nikilzine.it , 11 aprile 2021Apocalypso disco e l’universo breakcore-gabber di DJ Balli
Il 28 aprile 2023 DJ Balli dell’etichetta breakcore/gabber (e di generi affini) Sonic Belligeranza è stato ospite a Taranto da Mexico 70 per due set – un concerto con i Game Boy e un DJ-set in stile chopped & screw (hit degli anni ’80-’90 rallentate). Le sue esibizioni sono state ben accolte, e hanno dimostrato, ancora una volta, quanto suoni in tutto e per tutto urbani possono essere metabolizzati molto bene nella provincia italiana. Nonostante qualche inconveniente tecnico, il set con i Game Boy è stato fruito con entusiasmo, il quale ha visto la partecipazione di altrettanto incuriosito pubblico, le cui discussioni, incentrate sulla presentazione del libro Apocalypso disco da parte di DJ Balli, si sono incentrate sul fenomeno post-rave attuale.
Privatamente, in quell’occasione, abbiamo scambiato due parole con DJ Balli, un percorso che ha attraversato il succitato libro (per l’appunto Apocalypso disco, uscito per Agenzia X nel 2013) oltre ad una parte delle sue uscite discografiche. Di seguito l’intervista.
Apocalypso disco approfondisce il tema dell’innovazione della musica e arte attraverso le potenzialità della EDM; attraverso racconti, saggi brevi ed interviste, il tutto permeato da una tagliente ironia accattivante, vengono presentati innovazioni in corso del genere che si evolve tramite il breakcore sparso in Europa, l’extratone e l’8-bit music, nonché la controparte grafica della scena. Descrivici in sintesi i temi che più ti sono cari nel libro, o magari qualche aneddoto.
Di base Apocalypso disco si occupa, come recita il sottotitolo del libro, della “Rave-o-luzione della post-techno”, nello specifico di tutto ciò che è il suono post-rave, ovvero tutto quello che è successo successivamente a quando quella bomba atomica chiamata techno è stata lanciata sul pianeta Terra, probabilmente a Detroit o a Chicago. Dopo questa esplosione i rivoli della detonazione, ovvero il suono post-rave, hanno iniziato a diffondersi un po’ in giro su tutto il globo, e Apocalypso disco indaga per l’appunto proprio questi rivoli, analizzando scene che hanno avuto un pubblico numeroso come quella della psy-trance o goa, o della dubstep, la bass music, ovvero generi famosi nel contesto della musica elettronica da ballo; vengono trattati anche generi minoritari, come extratone, la musica sopra i 1000 bpm, il breakcore, un genere di cui in parte si occupa la mia etichetta Sonic Belligeranza, che nasce dall’unione di ritmiche nere velocizzate e suoni industriali della tradizione bianca e della musica colta contemporanea. Il libro indaga tutti questi microsuoni e macrosuoni succeduti allo scoppio della bomba techno, e lo fa attraverso racconti orali, in prima persona e biografici, saggistica, interviste – un vero Zibaldone – e lo fa attraverso anche il remix letterario, che è una forma o un’idea a cui in parte ho voluto dare un’inclinazione mia personale, in cui, partendo dal remix, in ambito di DJ-ing, ho voluto applicare la stessa tecnica, lo stesso concetto alla letteratura, prendere dei testi letterari e remixarli.
Un esempio di remix letterario presente in Apocalypso disco, che nasce dall’esigenza di presentare gli stili di strada e i suoni delle tribù post-techno e post-rave, è l’incipit di un romanzo di Philip K. Dick (lo scrittore di Ubik, La svastica sul sole, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, ma anche di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, da cui è stato tratto il film Blade Runner di Ridley Scott, ndr), che è Follia per sette clan, un romanzo minore molto interessante, in cui si ipotizza che sulla luna alphana venissero deportati i malati di mente dal pianeta Terra, i quali si organizzano secondo delle tribù i cui riti o comportamenti sono collegati alla patologia in oggetto; ci sono gli skiz (gli schizofrenici, ndr), i dep (i depressi, ndr), i para (i paranoici, ndr), con tutte le caratteristiche che la malattia causa; ad esempio i paranoici, prima di andare in una sala d’incontro, mandano un droide per vedere se non c’è una bomba – e questa cosa mi sembrava che risuonasse molto con l’universo delle tribù post-rave e sottogeneri. Non voglio dire che chi ascolta queste tipologie di suoni sia un matto, ma quello che voglio far intendere è che in tali contesti vi sono delle aggregazioni e affiliazioni tipo tribù, in cui il suono elettronico struttura il brain-frame, la capacità di conoscere la realtà e interpretarla. Quindi abbiamo il minimal, la cui musica è ripetitiva e legata alla techno, che ripete più volte la stessa frase in una conversazione; poi abbiamo il gabber che è rissoso, l’ambient che è mellifluo e pacificante, il goa-trance latamente fricchettone e via dicendo. Con questo ho inaugurato la mia pratica da “scrittore” per quanto riguarda il remix letterario poi perseguita in tutti i miei libri successivi.
