinheads ai rockabilly. Ce n’era per tutti. La repressione della polizia era asfissiante e “mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro”. Il punk aveva un approccio nichilista, violento e distruttivo, il dark o “creature simili” (come si definivano i piu impegnati politicamente) era introverso e “quasi costruttivo”, artistico rispetto ai primi. Non a caso (leggendo dalle interviste) molti di quelli che partecipavano alla creazione delle fanzine sono rimaste delle persone creative e in alcuni casi ne è diventata una professione, vedi Andy dei Bluvertigo ad esempio. Quando qui si fa riferimento agli skinheads, si parla di quelli vicini alla destra radicale, solo in qualche caso (mi pare di ricordare) si cita erroneamente la controparte con il nome di “redskin” (dico erroneamente perche a quei tempi solo in Inghilterra stava nascendo un certo orientamento attorno alla band The Redskins, appunto, probabilmente erano degli apolitici).
Nessuno si vedeva di buon occhio l’uno con gli altri, persino tra i stessi dark c’erano quelli che venivano da esperienze vicine al Virus e quelli che vedevi soltanto in altri contesti come discoteche, pub ed altri eventi, ma come diceva qualcuno “quando vedevi gli skin dovevi cambiare strada”. Mi fermo qui altrimenti potrei spoilerare troppo, ma spero di avervi stuzzicato la voglia di leggerlo, anche se come me non si è di Milano.
Ringrazio Eli R. per avermi dato questo libro.
di Davide
blog.crombiemedia.com, 16 giugno 2020 Creature simili - Il dark a Milano negli anni ottanta
Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta è un saggio dal taglio spiccatamente sociologico e allo stesso tempo appassionante e discorsivo che racconta la nascita e lo sviluppo della sottocultura post-punk nel capoluogo lombardo, città particolarmente ricettiva alle avanguardie provenienti dal resto d’Europa.
Gli autori, Simone Tosoni – ricercatore dei processi culturali all’Università Cattolica di Milano – ed Emanuela Zuccalà – giornalista, scrittrice e documentarista – hanno raccolto una serie di testimonianze dei protagonisti di una stagione che si svolge attraverso gli anni ’80, intrecciandosi con il punk, affermatosi in Italia quando la prima ondata britannica era peraltro già esaurita, e rivivificato nel nostro paese da una reinterpretazione molto appassionata e personale.
Creature simili è infatti la poetica definizione che i dark milanesi più politicizzati hanno scelto per se stessi, operando una differenziazione da un punk in cui non si riconoscevano più, o non si riconoscevano abbastanza: simili ai punk, ma non uguali.
Prendendo le mosse dalla terminologia, “dark” è una definizione adottata esclusivamente in Italia: negli altri paesi non esiste, e coloro che alla sottocultura sono appartenuti la utilizzano per comodità. La definizione universale è post-punk o, più propriamente, goth.
Come in tutte le storie che parlano di sottoculture o di scene musicali, i momenti più affascinanti sono gli inizi, e Creature simili non fa eccezione. Le pagine dedicate alla nascita della scena restituiscono una Milano plumbea, chiusa nelle sue periferie operaie in cui molto ancora contano le locali sezioni di partito, da una parte; vacua, sfavillante e impaziente di togliersi di dosso gli anni della lotta armata, dall’altra. Non è un caso che siano proprio gli anni ’80 il periodo che vede la nascita delle prime TV commerciali e l’imposizione di uno stile di vita colorato e vincente, fatto di soldi, aperitivi, cocaina, apparenza.
I ragazzi milanesi, spesso cresciuti in austere periferie, che non si riconoscono in questo nuovo modello culturale, diventano punk. La repressione dei movimenti politici in seguito al terrorismo era stata durissima, e la diffusione dell’eroina aveva fatto il resto. Le immagini struggenti dello sgombero del centro sociale Virus nel 1987, luogo di aggregazione politica, culturale e musicale, visibili nel documentario Punx – Creatività e rabbia (2006), forniscono l’idea esatta della fine di un’epoca.
L’operazione che investe la città di Milano negli anni ’80 è la messa in pratica di un vero e proprio progetto di normalizzazione, che reprime – letteralmente, spesso con metodi polizieschi – tutto ciò che è alternativo, e quindi potenzialmente sovversivo, e getta le basi per fenomeni cui assistiamo in modo compiuto ai giorni nostri.
La massificazione dei gusti, la spinta al conformismo individualista, la gentrificazione edilizia sono nati in quegli anni. Le forme di comunicazione, confronto e aggregazione sviluppatesi negli anni ’70 vengono erose a favore di un ritorno alla dimensione privata e disimpegnata: il “riflusso”.
In un contesto del genere, il post-punk inizia il suo percorso difforme; un percorso simile a quello già intrapreso dal punk.
La lotta iniziale sostenuta dai punk milanesi che gravitano attorno al Virus e che possiedono un pensiero politico di matrice anarchica, è diretta proprio contro i compagni delle sezioni e dei circoli giovanili comunisti, da cui alcuni di loro provengono e che hanno abbandonato per noia e stanchezza. D’altro canto, sezioni e circoli non vedono affatto di buon occhio questa gente disorganizzata, rasata e vestita di nero, che nella loro rigidità equiparano a fascisti.
Al Virus, fare politica è tutt’uno con il fare musica, arte, ma soprattutto comprendere, prima e meglio di altri, che il futuro è illuminato da una luce cupa, preannunciato dalle morti per droga e Aids, incidenti e suicidi. La militanza politica degli occupanti dei centri sociali perennemente sotto assedio e a rischio continuo di sgombero è fatta di mobilitazioni costanti, e qui si prefigura la prima e più importante differenza tra il punk dei centri sociali e la scena post-punk: quest’ultima vive la ribellione a livello interiore e individuale.
Le band più amate dalle “creature simili” – Siouxie and the Banshees, Bauhaus, Joy Division e Killing Joke, per fare qualche nome – non hanno testi politicizzati. Tuttavia, la loro visione del mondo è incentrata su un senso di rivolta contraddistinto da introversione e ricerca estetica.
Entrambe le sottoculture – punk e post-punk – provengono dal Regno Unito, entrambe si pongono in maniera antagonista rispetto all’ambiente circostante: ciò che il punk politicizzato non riesce ad accettare, però, è proprio il diverso modo in cui in ambito post-punk si vive l’antagonismo.
Il post-punk è una constatazione del declino. Per usare le parole di Joykix, uno degli intervistati del libro, attivista e artista visivo protagonista delle lotte del Virus:
Sia il punk che il dark avevano interiorizzato la repressione, solo che mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro. Il dark era più autodistruttivo che aggressivo verso l’esterno.
Non so cosa sia meglio o peggio: comunque rappresentava una critica molto forte ai modelli dominanti.
Il non allineamento dark si manifesta attraverso l’abbigliamento, sia nella sua versione più minimalista delle origini, sia nella più teatrale variante goth. Le botte che i dark prendono in certe zone di Milano frequentate da paninari o skinhead di destra sono vere quanto quelle prese dai punk.
In un’epoca in cui la possibilità di informazioni reperibili in rete era ancora fantascienza, i misteriosi canali comunicativi fatti di passaparola, cassette duplicate e libri che passavano di mano in mano, l’immaginario dark si alimenta delle raccolte poetiche di Baudelaire, dei romanzi di Camus (uno su tutti, Lo straniero, che ha ispirato il brano dei Cure Killing An Arab, del cinema espressionista tedesco e dell’iconografia di Weimar in genere, che hanno costituito un’immensa fonte di ispirazione estetica. La stessa furia implosa della musica dei Joy Division segna un superamento ormai definitivo del punk.
La grande attenzione per l’estetica e il gusto decadente si esprimono attraverso fanzine dalle grafiche oscure e bellissime, come “Hydra Mentale” e “Amen”, che meriterebbero davvero un articolo a parte per come hanno modellato il gusto e l’immaginario alternativi.
Un ulteriore elemento distintivo del dark risiede nella rappresentazione non convenzionale della mascolinità. In aperto contrasto con la rudezza dei punk o degli skin, gli uomini dark si truccano, soprattutto gli occhi, e spesso vengono tacciati di omosessualità in un contesto generale ancora molto patriarcale e reazionario sulle questioni sessuali e di genere.
Nell’ambiente dark vige grande rispetto nei confronti delle donne, e anche uomini eterosessuali non hanno timore di mostrare il loro lato più femminile.
Creature simili è un testo corposo e ricchissimo di testimonianze di intervistati che raccontano in modo coinvolgente la propria adolescenza e la scoperta di questo mondo oscuro e meraviglioso: molti di loro sono diventati musicisti noti e innovativi (Andy dei Bluvertigo, Garbo) e altri sono tuttora artisti concettuali o visivi.
Invitando alla lettura di questo saggio scorrevole e intenso, concludiamo con le parole di Donatella Bartolomei, artista, a parere di chi scrive le più emozionanti, che davvero spiegano tutto:
Sono cambiata tante volte nel corso degli anni, eppure la Donatella di oggi la sento molto più vicina al mio periodo dark di fine anni ottanta che alla Donatella che aveva venti o trent’anni.
di Letizia Lucangeli
Il Giorno, 13 marzo 2019 Milano, dal punk alla trap: ecco come cambiano le tribù giovanili
Simone Tosoni, 47 anni e professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica di Milano, è uno dei pochi ad occupasi, dentro un ateneo, di subculture giovanili. «Il prefisso sub non ha connotazione negativa ma indica un approccio culturale specifico che distingue un gruppo da altri» precisa il professor Tosoni. Con la giornalista Emanuela Zuccalà nel 2013 ha pubblicato, per i tipi di Agenzia X, Creature simili. Il dark a Milano negli anni Ottanta. Un libro seminale in Italia perché se in Inghilterra i cultural studies su punk e rave proseguono ininterrotti da decenni, in Italia siamo fermi per gli studi sulle subculture agli anni Settanta. Il vuoto accademico scatta con il periodo del riflusso degli anni ’80 quando «le forme di appartenenza giovanili vennero concepite negativamente come forme di chiusura nell’individuale». Per Tosoni «non è vero che non siano sociologicamente interessanti. Fioriscono o tante forme di identità collettive permeate da un forte investimento identitario». In quelle subculture c’è un legame forte con la musica ma è ancora più fondamentale «la visibilità nello spazio urbano pubblico». Milano anni ’80. Il centro si presentava lottizzato da almeno cinque «tribù» giovanili. Oltre a rockabilly, metallari e skin, le due principali sono il punk nelle sue varie diramazioni (incluso il dark per Tosoni) e i paninari. I punk propugnano «valori opposti all’individualismo, al consumismo, al successo». E lo denunciano subito con un abbigliamento che per i punk è a base di pantaloni stracciati, pelle, borchie e una pettinatura da mohicano (la famosa cresta) mentre per i dark coincide con l’uotfit nero. «Il messaggio è di shock, la volontà è quella di rimarcare immediatamente di non fare parte di una cultura allineata». Seguire una grammatica vestimentaria è decisivo anche per i paninari, dai valori opposti ai punk «all’insegna della celebrazione». S’incontrano in San Babila e sono riconoscibilissimi per giubbotti imbottiti, scarponi, jeans. «Nel loro outfit tutto doveva essere di marca. Il sociologo Thorstein Veblen parlerebbe di costume vistoso, dimostrare attraverso quello che indosso la capacità di acquisto». Musicalmente fanno riferimento a un collage di successi, dai Duran Duran a Vasco Rossi. A partire dagli anni ’90 si verificano cambiamenti che perdurano: «Non è più così importante occupare la strada. Le subculture da urbane diventano da tempo libero, viaggiano nei club e nei locali». Il vero paradosso è che «non sono più solo giovanili perché reclutano nuovi membri lasciando dentro gli “storici”». I dark o i metallari oggi vanno dai 15 ai 60 anni. Il modello è liquido: «Presuppongono coinvolgimenti in pratiche subculturali temporanee. Appartenenti a mondi diversi si trovano in un locale, per una serata, e poi si dividono». Le nuove tribù? Ci sono gli hipster animati da citazionismo post moderno e forte appartenenza ai quartieri come l’Isola. O la famosissima trap. Dopo la tragedia di Corinaldo si accompagna a un forte allarme morale. Non è niente di nuovo sotto i cieli della sociologia: «Non ho studiato a fondo la trap ma il panico morale è una costante ad ogni nuova andata giovanile e musicale», assicura Tosoni.
di Annamaria Lazzari
www.ultimavoce.it, 22 novembre 2017 Creature simili
“Siamo a Milano. La Milano degli anni ottanta che si odia o si ama, adesso come allora, senza vie di mezzo. E loro sono una macchia nera tra gente colorata, intolleranti a conformismi ed etichette, compresa quella con cui finiscono per essere conosciuti: dark. Preferiscono, semmai, essere chiamati gothic o post-punk. Oppure Creature simili, un nome che ci è piaciuto così tanto da sceglierlo come titolo di questo libro, anche se indicava solo l’ala più impegnata del movimento, vicina all’attivismo politico e specializzata in ‘attacchi mentali’.” Comincia così Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta (Milano 2013, Agenzia X), firmato dal sociologo Simone Tosoni e dalla giornalista Emanuela Zuccalà. Un testo chiave per comprendere cosa sia stata la subcultura dark in Italia. “Subcultura” in un senso assolutamente non spregiativo, come visione del mondo distinta da quella dominante, eppure vivente al suo fianco. Il fenomeno era eterogeneo; consisteva in modi di rilanciare e arricchire l’eredità punk. Possiamo definirlo come un linguaggio comune (nell’aspetto fisico, nelle letture e nella musica predilette) di origini britanniche. La subcultura dark era l’ombra di un periodo storico. Un periodo di individualismo, spesso deteriorato nella competizione sfrenata; di speculazione immobiliare e dell’espulsione in periferia dei ceti più bassi; del boom della moda, della pubblicità e delle televisioni private in decollo; della Milano “capitale europea”. Il tutto con un sottofondo di disagio. La seconda metà degli anni Settanta era stata vissuta sotto una cappa di pesantezza, per via del terrorismo, del controllo poliziesco su movimenti politici e libertà personali, dell’eroina divenuta droga di massa. Ne derivò il cosiddetto “riflusso”: il rifiuto radicale della vita pubblica e dell’impegno politico. Si creò una sorta di “schizofrenia”: una soffocante mancanza di socialità, unita all’ideale del benessere consumistico. Per i più giovani, si trattava di riuscire ad attraversare questo deserto. A ciò servivano le subculture: ad esaltare esasperatamente lo spirito dei tempi (come facevano paninari e sanbabilini), o a contrapporvisi (al modo di punk e post-punk). Pur trovandosi nella posizione di emarginati e inferociti, i punk si scontravano non poche volte con la sinistra extraparlamentare, per i quali erano “cani sciolti” o addirittura confondibili coi fascisti. La nozione di “politico”, per i punk, consisteva nel mettere al centro la vita quotidiana. Non progettare una rivoluzione futura, ma prendersi qui e ora ciò che serve. Conquistare spazi per radunarsi, costruirsi il proprio mondo. Spontaneismo? Certo, ma nato da una lettura lucida del presente. Un presente che, se è fatto di sconfitta, non per questo esclude lo scontro, come valore etico autonomo. Lo spirito dark nacque da una versione più emotiva, intimista e crepuscolare di questa controcultura. Non erano punk, ma “Creature simili” a loro. Appunto. Questo fu il nome del collettivo che radunò i frequentatori “eterodossi” del centro sociale Virus, dal 1984. Se il Virus era il punto di ritrovo punk per eccellenza, i dark s’incontravano presso lo Helter Skelter, luogo autogestito all’interno del Circolo Leoncavallo e attivo dal 1984 al 1987. Nel 1984, verrà rifondata anche la discoteca di via Redi 2, col nome di Hysterika: altro luogo-simbolo del dark milanese. Essere gothic significava anche esprimersi tramite riviste: produzioni individuali a tirata limitatissima, o progetti collettivi a distribuzione nazionale. Non mancava la formula della fanzine, modo per tenersi aggiornati sui nuovi prodotti culturali e stringere amicizie di penna. La prima e principale “darkzine” italiana fu “Amen”: otto numeri tra il 1983 e il 1988, ognuno con musicassetta allegata. Già, la musica… Parte integrante di ogni subcultura. Per qualcuno, il rock dark nacque con l’album The Scream, di Siouxsie and the Banshees (1978). Per altri, con Unknown Pleasures dei Joy Division (1979). Oppure, con la trilogia dei Cure: Seventeen Seconds, Faith e Pornography, usciti tra il 1980 e il 1982. Nel 1979, comparve anche il famosissimo Bela Lugosi’s Dead, singolo dei Bauhaus divenuto simbolo. L’inarrestabile ondata comprese però molti altri gruppi: Christian Death, Virgin Prunes, Alien Sex Fiend, Sisters of Mercy, Cult, Jesus & Mary Chain, The Danse Society… Poi, la letteratura. Numi dark furono E.A. Poe, Ch. Baudelaire, Oscar Wilde, J.P. Sartre, S. de Beauvoir, F. Kafka, A. Rimbaud, G. Orwell, P.K. Dick, R. Bradbury… Vero e proprio cult fu Lo straniero di A. Camus, che ispirò la contestatissima Killing An Arab dei Cure. Così come Poe suggerì materiale a Siouxsie, Kafka di nuovo ai Cure… Musica, letteratura e cinema si parlavano. Così come lo spirito dark ha saputo parlare a lungo, al contrario di meteore quali i paninari. È confluito in altri generi e fenomeni, in un sistema socioeconomico divenuto capace di “digerire” molte presunte “difformità”. Non essendo legato a un luogo o a un’ideologia circoscritti, il gothic possiede la capacità di essere ovunque e in ogni tempo. Ovunque ci siano anime urlanti.
di Erica Gazzoldi
La Voce di Mantova, 8 novembre 2015 Creature simili a Mantova
Questa domenica il gruppo di Dj della Dark Side of Brescia torna all’Arci Virgilio di Mantova organizzando uno speciale “aperitivo” in nero”. Il circolodi vicolo Ospitale aprirà già alle 17 con l’eposizione di alcune bancarelle speciali tra cui Origami Hats & Bijoux, T-shirt for Zombies e GLB Riflessi. Dalle 19.30 verrà presentato Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta. Uscito per la casa editrice Agenzia X, il libro che racconta la più folkloristicamente nota – e meno seriamente compresa – tra le controculture urbane degli anni ottanta. Lo fa attraverso il dialogo con i protagonisti di quella stagione, interpellando anche testimoni privilegiati come musicisti (l’ex Bluvertigo Andy, i 2+2=5, Garbo), dj (Pino Carafa dell’Hysterika, Roy del Rainbow) e animatori culturali (Angela Valcavi, fondatrice della prima fanzine dark “Amen” ed Emanuela Zini di “Batty’s Tears). Dal Leoncavallo a discoteche come l’Hysterika e il Viridis, dalle periferie ai ritrovi come la Fiera di Sinigaglia, dagli scontri con paninari e skin alle trasferte verso i Funeral Party: quattordici capitoli tematici che restituiscono il clima della Milano schizofrenica degli anni Ottanta. E rivelano quanto il dark di allora abbia influito sul contemporaneo. Dopo la presentazione spazio all’aperitivo vero e proprio con un menù a buffet a tema rigorosamente goth; contemporaneamente andrà in scena il dj set di “Dandy Noir” e della “Farfalle nere”, già animatori di decine di serate nel bresciano e nell’Alto Mantovano: una selezione di dark, new wave, post punk, gothic rock, ebm, industrial per continuare la serata in pieno spirito dark wave. L’ingresso all’evento è gratuito con tessera arci.
di ema.b.
www.versacrum.com, 19 novembre 2014 Some Wear Leather, Some Wear Lace
Sembra essere un ottimo momento per il Goth: l’inizio di un periodo di seria documentazione, o almeno ci piacerebbe sperarlo. In Italia è uscito per Agenzia X il sapiente e dettagliatissimo Creature simili, un lavoro di cesello sulla storia e le storie individuali del dark a Milano negli anni Ottanta, il risultato di quattro anni di interviste e ricerche del sociologo Simone Tosoni e della giornalista Emanuela Zuccalà. Ho avuto la fortuna di seguire la creazione di entrambi i libri, usciti circa nello stesso momento, e che appaiono complementari negli intenti: racconti nel libro italiano, volti nell’elegante libro fotografico Some Wear Leather, Some Wear Lace, pubblicato dalla studentessa di design di NY Andi Harriman e dalla giovane storica olandese Marloes Bontje. Le due ragazze non hanno vissuto in prima persona il fenomeno della nascita del dark, ed è quindi ancora più affascinante il loro gusto e la loro attenzione nel selezionare le foto più significative di un’epoca della quale non hanno ricordi diretti, scelte da un’infinità di materiale inviato loro da tutto il mondo (ricordiamo che il libro è stato pubblicato grazie a un progetto di crowdfunding, ma è già alla seconda ristampa – si vedeva già dalle prime bozze e dall’entusiasmo delle due autrici che questo era un progetto su cui scommettere). Certo, esistono già libri di questo tipo, ma tendono ad essere bruttarelli, o a contenere le solite foto viste e straviste di musicisti goth (un paio di questi libri prende polvere nella mia libreria, probabilmente anche nella vostra; li abbiamo acquistati ai tempi in cui già ci sembrava un traguardo che esistessero libri sul Goth, e ce li facevamo bastare…). Harriman e Bontje puntano invece in primis sull’eleganza e sulla sobrietà del libro. Sfondi bianchi o neri con un font moderno e molto leggibile, un look minimalista; l’occhio non va stancato con decorazioni, ghirigori, pipistrellini eccetera come in certi altri libri, particolarmente di provenienza britannica. Tutta l’attenzione deve andare alle foto, che sono divise per nazione, ciascuna con un interessante testo che racconta delle piccole differenze locali nell’idea del Goth. Tornano alla vita, un po’ rovinate, qualcuna sbiadita, qualcuna conservata male per trent’anni ma che era semplicemente troppo bella per non farla vedere a tutto il mondo, ombre di perfetti sconosciuti (e ogni tanto di volti conosciutissimi, ma in foto inedite: una giovane Siouxsie che si atteggia a vampirona sexy spalmandosi sulla parete della… toilette di una discoteca ci fa sentire un po’ “Siouxsie è tutte noi”). Personalmente trovo meravigliosi tutti gli alteri e compassati góticos della movida spagnola anni Ottanta, ma ogni nazione ha davvero dato del suo meglio, e l’idea di dividere geograficamente le foto fa emergere davvero le piccole, riconoscibili variazioni dei look (i batcaver losangelini, i tedeschi un filo più tendenti ai pizzi e trine, gli inglesi e il loro problema con il cerone…). Molto divertente una sezione finale di foto di stivali, stivaletti e puntalini che vi porterà irresistibilmente a giocare a “ce l’ho – mi manca” e a riguardare nell’armadio. Il libro è attualmente “on tour” con party in varie città del mondo; New York e Berlino sono già coperte, ci piacerebbe vederne uno in Italia. Inoltre, vista la montagna di materiale a disposizione e il fatto che le autrici sono costantemente in contatto con il pubblico tramite la pagina http://www.postpunkproject.com/, è probabile che vedremo nascere un secondo volume, e chissà, magari ancora altri. Dopo trent’anni, il goth merita la nascita di una documentazione contemporaneamente bella e utile, e di reale valore storico e sociologico. Some Wear Leather, Some Wear Lace di Andi Harriman & Marloes Bontje (Intellect, Bristol, 2014).
di Licht und Blindheit (Paola Sorrentino)
www.omero.it, 2 settembre 2014 Creature simili: «Mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro»
Che cosa ha significato essere dark a Milano, negli anni ’80? Lo spiegano Simone Tosoni, docente e ricercatore in Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano, ed Emanuela Zuccalà, giornalista e scrittrice, nel libro Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta. Loro c’erano, e si sente! A di là dell’analisi sociologica, il libro è vivo, ricco di foto e interviste a coloro che hanno contribuito a creare la scena, testimonianze di vita vissuta che ci portano alla scoperta di un’epoca e di una cultura che si differenziava dal mainstream creando un’identità collettiva fatta di abiti neri, immaginario oscuro, contaminazioni letterarie, coscienza politica e ribellione. Ho fatto due chiacchiere con gli autori, in attesa di incontrarli di nuovo sabato sera per la presentazione del libro alla Saponeria di Roma.