Nel capitolo “Come si cura un gabber” poni una riflessione di come rendere stimolante una musica più conservativa dal tratto machista quale la gabber, ovvero di come apportare elementi eterodossi ispirati da più generi. Potresti spiegarci meglio a livello di impatto socioculturale il motivo di queste scelte stilistiche. Cosa ti colpisce positivamente della musica gabber?
A me della musica gabber colpisce molto l’aggressività e l’aspetto violento, e ho apprezzato che vi sia stato un ritorno della gabber negli ultimi tempi, anche su altre prospettive legate agli interessi del mondo dell’arte contemporanea, delle riviste di moda, che per l’appunto hanno puntato molto sull’abbigliamento gabber. C’è stato un ritorno di attenzione per la musica gabber, che ha dei pro e dei contro. I pro sono che ha portato sul dancefloor una musica aggressiva, è tornata ad essere in auge la possibilità che musica dance possa “spaccare”. In un certo senso potremmo dire che la gabber sta alla techno, come il punk sta al rock, o volendo essere più specifici ed incisivi come il punk oi sta al rock. E qui introduco il discorso ideologico – mi sono occupato della gabber in una monografia, ovvero Sbrang gabba gang (per Agenzia X, ndr), un libro successivo che è uscito nel 2019, sottotitolato “Ricostruzione gabber dell’universo” – ma in Apocalypso disco mi occupo molto dell’aspetto ideologico e cerco di decostruire una credenza attualmente molto sfatata anche da questo ritorno della gabber negli anni ’10, ovvero che la gabber sia la musica dei nazi. È vero che la gabber ha una percentuale di interesse da parte di gente che si dichiara di destra, però non è una musica esclusivamente di destra, è una musica totalmente apolitica, puntata ad un edonismo sfrenato, in cui sul dancefloor si confrontano faune diversissime e dalle ideologie altrettanto diverse ma non ben chiare. Un movimento molto eterogeneo e molto interessante. Nel capitolo, “Come si cura un gabber” in Apocalypso disco vengono chiariti gli aspetti ideologici che stanno dietro la musica gabber.
Viene citato in diversi punti Venetian Snares nel libro, in rapporto al genere breakcore. Penso che il suo contributo sia stato vitale nel genere e sia andato oltre per via di un approccio rigorosamente complesso e ritmicamente massimalista. Un esempio di come il genere dancefloor, seppur spesso additato come conservatore, può generare fervide situazioni. Pensi che ci stiamo avvicinando sempre di più ad un abbattimento dei muri tra i generi musicali?
In parte sì, però ci si sta muovendo in questa direzione, ovvero verso lo sfondamento di tutti i generi musicali inteso come un nuovo genere musicale, quello del non avere generi, ma che ultimamente viene inteso però come un genere musicale; mi riferisco ad etichette che io non ho mai amato come la Warp Records, che comunque sono state ispiratrici al contrario, nel senso che mi sono sempre mosso in netta opposizione ad esse. Se queste label tiravano fuori l’intelligent dance music, a me piaceva la “stupid dance music”, nel senso di una musica che non rivaluta il cervello ma lo manda in cortocircuito stabilendo la superiorità dei corpi che vibrano a frequenze dinamiche, ciò che rende la musica dance “sperimentale” è il fatto che il sound si muove “in cospirazione” con il modo di vestirsi, il modo di parlare, il modo di muovere il proprio corpo dando vita ad un nuovo linguaggio di strada, folklore metropolitano. In questa fusione sta la cifra innovativa della musica dance, che dà qualcosa di nuovo rispetto al mondo della cosiddetta sperimentale, che rischia di rimanere ancorato in un solipsismo un po’ fuori dalla reale innovazione.