Da dove è nato il desiderio di scrivere questo saggio?
Il desiderio di scrivere questo il libro credo che ce lo portassimo dietro tutti e due da un bel po’: anche se negli anni ’80 abbiamo vissuto l’appartenenza alla subcultura che raccontiamo nel libro in modo abbastanza defilato (eravamo quelli che chiamiamo “dark isolati di provincia”), è stata per noi un’esperienza importante, che ha lasciato il segno su quello che siamo stati e che siamo. Avevamo quindi una gran voglia di tornare a riflettere su quegli anni, per capire che cosa fosse successo, che senso avesse avuto quell’esperienza. A queste motivazioni personali aggiungi anche un interesse accademico: io mi occupo di sociologia della cultura, e in Italia – a differenza dell’Inghilterra, ad esempio – non c’è mai stata una grandissima attenzione per le controculture giovanili, e praticamente nessuna per quella goth – o dark, come si chiamava da noi. In sostanza, c’era un buco da riempire. A darci però la spinta finale è stata una mostra fotografica intitolata “We Were Werewolves”, tenuta al Mono di Milano, di fotografie di quegli anni. Siamo partiti proprio da lì per lavorare al libro: Dave, che è uno dei proprietari del locale, è anche uno dei nostri intervistati, e ci ha collaborato attivamente alle prime fasi del libro.

Come avete scelto il titolo?
Volevamo evitare di usare la parola “dark” nel titolo, perché si tratta di un’etichetta che in quegli anni non piaceva a nessuno. L’abbiamo usata solo nel sottotitolo, giusto per far capire di cosa parla il libro. Quando abbiamo sentito i nostri intervistati parlarci delle Creature simili, un collettivo che rappresentava l’anima più politicizzata del post-punk milanese e un punto di riferimento fondamentale per il dark milanese, il nome ci è piaciuto subito tantissimo, e abbiamo deciso di usarlo come titolo. Ma ovviamente nel libro chiariamo come “Creature simili” e dark non siano sinonimi.

Cosa significava essere parte di una subcultura giovanile nella Milano da bere degli anni ’80?
Questa è una domanda a cui faccio fatica a risponderti in poche righe! Nel libro, cerchiamo di farlo in quasi trecento pagine, e nella prima versione del lavoro, che ha fatto saltare il nostro editore sulla sedia, le pagine era addirittura quattrocentocinquanta! Diciamo questo: non ha significato per tutti la stessa cosa. Ha avuto sfumature diverse a seconda del giro cui si apparteneva, e alla generazione di riferimento: un conto è affacciarsi nell’ambiente nella prima metà degli anni ’80, e un conto è arrivarci più tardi. Allo stesso modo, un conto è appartenere al giro dei locali e delle discoteche, un conto è essere un dark isolato di provincia, e un conto è frequentare il giro delle Creature simili, anche se tra tutti questi circuiti c’è ovviamente circolazione e scambio. In tutti i casi però, si è trattato di cercare un modo di darsi una forma che non fosse omologata ai modelli di identità e ai valori che venivano proposti nella fase del riflusso e dell’edonismo casereccio degli anni ’80.

Ha ancora senso nel 2014 parlare di subculture?
Per molti antropologi e sociologi non più, o almeno non in quel modo. Oggi si fa fatica a riconoscere un’unica monolitica cultura dominante rispetto alla quale essere “sub” o “contro”. Anche i modi di appartenere sono cambiati: abbiamo appartenenze fluide, multiple, temporanee. Diciamo che quello che resta è la necessità critica di prendere le distanze rispetto a valori e identità in cui non ci riconosciamo. Le strategie per farlo sono però tutte da inventare. Come è giusto che sia.

Avete fatto numerose presentazioni in giro per l’Italia, l’ultima sarà sabato 6 alla Saponeria di Roma. Com’è di solito l’accoglienza del pubblico?
È ottima, per questo continuiamo a farle. È ottima innanzitutto e ovviamente nei luoghi ancora legati a questa subcultura, dove siamo sempre seguiti con attenzione e partecipazione: la gente si riconosce anche se viveva ben lontano da Milano. Continuiamo a ricevere mail da tutta Italia dove i nostri lettori ci raccontano di come la lettura del libro sia stata emozionante, e qualche volta addirittura un po’ dolorosa. Siamo però rimasti sorpresi anche dall’accoglienza in ambienti che non hanno niente a che vedere con il giro dark: mi ricordo in particolare della presentazione che abbiamo fatto l’anno scorso al Festival di Tropea, dove avevamo una platea composta soprattutto di ragazzini di dodici, tredici, quattordici anni, che certo non potevano riconoscersi nel dark, ma che sicuramente si sono riconosciuti nell’esigenza che ci stava dietro, quella di non omologarsi a ciò in cui non si crede. E la stessa cosa si è ripetuta quest’anno ad Ostuni, dove il pubblico era decisamente più adulto.

Come vi siete trovati a scrivere questo saggio a quattro mani?
Benissimo. Emanuela è una macchina da guerra e abbiamo competenze che si integrano perfettamente. Poi siamo amici da sempre, quindi sapevo che collaborare con lei sarebbe stata una garanzia.

Pensate di continuare la collaborazione?
Sì, anche se non sappiamo né come né quando. Siamo tutti e due molto impegnati, e trovare un’altra finestra di tempo per ripetere l’esperimento non sarà facile, ma contiamo di farlo. Abbiamo già diverse idee in proposito: ci è piaciuta questa idea di restituire la parola a persone che a loro tempo facevano storcere il naso a chiunque li incontrasse, e chiedere a questi emarginati di raccontare di sé e della propria vita. Vorremmo ora lavorare su altre persone che fanno storcere invariabilmente il naso, e che sono sostanzialmente emarginati da tutti: gli “zingari”.