Tornando alla Warp, recentemente si è proposta come etichetta post-genere, e in generale adesso il post-genere è diventato un genere, e non c’è niente di più negativo per me nei confronti di chi, come i produttori di breakcore, che avevano fatto a pezzi tutti i generi per poi creare un nuovo genere prima del post-genere. In questo senso io sono molto critico nei confronti del cosiddetto post-club, oppure il deconstructed club o la conceptronics – la musica dance ha bisogno ogni tanto di nuove etichette per vendere i propri prodotti, i propri festival, i propri dischi, digitali o non. Dietro il post-club penso che ci sia un tentativo di creare una nuova scena, che è un ri-masticamento di cose che già esistevano. Quindi questa mancanza di genere, questo sconfinamento dei generi penso che sia una cosa positiva, anche se rilevo che attualmente sia una cosa limitante perché viene codificato come un genere. Un genere che non fa ballare, che si ferma in un intellettualismo, in una rimasticatura dell’IDM anni ’90, che già non era la mia cup of tea come dicono gli inglesi. Comunque all’IDM o brain dance riconosco una specificità di linguaggio che non è il mio ma che apprezzo, mentre con il post-club abbiamo una musica che è cervellotica ma non, utilizzando un termine inglese, it doesn’t deliver, non arriva al dunque, non arriva al dancefloor…
Non arrivano all’empatia, alle emozioni…
Sì, diciamo che la scena si pone esteticamente come non empatica, da cui il trionfo della macchina, dell’anti-umano, che è in realtà però è una proiezione fobica molto umana e semplicistica…
Infatti il tutto è permeato da immagini forti…
… Forse questa è un’immagine un po’ scontata di anti-umano. Invece come ti dicevo credo che la musica abbia il potere attraverso la incorporizzazione e la corto-circuitazione della razionalità di creare in combutta con il modo di abbigliarsi, il modo di parlare e di muoversi uno stile che è veramente sperimentale; questa è la grandezza della musica dance. In questo senso la musica post-club non è una musica dance che secondo me non lascerà un segno particolarmente innovativo.
Parliamo delle uscite discografiche. Boyscout-Ravers Must Die! È un turbine di cacofonie tra rave scadente e disorganizzata e musica suonata dalla comunità boyscout. Il concept allude all’analogia tra rave-party e accampamenti scout, entrambi localizzati fuori i centri urbani per obiettivi poco contemplabili o lusinghieri nel nome della musica sperimentale. Il movimento rave in quegli anni (la release è stata pubblicata nel 2007) stava vivendo un momento di decadenza, complice probabilmente l’utilizzo non solo di ecstasy ma anche di droghe pesanti come cocaina ed eroina. Raccontaci del tuo pensiero dietro questo disco. In più ci vuoi parlare dei sample presenti di talk televisivi/radiofonici, in cui compare il bizzarro personaggio RC Collins?
Il disco nasce da un episodio che mi è successo. Innanzitutto io ho cominciato a fare breakcore in Italia in tempi non sospetti dal 1996, da quando sono tornato da Londra, e ho sempre suonato questa musica che non veniva molto bene intesa. All’epoca andava di moda la jungle e la drum ‘n’ bass, e quando mettevo qualche disco breakcore qualcuno mi diceva “Ma che è, era rovinato il vinile?”. Andavo a suonare anche ai rave, e una volta capitai a suonare in questo rave degli Hazard forse il soundsystem più aperto nel nostro paese in termini di generi che lasciavano suonare; lì avevo 30, 40 seguaci – la zona era quella di Verona – più un migliaio di raver. Comincio a suonare drum ‘n’ noize, break e cassa gabber velocissime e dopo qualche decina di minuti una raver, che non ne poteva più, a cui probabilmente stavo rovinando la festa e la pastiglia che calava, mi lancia una secchiata d’acqua. Io continuo a suonare sostenuto dai miei Lancillotti e riesco a finire il mio set continuando a suonare breakcore. Da lì l’idea di canzonare bonariamente i raver; come ti dicevo io sono di Bologna centro, e Bologna con Piazza Verdi era la Mecca dei punkabbestia, dei teknoraver, con l’abbigliamento classico, la maglietta di Michael Jordan con il numero 23, i dreadlock, il pantaloncino da basket largo, il marchio Pitbull come riferimento per l’abbigliamento e il cappello da baseball tirato indietro. Questa era diventata l’uniforme dei teknoraver, i quali anche loro come i raver andavano nei boschi, e l’idea era quella di associare l’abbigliamento dei punkabbestia alle uniformi dei boyscout, tutti ritrovatisi felicemente ad un party illegale. Da qui nasce l’idea di Boyscout-Ravers Must Die!, ovvero remix di canzoni scout in chiave gabber/breakcore, con la ciliegina sulla torta alla fine dei due lati di questi parlati deliranti – il politically correct non era così imperante – in cui si sente questo personaggio di nome RC Collins che, da una college radio, farnetica, sostenendo che la cultura boyscout sta rovinando la nuova gioventù americana spingendola a diventare gay, facendo l’equazione classica che essere boyscout vuol dire essere gay.