A chi è indirizzato questo libro?
Ovviamente, a chi ancora si riconosce in queste sensibilità, a qualunque generazione appartenga. Ma anche a chiunque abbia la curiosità di capire un po’ più da vicino cosa abbia significato quella subcultura.
di Olivia Balzar
www.rosaselvaggia.com, maggio 2014 CREATURE SIMILI: il dark a Milano negli anni ottanta
Simone Tosoni e Emanuela Zuccalà in Creature simili hanno voluto documentare la scena alternativa oscura della Milano degli anni ’80 facendola rivivere nelle parole di coloro che l'hanno frequentata sia nella prima che nella seconda generazione. Tra i 24 intervistati i più noti sono Garbo, Nino La Loggia (della storica band wave 2+2=5 e uno dei gestori del negozio di dischi Ice Age), Andy dei Bluvertigo, Pino Carafa (dj Lupo) e Dj Roy. Nei vari capitoli gli autori analizzano il rapporto che la scena oscura ha avuto con musica, letteratura, cinema, arte, sessualità, droga, e politica e come queste ne abbiano influenzato i protagonisti. Il libro inizia con una descrizione del contesto storico in cui tutto è nato, si parla dei centri sociali Virus e Helter Skelter, delle prime fanzine milanesi dedite al dark “Amen” e “VM” e si racconta di quello che succedeva all’Hysterika (cult club dell’epoca). Creature simili si può considerare la fotografia di un'epoca indimenticabile. Un saggio nostalgico per chi ha vissuto questo periodo unico che purtroppo non potrà più essere riportato in vita e solo i ricordi riusciranno a mantenerne viva la memoria. Chi ha vissuto quegli anni, tra le pagine di questo libro, potrà identificarsi in alcuni racconti mentre chi ha solo sentito parlare dei mitici anni '80 potrà scoprire com'era veramente il movimento dark alle sue origini.
di Nikita
www.diversitylab.it, aprile 2014 Creature simili
Le subculture sono roba delicata. Membrane di significati intelaiate fra pezzi di storia di un Paese; ci guardi attraverso e vedi il mondo, te stesso, gli altri in un modo preciso, definito. È una sensazione inebriante, è tutto il bello della militanza: noi vs. gli “altri”, viva me abbasso te, una bella riduzione protezionistica della domanda/offerta sessuale e una dolce giustificazione per il displacement adolescenziale. In un’età in cui le cose sembrano non stare mai ferme, di colpo tutto trova un senso. Grandi stabilizzatori di identità, le subculture! Epperò, per l’appunto, roba delicata. Fai presto a romperla, a farne parodia, a ridurla a caricatura; o peggio ancora, a farne un’epica. Fra le subculture degli anni ’80 il dark è una delle più difficili da maneggiare. Intanto perché non aveva né la spettacolare aggressività collettiva del punk, né lo spassoso reazionarismo oceanico-cameratesco del metal. Figlio ribelle di entrambi, il dark era cosa involuta, rivolta all’interno, giocata sulla pelle e sul corpo. Raccontarla è difficile: non ci sono eventi colossali, non ci sono figure passate alla storia; la sua è una mitologia su scala ridotta – fatti e figure marginali, posti piccoli, interstizi urbani, tanta provincia. Tirarne fuori un racconto avvincente è rognoso. E infatti, in Italia, non s’è mai fatto. Creature simili di Tosoni e Zuccalà colma quel vuoto. È un libro sul dark nella Milano degli anni ’80: da dove arrivava, cosa ha fatto, com’è finito. Tosoni è un sociologo, la Zuccalà una giornalista: e leggendo il volume è chiaro che il primo ci ha messo la sensibilità professionale rispetto a come maneggiare quella membrana, la seconda l’occhio per lo storytelling e una scrittura fluida e avvincente. Ne viene fuori un racconto del dark a Milano che non è né un’epopea né un trattato, ma prende il meglio di entrambi. Due dozzine di storie si intrecciano per un decennio e tracciano il percorso di un’appartenenza “diversa”, osservandone con lucidità tutti i processi: lungo quali linee ha rotto con il suo contesto (e le pagine d’apertura sulla Milano di Craxi mettono ancora i brividi a chi c’era, con quel mix di violenza repressiva settantesca e glamour ottantesco), come si è presa i suoi spazi, come ha impostato il suo rapporto con il corpo proprio (compresa successiva capitalizzazione da parte della fashion industry) e dell’altro – e qui spicca anzitutto la forte indifferenza all’orientamento sessuale che separa il dark dalle altre subculture del periodo, alfiere di una sessualità terza, tendenzialmente androgina, che ha poi segnato fortemente l’immaginario dei decenni successivi. E nel discutere questa relazione col corpo emerge anche un controverso rapporto con le droghe pesanti, dominato dalla droga individualista e “introspettiva” per eccellenza, l’eroina, che sfascia una parte della prima generazione e poi viene respinta dalla seconda. Il libro immerge tutto in una fitta rete di rimandi culturali dove la musica ha ovviamente un ruolo importante, ma che passa in realtà anche da narrativa, poesia, cinema, arte. È proprio il recupero di una sensibilità quasi demodé (“a noi piaceva studiare”) a fare da architrave a tutto il progetto esistenziale: in un’epoca di scintillio superficiale (incarnato dai paninari, che tornano a più riprese come i veri grandi “altri” con cui misurarsi), l’amore per la cultura non poteva che assumere la forma di un’ombra interiorizzata. Alla fine questa natura introversa ha reso il dark incompatibile con strutture di vera e propria “militanza” (al di là di micro-esperienze specifiche come quella del collettivo “Creature Simili”) e lo ha quindi esposto più di altre subculture a tendenze verso l’atomizzazione, l’irrilevanza politica, e anche rischi relativi alla sicurezza personale (e diversi sono gli episodi di violenza raccontati nel libro). Eppure il dark non solo si è dimostrato resiliente e in grado di imprimere sulla cultura popolare un’impronta decisiva, ma senza portare avanti esplicite istanze politiche è stato capace di elaborazioni pionieristiche in campi che ancora sono di scottante attualità. Creature simili rappresenta quindi un posto dove appoggiare la testa (per chi c’era) e ripensare a quanto quell’esperienza ha lasciato in eredità (e anche un po’ a che fine hanno fatto alcune parti di sé); e allo stesso tempo può essere, per chi non c’era, un mattoncino nell’elaborazione di forme e politiche di diversità che sappiano valorizzare anche l’introspezione e la sensibilità. In più si legge bene, e c’ha pure una bella copertina. Che volete di più?
di MT
Ascension Magazine, aprile 2014 Creature simili
Voto: 8/10
Il dark a Milano negli anni ’80, per chi c’era e per chi ne ha solo sentito parlare. Interessante e riuscito questo Creature simili , libro curato e da Emanuela Zuccalà e Simone Tosoni che ripercorre le tappe dell’epopea “dark” nel capoluogo lombardo, nata come costola del punk nei centri sociali e passata da questa prima fase più legata all’ideologia/politica, ad una più prettamente estetica e discotecara; dal “boom” (virgolette d’obbligo) della metà degli anni ’80, sino alla decadenza di fine decennio con uno sguardo anche ai successivi anni ’90 e all’evoluzione (o involuzione?) che ci ha portato ai nostri giorni. Per fare questo gli autori si sono affidati a “testimoni oculari” dei fatti, idealmente divisi in “prima e seconda generazione”, attraverso le cui parole rivivono fatti ed aneddoti. Con rigorosa metodologia, alcuni tra i tanti testimoni di quegli anni sono stati intervistati e le loro parole sono state quindi spalmate nei vari capitoli del libro, che affrontano tutte le sfaccettature del fenomeno, dalla musica (caposaldo del movimento, ovviamente), alla moda, all’interesse verso le varie forme d’arte, alla politica, alla sessualità. Pur essendo dichiaratamente un’epoca che non vuole indugiare sul lato nostalgico, è innegabile che per chi ha vissuto (anche solo in parte) quegli anni, il coinvolgimento emotivo e l’impatto nostalgico sono inevitabili. Non è il caso di innescare una sterile discussione sullo stile “si stava meglio quando si stava peggio”, semplicemente era diverso, era un’altra cosa, è un’epoca ormai consegnata alla storia e che nessun revival può restituirci, proprio perché mancano imprescindibili presupposti storico-sociali. Al tempo stesso è pur vero che se per alcuni si è trattato solo di una moda passeggera, per altri il “sacro fuoco” brucia ancora e, seppur in maniera diversa da allora, ancora oggi si può ribadire ed affermare il proprio sentirsi “diversi”. Un plauso quindi a chi ha voluto e saputo, con precisione ed onestà critica, puntare i riflettori su una contro-cultura mai presa troppo sul serio dai media e dalla società, sempre ridotta a macchietta e vista attraverso immagini stereotipati. Un libro assolutamente consigliato, che credo potrebbe destare l’interesse anche di frange di lettori non necessariamente con un background “dark”.
di Giorgio Brivio
Il Giornale, 5 aprile 2014 La storia (nostrana) dei «dark»
Li abbiamo visti per anni, i «dark». Funerei, vestivano di nero, andavano giù pesante con il make-up, esibivano piercing, catene e icone ambigue legate al nazismo o allo stalinismo. Ascoltavano The Cure, Bauhaus, Siouxsie ma anche Einstürzende Neubaten, Throbbing Gristle e Current 93. Hanno imperversato nel mondo anglosassone tra il 1980 e il 1990, in Italia con qualche anno di ritardo ma una diffusione impressionante intorno al 1985. Chi erano? Cosa volevano rappresentare? Erano punk intristiti dai troppi libri di Camus o qualcosa di originale e autonomo? Trent'anni dopo provano a rispondere due libri: Noi siamo la notte di Giovanni Di Iacovo (Galaad Edizioni, pp. 235, 15 euro) e Creature simili di Simone Tosoni e Emanuela Zuccalà (Agenzia X, pp. 320, euro 16). Letti in coppia, offrono una panoramica completa del movimento italiano: Di Iacovo si occupa di Pescara, Roma, Bologna, Firenze e Napoli; Tosoni e Zuccalà invece dedicano il loro lavoro alla scena milanese, intervistandone 24 protagonisti. Anche dal punto di vista concettuale possiamo trovare due modi opposti di affrontare la questione: Di Iacovo è nato nel 1978, è quindi un dark di seconda generazione e nelle pagine del suo libro risuona quel tono scanzonato tipico degli scrittori abruzzesi (alla Silvia Ballestra). Tosoni e Zuccalà invece cominciano il loro libro pestando duro sul clima di repressione poliziesca della Milano dei primi anni ottanta, dove la musica, il look e l'esistenzialismo di ritorno giocano un ruolo leggermente in secondo piano e il dark (o «gothic» come sarebbe più corretto dire) è una filiazione diretta del punk militante del Virus e dell'Helter Skelter, i due centri sociali milanesi al centro della controcultura dell'epoca. Le «creature simili» del titolo erano malviste dalla vetusta sinistra extraparlamentare: il loro look «fascio» e il loro situazionismo indecifrabile scombinavano il mondo perfettamente ordinato che i compagni credevano di abitare. Indifferenti alla contrapposizione tra fascisti e comunisti degli anni settanta, i «dark» esorcizzavano quei fantasmi appropriandosi dell'immaginario estetico degli uni e degli altri. Arriviamo alla fine dei libri con l'impressione che siano le avanguardie di una lunga serie di libri dedicati al più vasto movimento di rottura dei codici conosciuto come «new wave».
di Marco Drago
www.marieclaire.it, 13 febbraio 2014 Milano dark
Creature simili racconta gli anni ottanta sotto la Madonnina tra subculture ed eredità Arrivano puntuali: passerelle, stylist, idee tagliate su misura e poi firmate. Sono le settimane della moda. In attesa di quella milanese (dal 19 al 24 febbraio), le immagini delle sfilate londinesi e newyorkesi riscaldano gli animi. Preparano un terreno di desideri sempre fertile: entrare in un mondo nuovo, sposare una filosofia diversa, diventare alternativi anche solo con un dettaglio (nascosto lì, sotto quel tuxedo troppo serio). Sembra sempre la stessa storia: la cultura in un eterno botta e risposta con la Storia, gli uomini lì, che se la raccontano rimixando gonne Sixties, giacche hippy, skinny leopardati. Oppure semplicemente schierandosi gli uni contro gli altri: paninari contro dark. Colori, uniformi moncler+nay-oleari+timberland, contro capelli cotonati, croci al collo, farina bianca spalmata sul viso, ragnatele disegnate attorno agli occhi, e poi tanto nero nero e nero. A volte un po' di grigio e bianco: qualcuno osava col viola ma non tutti, certo. Sono gli anni ottanta. Milano è un teatro di bande fashioniste che si giudicano e si sfidano. Il modo di essere diventerà una moda ma, in quegli anni, era anche una lente per decifrare e commentare quel benessere. Attraverso cinema, letteratura, e tanta musica. Un percorso affascinante dove l'amarcord ci illumina ancora. E lo fa anche grazie a un libro che fa il punto per la prima volta in Italia sulla più nota folkloristicamente (ma forse la meno compresa seriamente) subcultura degli anni Ottanta: Creature simili (Agenzia X ed.) di Simone Tosoni, ricercatore all’Università Cattolica di Milano, e Emanuela Zuccalà, giornalista, scrittrice e documentarista, sarà presentato a Milano il 21/2 alle 22 al TNT Club di Milano (ci sarà anche un reading). Un racconto intrigante e intelligente fatto anche di dialoghi con i protagonisti di quella stagione, interpellando testimoni privilegiati come musicisti (l’ex Bluvertigo Andy, i 2+2=5, Garbo), Dj (Pino Carafa dell’Hysterika, Roy del Rainbow) e animatori culturali (Angela Valcavi, fondatrice della prima fanzine dark “Amen”, ed Emanuela Zini di “Batty’s Tears”). Dal Leoncavallo alle discoteche come l’Hysterika e il Viridis, dalle periferie ai ritrovi come la Fiera di Sinigaglia, dagli scontri con paninari e skin alle trasferte verso i Funeral Party, quelle parole regalano fotografie della Milano schizofrenica degli anni ottanta. E confermano quanto il dark di allora abbia influito sul contemporaneo. Alle passerelle, dunque, l'ultima parola.
di Rossana Campisi
Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2014 Com'eravamo dark a Milano
In Italia li chiamavamo “dark”, in Inghilterra “gothic”. Tra loro, si definivano più poeticamente “creature simili”, in base a una associazione, che era allo steso tempo una presa di distanza, con l'altra grande tribù dei primi anni Ottanta, i punk. Simili ma non uguali, per l'appunto. Intesa in senso riflessivo, stava a sottolineare anche uno spirito e una visione della vita che rendeva affini tante anime adolescenti sparse nel deserto metropolitano di quei tempi già cuoi di loro. Non poteva esserci un titolo migliore, dunque, per l'approfondito, bellissimo “come eravamo” che Emanuela Zuccalà e Simone Tosoni – un passato dark in comune e un presente che li vede rispettivamente giornalista/documentarista e ricercatore di sociologia – hanno steso nero (molto) su bianco (solo quello della pagina). La piccola epopea gotica della Milano di trenta e più anni fa viene raccontata con una narrazione appassionata e storicamente accurata, nella quale si lascia grande spazio alla voce dei protagonisti. Dalla politica alle fanzine, dalle influenze culturali a quelle musicali, dai locali underground alle boutique alternative, dal rapporto con la droga a quello con la sessualità, Creature simili è un viaggio a ritroso verso il cuore di una controcultura nella quale molti ragazze e ragazze di allora cercavano la propria dimensione. Non una delle più solari, ma certo una delle più romantiche e intense.
di Carlo Bordone
www.elbradipo.net, 5 febbraio 2014 In Goth We Trust
La storia delle sottoculture giovanili in Italia è ancora una storia soprattutto orale: pochissime infatti sono le pubblicazioni che hanno indagato i vari movimenti sociali/musicali che sono apparsi dagli anni sessanta a oggi. Salvo rare felici eccezioni - penso a Costretti a sanguinare di Marco Philopat sul primo movimento hardcore italiano legato al Virus di Milano, a Skinhead di Riccardo Pedrini, a Storia ragionata dell'hip hop italiano di Damir Ivic e in maniera telegrafica Mods di Francesco Gazzarra – spesso ne indagano solo l'aspetto squisitamente musicale. I primi, ottimi esempi che mi vengono in mente in proposito sono Eighties Colours di Roberto Calabrò sul sixities revival e l'appendice sulla scena industrial italiana in coda al Manuale di cultura industriale pubblicato dalla Shake anni fa o ancora a Quei bravi ragazzi del rock progressivo di Piersandro Pallavicini. A margine andrebbero citati poi alcuni racconti autobiografici di appartenenti a singole band, come I ragazzi del mucchio dell'ex Indigesti Silvio Bernelli. Poche uscite ma fatte bene e proprio per questo ogni pubblicazione in questo ambito merità la curiosità di chi è appassionato di musica. Creature simili (termine che era già apparso sulle pagine di Costretti a sanguinare e ripreso da Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà per il loro saggio edito da Agenzia X) esce dai soliti schemi a cui i lettori si sono abituati: i due autori infatti decidono di affidarsi alla viva voce dei ragazzi e delle ragazze che negli anni ottanta scelsero di aderire alla sottocultura dark (come in Italia venne definito quello che nel resto nel mondo era chiamato goth) a Milano e dintorni, intervenendo soprattuto per ricostruire il contesto delle vicende narrate. Quello che emerge è la fotografia di un'epoca: le compagnie che nascono frequentando gli stessi punti di ritrovo (piazze, strade, bar, negozi di dischi o di vestiti, librerie), le serate in determinati locali (con particolare attenzione per l'Hysterika, che fu per loro qualcosa di più di una semplice discoteca), gli scazzi con le altre sottoculture o con la polizia o più in generale con il resto della società, la vita di tutti i giorni a scuola o al lavoro, il sogno di emigrare in altri lidi (la sempre mitologica Londra) dove poter essere se stessi. È uno sguardo raro, che porta sulla pagina qualcosa che probabilmente finora è stato solo tramandato oralmente o intuito da qualche segno, come qualche scritta sopravissuta sui muri o certi settori "dedicati" in precisi negozi di dischi. Emerge quella Milano new wave che rifiutava il terribile slogan/stile di vita della "Milano da bere" per cercare qualcosa di diverso, una città che aveva ancora residui della vita politica del decennio precedente (che parte della comunità dark porterà all'esperienza dell'Helter Skelter" lo spazio all'interno del Leonkavallo dove vennero organizzati eventi e concerti tra cui le prime sortite in Italia di Sonic Youth e The Ex) e che era già crocevia dei tour musicali principali di quegli anni, qualcosa che poteva permettere a una scena di crescere e prosperare. Si arriva fino al declino degli anni ottanta (il 1987 viene inquadrato nel libro come l'anno chiave), quando davvero sembra non esserci più nulla: locali chiusi, centri sociali sgomberati e la sensazione della fine di un'epoca. La storia prosegue, ma è sin da subito qualcosa di diverso, sia musicalmente che culturalmente, qualcosa che continua ancora adesso. Ovviamente la vastità dell'argomento rende la visione globale parziale, gli autori non pretendono certo di raccontare lo stile di vita di tutta la comunità dark italiana, ma emergono un paio di tratti comuni a tutte le sottoculture di quegli anni che non possono venir sottovalutati. Prima di tutto la voglia di creare un ambiente nuovo, di creare i propri mezzi di comunicazione (per esempio le varie fanzine uscite in quegli anni) e di organizzare concerti, senza magari sapere come farlo professionalmente ma spinti dall'urgenza di creare e di comunicare, esattamente come il punk aveva insegnato. Comunicare e suonare era più importante del saper padroneggiare alla perfezione uno strumento musicale e mettere in circolazione dischi era possibile anche se si era una microscopica etichetta discografica. I risultati finali (penso all'ottima fanzine "Amen – This is religgion" di cui sarebbe piacevole uscisse un'antologia) sono stait spesso all'altezza delle ambizioni. Non si può ignorare la voglia di creare una vera e propria cultura che vada più in profondità, oltre l'aspetto puramente estetico che comunque aveva una sua importanza fondamentale: nessuna sottocultura sfugge al fascino di crearsi una propria "divisa" e il mondo goth seppre crearsi uno dei dresscode più memoriabili, tanto da vedere alcune intuizioni finire sulle passerelle. C'è la voglia di definire film e libri "propri", con ricerche basate a volte su suggestioni afferrate da testi o titoli di canzoni e dischi, di crearsi un immaginario artistico distinguibile (ben testimoniato nel libro dalle grafiche di poster e copertine di fanzine). Il libro non si limita a redarre una sorta di "almanacco" di cosa accadute in quegli anni: certo c'è la musica e ci sono i concerti, entrambi trattati in capitoli distinti, ma non c'è nessun tentativo di registrare ogni singolo evento (concerti più o meno piccoli, rassegne, uscite discografiche legate alla scena, ecc...) o di censire ogni singola realtà musicale di quel microcosmo. Meglio così: in fondo sono particolari che avrebbero potuto appesantire la lettura, finendo per soffocare la spontaneità che caratterizza il libro. Oggi il dark si gode lo status di rara sottoculture a non esser mai scomparsa, nemmeno momentaneamente, stata oggetto di momentanee sparizioni, capace di conservare un certo ricambio generazionale e di godere di una buona affluenza. Mentre continuano a emergere band nuove e motivate quelle d'epoca (ad esempio quei 2+2=5 tra i protagonisti del libro) vedono finalmente ristampati i loro dischi. Immagino che all'interno della scena dark questo libro sia stato un piacevole "come eravamo" e a vedere le foto del giro di presentazioni (www.facebook.com/CreatureSimiliIlDarkAMilanoNegliAnni Ottanta) l'accoglienza è stata calorosa. Se si è appassionati del genere questa sarà una lettura interessante, magari accompagnata da Gli spunti che emergono sono interessanti e se si è appassionati una lettura potrebbe essere stimolante. Magari accompagnata da qualche disco di Bauhaus, Joy Division, Cure, Depeche Mode, Death In June, Sisters Of Mercy, Christian Death, D.A.F. o Killing Joke.
di Giulio
Io donna, 4 febbraio 2014 Orgoglio dark
Oscuri, cupi, ossessivamente neri. Facili definirli punk. Ma i più impegnati rivendicavano fin da allora un'identità propria. E si autodefinivano “Creature simili”. L'allora erano i “fantastici” anni Ottanta vissuti a Milano. Dal Leoncavallo a discoteche come l'Histeryka, fino alla Fiera di Senigaglia. Su strade (e incontri) che un sociologo e una giornalista ci fanno conoscere da vicino. Mettendo in luce quanto abbiano influito sul presente che viviamo.
Simona Gioia
Radio Onda d’urto, 20 gennaio 2014 Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta
Erano dark, ma quelli più impegnati politicamente preferivano definirsi “Creature simili”. Simili ai punk, anche loro in lotta con un presente nero come i vestiti che indossavano, con la stessa ansia di sperimentare stili di vita alternativi. Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta è un interessantissimo saggio scritto da Simone Tosoni e Emanuela Zuccalà che abbiamo intervistato. Qui trovi l’intervista.
Rockerilla, gennaio 2014 Creature simili
Mancava una seria indagine sulla sottocultura “dark” termine noto solo in Italia per identificare le tribù, altrove indicate come “goth”, seguaci del verbo post punk generato da pionieri come Banshees, Cure e Bauhaus. I due autori localizzano la loro ricerca nella Milano degli anni ’80, una metropoli schizofrenica in cui, come nel celebre film I guerrieri della notte, faticano a coesistere i punk dei centri sociali, gli skinheads orientati a destra, i paninari figli del rampantismo e i dark, raffinati cultori della nuova onda, che cercano nella musica, nell'arte e nel cinema le chiavi per costruire la loro identità. Tramite interviste ai protagonisti dell'epoca, tra cui dj's, musicisti (preziose le testimonianze di Garbo e Andy Fumagalli) e semplici avventori, viene tratteggiata la mappa della Milano gotica, con epicentri epocali come l'Hysterica e il Viridis. Fondamentale per capire un'epoca (cover: Ambra Garlaschelli).
di Emanuele Salvini
Donna moderna, 10 gennaio 2014 Per chi ha gusti dark
Creature simili di Simone Tosoni e Emanuela Zuccalà racconta il movimento dark a Milano negli anni ’80: “Il punk urlava fuori, il dark urlava dentro” dicono gli autori. Fra sociologia e nostalgia, il libro parla di moda, musica, locali cult. Per chi quegli anni li ha vissuti vestito di nero.
di Francesca Magni
www.ondarock.it, 7 gennaio 2014 Creature simili - Il dark a Milano negli anni Ottanta
Simone Tosoni, ricercatore in Sociologia all'Università Cattolica di Milano ed Emanuela Zuccalà, giornalista e scrittrice, realizzano con questo Creature simili il primo libro sulla storia della sottocultura goth nel territorio del capoluogo lombardo, un'opera che è al tempo stesso un trattato sociologico ed un'affascinante cronaca di quei tempi irripetibili. Il libro prende il titolo dal nome attribuito dagli occupanti del centro sociale Virus (i punx) ai dark che lo frequentavano: creature simili, individui che condividevano una visione affine del mondo; differente è però la reazione all'establishment, i punx danno voce alla loro rabbia ribellandosi al “sistema”, mentre le creature simili interiorizzano il proprio disagio costruendo una loro "realtà alternativa" dove approfondire i propri interessi e inclinazioni. L'immagine che esce del movimento dark milanese è a tratti molto cupa, per "colpa" di una città che, specie in quegli anni (la "Milano da bere"), richiedeva un grande sforzo per adattarsi a viverci non limitandosi a sopravviverci. La mannaia del riflusso calata sui "movimenti" dei decenni precedenti, la costante imposizione del modello di vita "regolare", le retate delle forze dell'ordine ai danni delle "bande giovanili", l'aperta ostilità delle stesse bande rivali - skin e paninari su tutti - rendono dura la vita al dark milanese. Ma la Milano dei palazzi grigi e della nebbia onnipresente è anche la "casa" di questa tribù metropolitana: locali come l'Hysterika, l'Odissea 2001 o l'Helter Skelter (spazio ricavato all'interno del primo Leoncavallo) accoglieranno queste anime oscure per molte serate e pomeriggi domenicali, pomeriggi in cui il viaggio dalla provincia alla città diviene l'occasione per un'emancipazione dalla routine imposta alle masse, che è anche l’emancipazione del proprio "io" più intimo. Grande spazio viene dato in particolare all'Hysterika (già Taxi): il "Batcave" di Via Redi svolge la parte del leone nella nightlife dei goth milanesi, durante un'incredibile stagione a cavallo tra l'87 e l'89, per poi chiudere i battenti definitivamente a inizio 90, lasciando una traccia indelebile nel cuore delle creature simili, e spianando la strada a "eredi" come il Rainbow Club (l'ex Odissea 2001) di Via Besenzanica (anch'esso purtroppo demolito qualche anno fa) e lo Shelter Club di Colturano. Quest'ultimo è una vera e propria anomalia "nera" nella campagna della "bassa" milanese e resiste tutt'ora: qualche settimana fa è stato anche il teatro della presentazione di questo libro, con interventi degli autori e di Marco Philopat (Costretti a sanguinare, Lumi di punk) di Agenzia X, la casa editrice che pubblica Creature simili. Preziosissime le testimonianze raccolte, che costituiscono l'ossatura del libro: musicisti (Andy dei Bluvertigo, il new waver Garbo, Nino La Loggia dei 2+2=5), dj (Pino Carafa dell'Hysterika, Roy del citato Rainbow Club, tutt'ora in attività), autori di fanzine (Angela Valcavi di "Amen", Emanuela Zini di "Batty's Tears"), tutti concedono il loro sguardo lucido ma non certo distaccato su questa stagione fondamentale delle loro vite. Non mancano, fra gli intervistati, i "semplici" frequentatori della scena, tra i quali spicca "Sergio di Meda", le cui parole ci introducono alla vita dei dark di provincia fatta di sguardi ostili, spazi conquistati con le unghie e viaggi in treno verso una Milano mitica, una piccola Londra a portata di mano dove incontrare una persona vestita come te è sufficiente per riconoscere un membro della tua "tribù". Nei quattordici capitoli del libro vengono passati in esame tutti gli aspetti di questa controcultura: la musica, la letteratura, la moda, e il rapporto con droga e sesso in un'epoca per molti aspetti davvero lontana dall'attuale. Il libro è consigliato a tutti gli amanti del goth, e agli appassionati della vita underground milanese: se poi (come nel caso del sottoscritto) rientrate in entrambe le categorie, è un acquisto decisamente obbligato. Un appassionante viaggio in un'altra Milano, quella meno raccontata, e la risposta definitiva alla domanda "Cosa ha significato essere dark a Milano negli anni Ottanta?".
di Lorenzo Pagani
rovescio.wordpress.com, 31 dicembre 2013 Creature simili
Ho divorato il libro Creature simili (edito da Agenzia X) in due soli giorni tanto era il fascino che ha esercitato su di me. Il lavoro di ricerca, indagine e “analisi” di Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà sulla nascita e l’evoluzione del movimento Dark a Milano (ma in linea più generale in italia) ha dell’incredibile. Intanto per la grande capacità di rapportarsi con un tema estremamente complicato che abbraccia non solo un contesto storico ormai lontano come gli anni ’80 ma anche le implicazioni politiche, le dinamiche sociali, l’avvento dei nuovi media, il rapporto con la moda e l’anti moda, il tutto non fatto come una mano che cala dall’alto ma sgomitando in prima fila. Chi scrive sa e la differenza si percepisce. Bellissima l’idea di far parlare i protagonisti di quella scena e di tirare somme senza dare giudizi, consapevoli che il cambiamento e il mutare sono eventi ineluttabili a cui opporre grazia e consapevolezza. Ho amato ogni riga di questo libro che so già regalerò a molte persone che come me hanno vissuto solo da lontano certe esperienze mentre si son ritrovati catapultati in altre descritte in Creature simili con grande affetto. Il Dark, ieri un movimento vero e proprio, fatto di coscienza politica (seppure quasi mai attiva ma ben consapevole delle sue origini e delle umane vicende) amore per l’arte, per la conoscenza, per la creatività, oggi quasi una maschera ridisegnata dal reparto marketing e inglobata a pieno titolo nel mainstream svuotata naturalmente di tutti i suoi significati meno smart e più “pericolosi”. Nel libro ci sono le lotte tra quelle che i sociologi di allora definivano tribù urbane, lotte violente a volte, le retate della polizia che giudicavano quegli abiti neri sovversivi, anarchici e dunque terroristi, le conquiste e la socializzazione che allora avvenivano vis a vis e non dietro l’anonima tastiera del pc. La conoscenza era tramandata e se volevi avere tutte le novità musicali o le dritte giuste non c’era altro da fare che esporsi e chiedere ai tuoi simili. Ci si riconosceva per strada, consapevoli che portare un vestito nero e le croci non era un vezzo ma un segno di distinzione, una sorta di richiamo che identifica la specie, perennemente in cerca di suoi simili per un confronto. Creature simili è lo splendido nome dei Dark che provengono e iniziano a creare un vero movimento al Virus, il centro sociale di Milano fucina di idee, bands, fanzines che ha lasciato un segno indelebile nella cultura di chi quegli anni li ha vissuti da protagonista. Perché mi sono così appassionato a questo libro? Perché è la mia storia, descritta con la meraviglia e il sentimento con cui effettivamente la si viveva anche da noi in provincia. Essere dark a Milano non era facile in quegli anni, figurarsi a Cagliari dove non esistevano valvole di sfogo come i concerti o le serate in discoteche come l’Histerika che qui si guardavano col cannocchiale con un misto di dolore e invidia. Per me, e per gli amici preziosi ancora adesso, che hanno seguito questo percorso, il dark è stato soprattutto una formazione interiore, una spinta naturale a cercare spasmodicamente la letteratura, il cinema, l’arte e naturalmente anche la musica e la moda che più potessero rappresentarci. Muoversi a Cagliari con abiti neri quanto tutti erano fluorescenti o griffati dalla testa ai piedi era un rischio, insulti perenni per strada, a scuola, perfino all’università bisognava prima dimostrare di essere umani e poi magari anche di essere preparati per l’esame. Personalmente ho vissuto tutto questo come una sfida senza mai cedere. Io ero e sono così, lo sono sempre stato e questa forza mi ha permesso di andare avanti, cercando i miei simili (da cui spesso sono stato deluso), ma anche stringendo amicizie e amori eterni, viaggiando quando finalmente raggiunti 16 anni ho ottenuto il permesso di viaggiare da solo, accumulando conoscenza e coscienza del movimento di cui per istinto ho sempre sentito di fare parte, iniziando a radunare piccole folle e mettere su serate, concerti e una fanzine. La stessa determinazione mi ha permesso di non dover mai rinunciare alla mia estetica che sempre è stata e sempre sarà etica, neanche nel lavoro, nonostante lavori col pubblico. Non mi dilungo oltre ma invito chiunque voglia avere una più chiara idea dell’origine del dark a leggere questo libro veramente ben fatto. Invio agli autori il mio ringraziamento più sentito perché con il loro lavoro mi hanno emozionato, ho sempre vissuto tutto questo come una bella avventura e loro me lo hanno ricordato in modo rigoroso e piacevole. Mi hanno anche spronato a fare un lavoro di ricerca di tutto ciò che prima con Into The Darkness poi con Darkness Elite ho svolto insieme alla mia compagna d’armi Francesca Mulas e altri collaboratori per animare la nostra città in tanti e tanti anni di impegno e sacrifici. Once in the darkness always in the darkness. Grazie
Il Giorno, 27 dicembre 2013 Viaggio tra i giovani dark anni ’80. Il lato oscuro della Milano da bere
Ventiquattro testimonianze nel libro inchiesta di un sociologo. Di tatuaggi, croci, reti e colori scuri oggi resta un revival nella moda grazie ad alcuni stilisti di ricerca
ESCE in libreria Creature simili. Il dark a Milano negli anni ottanta, libro inchiesta della giornalista Emanuela Zuccalà e di Simone Tosoni, sociologo dell’Università Cattolica, sulla nascita e sull’evoluzione della controcultura ombrosa e non violenta che si sviluppò, quasi come un anticorpo, nella luccicante Milano da bere. Redatto attraverso ventiquattro interviste a ex giovani che scelsero quel look e quel profilo, anche mentale, il libro analizza per la prima volta in Italia, una delle più trascurate subculture urbane degli anni ottanta, ai margini di fenomeni come quello punk, l’entusiasmo borsistico degli yuppies o i piumini da non togliere neanche in casa dei paninari, che si guadagnarono tutt’altra visibilità. Dal Leoncavallo a discoteche come l’Hysterika e il Viridis, dalle periferie ai ritrovi come la Fiera di Sinigaglia, dagli scontri con paninari e skin alle trasferte verso i Funeral Party, le parole e i racconti degli intervistati regalano ai lettori panoramiche sulla Milano schizofrenica dell’ultimo decennio in cui l’economia e l’ottimismo continuarono a crescere senza un reale substrato produttivo. E rivelano quanto il dark di allora abbia influito sul contemporaneo. Il libro, presentato già il 15 novembre, ha aperto anche un’omonima pagina su facebook, che in pochi giorni, nel consueto basso profilo della generazione osservata, ha già raccolto senza troppo clamore un migliaio di fan. Uno stile controcorrente già palese dal sottotitolo del libro: «Mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro». Milano, 26 dicembre 2013 - Non c'è luce senza ombra. Nel mondo fisico, ma anche nel meteo sociale. E non c’è quindi epoca con toni dominanti che, dal dopoguerra, non produca gli anticorpi di una controcultura giovanile. Li sceglie una minoranza di adolescenti per differenziarsi, con la propria musica, le proprie letture e le proprie icone. Il lato oscuro della Milano da bere, accanto ai più noti skin, metallari, yuppie e paninari, fu il fenomeno dark. Dark era il nome italiano del movimento gotico nato nel Regno Unito dalla scena post-punk. Ma a Milano i ragazzi vestiti di nero assunsero storia e personalità propria, oggi indagate in Creature simili, il libro di Emanuela Zuccalà e Simone Tosoni. Come è nata l’idea? «In quegli anni - racconta Emanuela - Simone e io eravamo gli unici due dark nella cittadina di provincia lombarda in cui siamo cresciuti. Quando ci siamo ritrovati da grandi questo lavoro di ricerca ci è venuto quasi naturale. In quel periodo scintillante di ottimismo c’era una grande ossessione per l’apparenza. E il disagio verso quel modello non ci ha mai abbandonati, proprio come oggi non riusciamo ad allontanarci dal nero. Simone aveva iniziato una ricerca sociologica sul dark negli anni ’80, ma non voleva farne un libro accademico. Così ho accettato il suo invito. Siamo partiti con entusiasmo, anche per capire che senso avesse avuto quell’esperienza. Intervistando 24 persone, tra Milano e provincia, che hanno vissuto quella scena e raccontano le loro esperienze, poi suddivise per temi, musica, moda, locali. C’è anche un capitolo sul sesso e uno sulla droga». I dark non si drogavano però. «No, erano tendenzialmente regolarissimi, per quanto trasgressivi nel look. Era il periodo in cui l’eroina aveva già fatto parecchi morti e ci si teneva distanti. ne emerge lo spaccato inedito di una Milano che appare ormai preistoria, in cui esplodevano ricchezza e benessere. Il culto dell’apparenza dominava le relazioni, bisognava sempre essere ben vestiti, anche a costo di una forte omologazione». Avevate dei nemici? «I dark dark detestavano la violenza. Anzi, le prendevano un giorno dagli skin e l’altro dai paninari. Uno dei nostri intervistati racconta di essere stato accoltellato dai paninari e di avere preso grandi schiaffoni dagli skin, senza mai reagire, perché non era nelle sue corde. Il loro opporsi a una società edonista era tutto nell’immagine, allora scioccante: oggi piercing e tatuaggi sono diffusi, non ci si scandalizza di alcun tipo di look, ma allora quando arrivavo a Milano con i capelli cotonati, piena di cinghie e di spille da balia nelle orecchie, mi fermava sempre la polizia per chiedermi i documenti». Cosa è cambiato? «Nel libro c’è poi tutta una mappatura dei locali in cui si andava, con l’asse alternativo che andava dalle Colonne di San Lorenzo al Duomo, e viceversa. Oggi si vede ancora qualche darkettone, ma in pochissimi locali. La musica con gli anni ’90 è cambiata, diventando molto più rumorosa, e i locali si sono adeguati. Il look? Negli anni ’80 era molto asessuato, le donne vestivano in modo maschile, per opporsi al duplice cliché della donna manager o della maggiorata da Drive In. Non esistevano corsetti, pizzi, minigonne, balconcini». E negli anni ’90 che succede? «Il look femminile del dark si ibrida molto con il fetish e le donne cominciano a vestirsi in modo molto provocatorio. Ma soprattutto, non essendoci più una cultura dominante cui opporsi, scompare anche la subcultura. Il dark ha lasciato però un segno vivido nella moda “ufficiale”. Ci sono stilisti che, già a partire dagli anni ‘90, hanno ripreso le croci, il nero, le reti, e tuttora persiste un revival di questi elementi. Lo spiega bene uno degli intervistati, che oggi fa lo stylist. Basti pensare ai foulard con i teschi, che si vedono oggi al collo di ragazzine ben vestite». La musica? «Cure, Bauhaus, Joy Division e altri. Dalla musica si passava con naturalezza alla letteratura e al cinema di genere. Un esempio: la canzone dei Cure Killing an Arab citava Lo straniero di Camus. Gli Siouxsie and the Banshees citavano Poe o gli stessi Cure Kafka. Noi tutti abbiamo letto Sartre a 15 anni. Poi magari ci si iscriveva a filosofia, scegliendo studi ispirati da quel mondo». I vostri eredi? Gli Emo? «No. Noi avevamo una gran voglia di vivere e ci sentivamo realizzati in spazi pubblici. Loro sembrano ripiegati su se stessi».
di Enrico Fovanna
Il manifesto, 20 dicembre 2013 L’apocalisse che ritorna al futuro
Le controculture nella Milano degli anni Ottanta. Tra insorgenza dello stile e esistenziale, un’attitudine ribelle nata nel pieno della crescita della finanza che punta a valorizzare la ristrutturazione urbana della città. I capelli possono essere rasati ai lati, oppure innalzarsi vaporosi. L’abito è di rigore nero, le scarpe a punta. Su volti resi cerei dal trucco si staglia il nero di pesanti linee di eyeliner e il rosso vivo, sanguineo, di un lipstick applicato con mano pesante. Per i ragazzi come per le ragazze. Qui e là compare qualche croce. Li si inizia a scorgere in alcuni punti di Milano, dietro Corso Vittorio Emanuele, al metro Duomo e lungo via Torino, sulla direttrice che dal centro conduce al Ticinese. Cominciano a essere riconosciuti con un nome, vengono chiamati dark. Siamo negli anni Ottanta, in una Milano che celebra una presunta vitalità ritrovata dopo il grigio degli «anni di piombo» affidandosi allo slogan di un noto amaro. Ma la patina della Milano da bere avvolge una realtà più complessa. La deindustrializzazione avanza, dissolvendo le forme di vita che intorno a essa si erano strutturate, mentre le dinamiche della valorizzazione immobiliare promuovono una massiccia espulsione di popolazione dal centro urbano.

Oltre la sconfitta
Il combinato disposto di repressione ed eroina, poi, ha annientato le forme di militanza e le strutture che avevano fatto di Milano, a partire dagli anni Sessanta, un laboratorio di radicalismo politico e esistenziale. Restano solo luoghi più o meno vuoti, conquiste di un ciclo di lotte precedenti, in attesa di qualcuno che li sappia rianimare. Ogni continuità è rotta. E allora la dissidenza si affiderà al linguaggio della controcultura. Seminale, in proposito, si rivelerà l’esperienza del Virus. Intorno alla musica e all’immaginario di rottura proveniente dal punk si consolida un gruppo composto da giovani decisi a opporsi alla miseria del presente e da altri che, avendo vissuto liminarmente i fermenti del movimento degli anni Settanta, non sono disposti a ripiegarsi sul privato ma, allo stesso tempo, non ne vogliono sapere della residualita di quanto è rimasto della precedente ondata. Ed è proprio in seno ad alcune componenti del Virus che inizia a maturare una sensibilità dark oriented. A incidere sono questioni di gusto musicale. La rivendicata elementarità del punk suona limitata, e ripetitiva, per chi, invece, rimane folgorato dalla proposta musicale di dischi come Second Edition dei Public Image o Unknown Pleasure dei Joy Division oppure dei nascenti orientamenti industrial. Ma c’è dell’altro. Se nell’ambiente punx, così si autodefinisce il punk italico più politicamente impegnato, si manifesta un rifiuto nei confronti di tutto ciò che non è autoprodotto e la tendenza a un’autorappresentazione «antintellettualistica», in altri l’esigenza di radicalità non esclude il confronto con istanze culturali e artistiche provenienti da ambienti differenti. Si flirta con il nero e con un immaginario apocalittico ma si raccolgono suggestioni esistenzialistiche, istanze antipsichiatriche, spunti legati alle avanguardie storiche. Nelle parole di Joykix, uno dei protagonisti di quella scena, «mentre punk urlava fuori, il dark urlava dentro». Si definiscono così percorsi che, passando per fanzine come «Amen» e «Hydra mentale» o la «rivitalizzazione» generazionale del Leoncavallo tramite l’esperienza dell’Helter Skelter, sfociano, superando le strettoie dell’annus horribilis dell’underground milanese, il 1987, sugli anni Novanta.

Battaglie di strada
Nel frattempo il dark si era affermato a livello globale come dimensione sottoculturale, a partire dall’impatto, musicale e iconico, di gruppi quali Cure e Bauhaus. Nel chiuso della loro cameretta, in qualche punto del desolato hinterland, adolescenti poco in sintonia con lo spirito del tempo modellano il loro look su quello di Robert Smith e Peter Murphy. Si scontrano con i genitori e affrontano il dileggio dei compagni di classe o dei professori. Il sabato pomeriggio intraprendono viaggi iniziatici a Milano dove, magari girando per via Torino o la Fiera di Sinigaglia incontrano creature simili, che riconoscono e da cui sono riconosciuti. Ma c’è anche il pericolo di imbattersi nei paninari, sottocultura iperrealista sviluppatasi in quegli anni, o negli skin. E allora sono botte. Si crea così un’altra scena dark, non direttamente politica e più ortodossa rispetto al mainstream internazionale della subcultura, scandita dalle serate e, soprattutto, dalle domeniche pomeriggio all’Hysterika, discoteca nei pressi di Porta Venezia. Le vicende sommariamente presentate sono ricostruite in dettaglio e analizzate nel libro Creature simili. Il dark a Milano negli anni Ottanta scritto da Simone Tosoni e Emanuela Zuccalà, due insider di quella scena che, nel frattempo, hanno fatto molto altro, il primo come sociologo la seconda come giornalista, senza mai tradire la fedeltà al look total black. Diversamente dal punk, oggetto di una notevole storicizzazione, il dark, nonostante l’impatto che la sua estetica continua ad avere, è rimasto nel corso del tempo un universo sottoculturale relativamente inesplorato. Il volume di Tosoni e Zuccalà interviene quindi a colmare una lacuna, e lo fa recuperando le voci e le testimonianze di molti protagonisti di quella scena, appartenenti a differenti «generazioni», intrecciando la ricostruzione storica dei differenti percorsi con approfondimenti tematici relativi agli orientamenti musicali e letterari, le sensibilità politiche, le dinamiche di socializzazione e conflitto, la sessualità, l’uso delle droghe, i consumi, le geografie urbane di elezione. Pur sottolineando le differenze, culturali ed esistenziali, fra i due principali filoni del dark milanese, uno più politico l’altro più «estetico», la ricerca di Tosoni e Zuccalà evidenzia anche la reciproca permeabilità fra le due tendenze, con una circolazione di figure dall’uno all’altro contesto alla ricerca della collocazione più congeniale. Del resto, anche il filone più distante dall’assunzione di una militanza esplicita manifesta una consapevole politicità, nei termini che Dick Hebdige definiva della «rivolta dello stile». In tal senso, ai codici sottoculturali, ostentati nello spazio pubblico, è affidata la funzione di scioccare, di creare sconcerto nell’ambiente circostante, di esprimere estraneità verso i valori dominanti. Da qui il disprezzo nei confronti dei fashion dark, o dei dark della domenica, che si indirizza verso coloro che solo in certe occasioni sfoggiano un look estremo, in contesti separati rispetto a quelli della loro quotidianità. Evidente, in proposito è la distanza rispetto all’itinerario che le tendenze dark intraprenderanno a partire degli anni Novanta, ibridandosi con una componente fetish, tendenzialmente assente nel decennio precedente, e rinchiudendosi nello spazio separato dei club. Inoltre, sempre in termini politici, non si deve dimenticare come il dark sia stata la prima sottocultura programmaticamente «ospitale» nei confronti dell’omosessualità.

Cesure radicali
Molti sono gli elementi di interesse che emergono da Creature simili. La vicenda del dark fornisce numerosi spunti per rendere più articolata la percezione di un decennio, gli anni Ottanta, spesso schiacciato su alcuni facili stereotipi. Per certi versi, da quel decennio non si è mai usciti. Per altri aspetti, invece, da esso ci separa una cesura assolutamente radicale, di cui il libro di Tosoni e Zuccalà ci permette di cogliere la portata per quanto riguarda i cambiamenti intervenuti nello spazio pubblico, nella fruizione della città, nei processi di socializzazione dei giovani. Ai due autori, poi, si deve riconoscere il merito di avere prodotto e approcciato materiali e le interviste su solide basi sociologiche, ma senza farlo intendere, senza troppo esplicitarlo, lasciando intatto il gusto di una lettura piacevole e incalzante a chi è disposto a lasciarsi coinvolgere dall’intreccio fra decine di romanzi di formazione che alimenta la loro narrazione delle vicende del dark a Milano.
di Massimiliano Guareschi
Nerospinto magazine, dicembre 2013 Creature simili, il dark a Milano negli anni ottanta
«I’m going to the darklands to talk in rhyme with my chaotic soul» The Jesus & Mary Chain, Darklands, 1987Fare luce sul buio pesto di un fenomeno che di nero non ha solo il total look, oltre ad essere una simpatica allegoria cui molti cronisti musicali ci hanno abituato, è un’impresa davvero impegnativa se ne consideriamo la portata. Per questo Simone Tosoni, ricercatore in sociologia presso l’Università Cattolica di Milano, e Emanuela Zuccalà, giornalista e scrittrice, hanno compiuto un lavoro davvero encomiabile nello svolgimento dell’indagine racchiusa nel loro Creature simili, in libreria per Agenzia X Editore. Un’indagine inedita nello scenario della saggistica italiana, compiuta attraverso una serie di accorgimenti metodologici che ne fanno emergere il carattere dichiaratamente sociologico. Un’indagine su uno spaccato socio-culturale che ha segnato un decennio e condizionato irrimediabilmente quelli a venire, la controcultura dark. Nello specifico quattordici capitoli composti, in parte, dalle interviste somministrate a quei privilegiati che il dark, negli anni ottanta, l’hanno vissuto sulla propria pelle (dj, direttori di fanzine, fedelissimi della dark wave) ed, in parte, dalle pagine in cui prendono la parola direttamente gli autori, anch’essi figli di quel periodo ancora oggi così iconico. Tra i tanti interrogati ritroviamo ad esempio Andy, voce, tastierista e sax dei Bluvertigo, oggi impegnato nel progetto FluOn; Garbo, uno dei maggiori esponenti della new wave italiana anni ottanta; Davide Pietro Rossi, all’epoca di casa all’Hysterika ed altri locali emblematici per il movimento e oggi socio fondatore del noto Mono Bar di Milano; Donatella Bartolomei, dark solitaria oggi attrice ed autrice per il suo gruppo TeatrOblio. Il quadro delineato è davvero emozionante, non solo per chi sarà inevitabilmente colto da nostalgia e per chi, da neofita, vuole farsi una cultura in materia, ma anche per tutti coloro che sanno cogliere la portata rivoluzionaria di quel decennio e vogliono appagare la propria sete di conoscenza interessandosi di dinamiche mai trattate fin’oggi, oscure, controverse, marginali per scelta, ma in nessun caso trascurabili. Essere dark a Milano non era come esserlo in altre realtà regionali. Dato il suo carattere metropolitano, la città dava la possibilità di trovare più facilmente le proprie affinità elettive, è vero, ma al contempo caricava lo stile darkettone di un significato doppiamente antisociale, di contrapposizione al modello di gioventù, opulenta e felice, ostentato dalla Milano da bere. Il clima che si respirava all’epoca era infatti una prerogativa assolutamente milanese. Mentre in piazzetta Liberty i ragazzi griffati Moncler e Timberland sembravano direttamente usciti dal film di Carlo Vanzina Yuppies, i giovani di successo, nella vicina Via Torino sfilavano tra non pochi sguardi, ora impietriti, ora nauseati, gli antipaninari, i dark. Con i capelli tinti di nero e cotonati, le unghie smaltate, gli stivaletti di cuoio, gli skinnyjeans strappati e customizzati con spillette e borchie, trovavano nell’estrema contrapposizione all’estetica dominante il primo punto di forza della propria identificazione. Il dark è stato una vera e propria “tecnologia di individualizzazione”, usando le parole degli autori, e la bellezza di questo libro sta proprio nella capacità di far comprendere al lettore questo messaggio di cui vuole essere portavoce. Oggi che i giovani wannabe dark ascoltano i Cure, ma non sanno niente di Albert Camus, comprano a caso magliette dei Dead Can Dance, senza conoscere lo spleen di Baudelaire, indossano Vivienne Westwood, ignorando le passerelle di sangue di JP Gaultier, quello di Creature simili è un messaggio da diffondere urlando.
di Marco Torcasio
Rolling Stone, 13 dicembre 2013 Creature simili
D’altra parte è da lì che comincia tutto, no? Dal nero, dal buio, dagli occhi chiusi. Perché allora non ritornarci al nero, si saranno domandati in tanti nei primi anni ’80, condannati al benessere della Milano da bere, allo yuppie e al paninaro colorato nella TV a colori, svezzati dai rampanti dirigenti del PSI, emarginati dalla città della moda e incapaci di identificarsi pienamente con il punk, ma comunque diversi nel modo di sentirsi. Nascono i dark italiani. Praticamente come potrebbe essere oggi, ma senza (oggi) averci un target preciso di ostilità e addirittura con meno aspettative. Creature simili (dal nome del collettivo di dark più attivi politicamente) è un libro che a partire dalla bellissima cover, le foto, i volantini e le fanzine, ci guida negli impetuosi anni della controcultura del “No future”, in cui un certo tipo di prosperità (illusoria, abbiamo scoperto troppo tardi) e la repressione dei costumi, venivano combattuti non solo politicamente, ma anche nell’aspetto, nell’estetica. Macchie nere che diventeranno una marea, all’apparenza estranee a ogni contesto, che vagavano fra la città e la periferia. Perfettamente in linea anche con i ricordi, le sensazioni e le inquietudini di chi recensisce, pure se non ha vissuto quell’underground milanese. Si ritrovano i luoghi dei non “allineati”, come l’Helter Skelter (costola del Leoncavallo), il Virus, l’Hysterika (ex Taxi), quest’ultimo un seminterrato di via Redi che diventerà il Batcave milanese, riferimento della scena dark. Ci sono le interviste ai personaggi che quell’epoca l’hanno vissuta e fatta (Joykix, Angela Valcavi, Pino Carafa e Andy dei Bluvertigo in testa), le guardie che li fermavano ad ogni passo (uufff, rammentate ancora il refrain? Documenti, che fate, dove andate?), la musica certo, la letteratura gotica, la cultura della droga (almeno per i dark di prima generazione), il tema del suicidio e ahimè la morte, quella vera, in definitiva un’analisi degli elementi costituenti dell’ansia creativa che li conducevano alla sperimentazione e alla ricerca di nuove identità. Proprio qui sta il segreto di questo libro: non è un libro prettamente dedicato ai milanesi alternativi o ai dark d’Italia, ma ha l’intenzione – raccontando un’esperienza culturale – di spronare le nuove generazioni nella ricerca di se stessi, a intraprendere una via anticonformista e unica, mettiamoci persino autodistruttiva, eppure segnata dallo spirito d’appartenenza, dell’aggregazione e dalla dignità. Sognare insieme, pure se in negativo. Non sarebbe male ricominciare con gli “attacchi mentali” nelle vie dello shopping, azioni dimostrative che scoprirete nel libro. Come dire, un ottimo regalo di Natale in un’epoca terribilmente buia, ma specialmente per chi del Natale non sa che minchia farsene.
di Luca Pakarov
Music club 246, 7 dicembre 2013 Creature Simili – Il dark a Milano negli anni '80
"Mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro". Da queste premesse concettuali parte l'analisi di Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà sulla storia del dark a Milano negli anni Ottanta come moto di aggregazione di energie giovanili. Creature simili, (così la definizione del sentimento comune di chi ha sempre rifiutato l'approssimativa etichetta di "dark"), trae dalla viva voce dei protagonisti dell'epoca gli elementi per raccontare un momento storico ed una sensibilità, suddividendoli per nuclei tematici, ma mantenendo la freschezza della testimonianza diretta. Essenziale, per comprendere lo spirito del tempo, il ruolo della musica: Joy Division, Bauhaus, Siouxsie, Cure, tra gli altri, i nomi-simbolo di uno stato d'animo impresso nella memoria collettiva in modo indelebile, ed ancora attualissimo. Tra gli intervistati, Andy dei Bluvertigo, Garbo e alcuni componenti delle cult bands 2+2=5 e Camerata Mediolanense.
di Francesco Ferracuti
D di Repubblica, venerdì 15 novembre 2013 Di nuovo dark
Tenebroso e per qualcuno cupo, il dark ha segnato gli anni 80, per oltre un decennio emblema di una controcultura nata per reazione all'edonismo e al “colore” del tempo. Un modo di essere e apparire che ritorna oggi: dalla moda alla musica, dove alcune band culto come Joy Division, The Cure e Bauhaus, sono il bagaglio sonoro da cui giovani artisti riattingono. E poi: arte, cinema, libri. «Era un movimento pieno di vita e di idee», racconta Emanuela Zuccalà, autrice con Simone Tosoni di Creature simili in questi giorni in libreria. «Nato in aperta opposizione ai fenomeni legati alla Milano da bere, dai paninari agli yuppie, è stato vissuto con spirito di appartenenza e identificazione. Due valori oggi quasi interamente abbandonati dalle nuove generazioni, nonostante la cultura dark sia tutt'altro che finita nelle tenebre».
di Matteo Cioffi
www.corrierenews.it, 7 novembre 2013 Un fermano racconta la Milano degli anni ’80
Il fermano Simone Tosoni, docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dà alle stampe il volume Creature simili, interessante reportage sulla cultura “dark” nella Milano degli anni ’80, edito per i tipi di Agenzia X. Scritto a quattro mani con la giornalista d’inchiesta Emanuela Zuccalà, il libro vuol essere un’indagine sulla reazione giovanile all’atmosfera di sfrenato edonismo (“reaganiano”, direbbe il Roberto D’Agostino di "Quelli della Notte”) del decennio che concluse gli “anni di piombo”. “Occuparsi di dark come subcultura - spiega Tosoni - significa indagare il senso che ha assunto quella stagione per chi ne è stato protagonista. Così abbiamo preferito lasciare la parola a quelli che allora c’erano e partecipavano, chiedendo loro non tanto informazioni, quanto vissuti, sensazioni, idee, episodi. E, soprattutto, una descrizione personale della Milano del tempo”. E proprio la struttura agile, riccamente corredata da immagini dell’epoca e suddivisa per temi come la musica, l’estetica, la sessualità, rende il libro godibilissimo alla lettura ed estremamente interessante per chi voglia gettare uno sguardo sulla storia di un sentimento del tempo che ancor oggi si presenta vivo e vitale. Tra gli altri, notevoli gli interventi di artisti già all’epoca affermati o in via di formazione, come Garbo e Andy (ex componente dei Bluvertigo). Lungi dall’essere limitate ai luoghi milanesi, le esperienze che gli intervistati riportano sono comuni e condivise da chi all’epoca viveva una giovinezza fatta di riflessione interiore e sguardo critico alla realtà. Anche per questo motivo, il libro avrà tiratura nazionale e sarà presentato in anteprima al Festival della letteratura di Tropea, in svolgimento dal 5 al 10 novembre nell’omonima città. Tosoni sarà poi presente a Fermo e Civitanova Marche nel prossimo gennaio per alcuni incontri-dibattito. La copertina è dell’illustratrice Ambra Garlaschelli.
http://hotmag.me, 5 novembre 2013 Creature simili – il dark a Milano negli anni ottanta
“Siamo a Milano. La Milano degli anni ottanta che si odia o si ama, adesso come allora, senza vie di mezzo. E loro sono una macchia nera tra gente colorata, intolleranti a conformismi ed etichette, compresa quella con cui finiscono per essere conosciuti: dark.” Questo libro è un viaggio in un’epoca e in una cultura. Un viaggio attraverso testimonianze di vita vissuta, quasi fiabe nere di un’Italia che non c’è più. I giovani alternativi di ieri, così diversi e al tempo stesso così simili a quelli di oggi. Sognatori e randagi alla ricerca di un’identità collettiva, arrabbiati ed esteti. Ho letto Creature simili tutto d’un fiato, con un senso di gratitudine verso chi ha aperto la strada e fondato a Milano le radici di una subcultura che sin dalla più tenera età ho riconosciuto come mia. Vengo da una generazione successiva, è vero, ma mi sento accomunata ai resoconti che ho letto per la mia storia di adolescente timida, che si sentiva diversa dal resto del mondo e in un paesino minuscolo, vestita tutta di nero, veniva additata come strana. Non ho mai frequentato le discoteche commerciali come i miei coetanei, piuttosto rimanevo a casa a leggere un libro. Poi sono approdata alla scena dei centri sociali bolognesi, ma è stato quando per la prima volta mi hanno portata al Condor a Modena, che mi sono sentita a casa. Le storie della Milano degli anni ottanta assomigliano a quella della Bologna alternativa che non c’è più. La Bologna dell’Isola e delle occupazioni, la Bologna che mi raccontavano i ragazzi più grandi e di cui ho potuto vedere soltanto la coda, come quella di una stella cometa che ormai è passata, la Bologna che ho rincorso nel mio primo romanzo. Creature simili è un libro da leggere, un libro che mi ha entusiasmata e a tratti commossa. Il rischio era quello di risultare nostalgico mentre si tratta di un’opera lucida che descrive un periodo storico e sociale con pennellate vibranti e il punto di vista di chi vuole davvero far luce su una subcultura che ha tanto da raccontare. Lascio la parola ai due indagatori, Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà.

Come vi siete approcciati alla stesura di un’opera così complessa e articolata? Vorrei sapere i retroscena di questo vostro viaggio nel dark e come hanno reagito i protagonisti della scena degli anni ’80 quando li avete contattati per le interviste. In linea di massima, sono stati sospettosi o entusiasti nel regalare le loro testimonianze?
Dunque: il libro ha avuto una gestazione piuttosto lunga e travagliata, soprattutto per i nostri mille impegni. L’idea è nata quasi tre anni fa, quando al Mono Davide Rossi e i suoi soci hanno organizzato una mostra fotografica sul dark negli anni Ottanta: mi era piaciuta tantissimo, e avevo proposto a Davide di farne un libro. Abbiamo anche iniziato a lavorarci insieme, ma poi gli impegni legati alla gestione del bar ci hanno imposto un cambio di squadra: Davide è diventato uno dei nostri intervistati ed è subentrata Emanuela Zuccalà che, oltre a essere da sempre una mia amica, è una giornalista molto brava. Lei si occupa soprattutto di storie di donne (il suo ultimo libro parla di donne e ’ndrangheta), ma la sapevo interessata a questi temi. Così, siamo andati avanti con le interviste e quando, intorno al febbraio scorso, abbiamo trovato tutti e due una finestra di tempo libero nelle nostre agende, abbiamo spinto tantissimo con la scrittura, riuscendo a chiudere per settembre. Ed eccoci qua. Devo dire che avendo fatto tanto lavoro prima, la stesura è andata molto liscia: io ed Emanuela siamo riusciti a trovare un approccio comune molto in fretta. Ogni capitolo è stato discusso a fondo e rivisto insieme diverse volte, quindi si tratta veramente di un libro scritto in comune. Il problema semmai è stato tagliare: il prodotto finale è già bello corposo, sulle 320 pagine, ma la prima versione che abbiamo mandato all’editore, Agenzia X, era di oltre 450! Sono svenuti. Per quanto riguarda le interviste, sono fondamentali per il libro. L’idea era lasciare il più possibile la parola a chi in quegli anni c’era e ha vissuto questa esperienza. Abbiamo intervistato 24 persone, scegliendole in modo da avere la più ampia visione possibile nel dark degli anni ’80: dj, artisti, organizzatori culturali, ma anche gente comune. C’è anche qualcuno che in seguito sarebbe diventato famoso in campo musicale, come Garbo e Andi dei Bluvertigo. Le interviste non sono però pubblicate integralmente: le abbiamo smontate e rimontate per temi, intrecciando in ciascun capitolo le voci di tutti. Volevamo che ciascun tema emergesse da un coro di voci differenti, anche se alla fine ci si affeziona ai diversi “personaggi”, che in fondo raccontano di sé e della propria vita. Proprio per questo le interviste sono state molto intense: è stata anche l’occasione per conoscere a fondo qualcuno con cui avevamo solo una frequentazione superficiale. La cosa veramente difficile è stato però “riportare la gente indietro nel tempo”: far loro recuperare la prospettiva di venticinque anni fa, quando erano adolescenti. È una cosa delicata e faticosa, che avviene lentamente. Per questo le interviste sono state in realtà molto libere – e molto lunghe, anche 3 o 4 ore l’una. Ma alla fine, direi che la cosa ha funzionato.

Il dark a Milano ha visto disgregarsi tanti dei suoi punti di riferimento, dal Virus all’Helter Skelter, all’Hysterika tanto per citarne alcuni. Nel frattempo, sono sorti nuovi pilastri?
Non è rimasto moltissimo, in realtà: oggi ci sono alcuni locali di riferimento, come lo Shelter di Colturano, dove il 15 novembre faremo la presentazione del libro per il circuito dark (quella un po’ più istituzionale, per i giornalisti ma anche per chi non fa propriamente parte del giro, la faremo invece al Mono il 5 di dicembre). Ma la cosa che è cambiata di più è che, a partire direi dalla metà degli anni ’90 il dark si è chiuso nei locali, mentre negli anni ’80 era fondamentale “punteggiare di nero” la città: scegliersi i propri luoghi nello spazio pubblico, dove trovarsi e radunarsi. E anche dare un po’ fastidio e shockare “visivamente”.

Tra le storie di vita e testimonianze che avete raccolto c’è qualcosa che vi ha colpito particolarmente?
Impossibile scegliere: alla fine, i nostri intervistati siamo arrivati ad amarli tutti. Certo: ogni voce ha le sue specificità. C’è chi è più attento agli aspetti politici dell’esperienza e chi a quelli più intimisti, chi ha un modo di raccontare più frizzante e divertente e chi invece è più riflessivo, ma queste differenze alla fine fanno, almeno secondo noi, la forza del libro.

Giovani con la voglia di vivere una rivoluzione culturale, alla ricerca di un’identità collettiva nonostante parlassero di quel “no future” che tanto era contestato dal movimento punk. Chi erano i dark, ieri?
Li hai descritti benissimo: una serie di persone – di ragazze e ragazzi – che per mille motivi diversi non volevano o non riuscivano a omologarsi al nuovo corso degli anni ’80, che proponeva il divertimento spensierato e individualistico come stile di vita, il successo personale a ogni costo come suo obiettivo, e contemporaneamente reprimeva duramente le forme di espressione – e di vita – non allineate e alternative.

E chi sono oggi le creature simili?
Molto difficile da dire: ci vorrebbe un altro libro! Sicuramente si tratta di un mondo molto diversificato al suo interno, per altro anche per età: molti dei nostri intervistati frequentano ancora il giro, insieme a molti altri di altre generazioni. Quello che è sicuro, è che quello che scriviamo vale solo per gli anni ’80. Quel ciclo si è concluso: oggi il dark è diventato qualcosa di diverso sotto molti punti di vista. Non dico peggiore, migliore o meno interessante, ma sicuramente diverso. Le radici però sono quelle, e proprio per questo ci premeva raccontarle a chi non c’era.

Negli anni ’80 i dark facevano una sorta di rivoluzione estetica. Scuotevano gli occhi dei benpensanti, colpivano duro con il loro aspetto e a volte rischiavano il posto di lavoro per non tagliarsi i capelli o non rinunciare al total black. Oggi che, in città, tutti ormai sembrano abituati a tutto, ha ancora senso questo discorso? O più che altro l’estetica dimostra un senso di appartenenza? Ancora, oggi può capitare che il dark venga inseguito per moda e che i giovanissimi abbigliati di nero non sappiano neppure chi sono i Joy Division. Cosa ne pensate di questo stacco generazionale?
Non siamo nostalgici di un periodo che, come è ovvio, si è concluso. La nostalgia, il più delle volte, è mortifera. Ed è praticamente impossibile oggi segnalare vistosamente la propria differenza a partire dall’estetica, che viene immediatamente fagocitata o rischia di debordare nel cosplaying. Quello che segnali è però sicuramente vero: per questo diciamo che oggi il dark è diventato altro. L’impressione che ho io è che convivano modi di viverlo molto diversi tra loro: ma questo avveniva anche negli anni ’80, con una componente più modaiola, un’altra più convinta, e un’altra ancora fortemente politicizzata. Un altro esempio che ci invita alla cautela nel formulare giudizi: è vero che oggi il senso di appartenenza alla subcultura è più temporaneo e parziale, ma è anche vero che questo vale per ogni tipo di appartenenza, non solo per quella subculturale. In sostanza, per dirti di più, queste nuove generazioni le dovremmo intervistare: ma questo è, veramente, un altro libro. Uno dei motivi che ci ha spinto a scrivere Creature simili (oltre a capire noi stessi il senso di quell’esperienza, che era anche la nostra) è stato proprio la voglia di raccontare, a chi delle “nuove leve” fosse interessato, da dove viene e è arrivato fin qui. La copertina e le illustrazioni che corredano l’articolo sono della talentuosa Ambra Garlaschelli (www.ambragarlaschelli.com).
di Barbara Baraldi

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