Bally Corgan unisce due polarità in musica, l’harsh noise e l’alternative rock degli Smashing Pumpkins di Billy Corgan (compaiono 1979 e Tonight, Tonight), autore con cui hai delle somiglianze esclusivamente fisico-facciale. Il due pezzi presentano rumore diversificato su larga scala e per nulla omogeneo; sembra che si voglia colpire la standardizzazione del songwriting più blasonato, oppure in secondo luogo una presa in giro quasi goliardica, in cui Corgan sembra essere più una vittima non complice dei fatti. Parlaci di questa uscita e dicci qual è l’interpretazione del disco più vera tra le due esposte.
In entrambe c’è la verità, ma ce n’è anche un’altra che è contenuta in questo altro mio libro, Frankenstein goes to holocaust (uscito per Agenzia X nel 2016, ndr), che è un libro sul fare musica soffiando musica agli altri. Come in tutti i miei libri c’è una parte narrativa e una non-narrativa, in cui la narrativa è funzionale al concept del libro. Nella sezione non-narrativa viene ricostruita cronologicamente la storia del non-genere di fare musica utilizzando musiche di altre. Dalla musica classica (i remix delle ouverture erano qualcosa di assai comuni centinaia di anni prima del primo dj), a John Oswald, il maestro della “plunderphonia”, alla vicenda dell’Amen break, i 7 secondi di musica più campionati di tutti i tempi, alla vertenza legale U2 versus Negativaland, alla nascita dell’hip-hop sincopata da Grandmaster Flash sul basso di Another One Bites the Dust dei Queen, al breakcore, alla Witch-House, alle tecniche di Iper Mash-Up etc etc. Mi stavo per dimenticare il mio contributo Bally Corgan, con cui sono andato oltre l’idea di soffiare musica dagli altri, si tratta ora di soffiare la personalità. Campionare gli Smashing Pumpkins e mescolarli all’harsh noise, sarebbe stata una roba innovativa negli anni ’80 magari, come Bally Corgan io ho voluto proprio fregare la personalità a livello situazionista, giocando su questa somiglianza che mi viene attribuita al leader degli Smashing per mettere insieme questo esperimento sonoro-sociale che consiste nell’organizzare finti eventi di reading di poesia con Billy Corgan/Bally Corgan. Non dico altro, compratevi il libro o scaricatevelo e vi garantisco che ve la riderete con Billy/Bally tombeur de femme. Nella sezione narrativa invece c’è una riscrittura del Frankenstein della Shelley in cui il mostro non è la creatura sproporzionata composta di organi da provenienze diverse, ma il Frankenstein sonoro ovvero il mega-mix composto da musiche di tutti i tipi spesso inconciliabili tra di loro, dal black-metal alla musica hawaiana.
The Definitive Music To Make Human Pyramids With, impostata su una musica gabber quanto più adrenalinica, ripercorre alcuni spunti nella pratica della comunità per l’appunto gabber di creare piramide umane nei loro eventi, andando dall’Antico Egitto fino a qualche caso italiano. Sembra che ci sia stato nella storia una storia una creatività tutta machista di derivazione futurista, che tu hai posto con una vena giocosa ed intelligente, a mo’ di scherzo su di esso, facendo in questo modo convergere attitudini opposte. Parlaci del concept del disco, delle origini e le reali intenzioni.
L’idea è quella di avere un approccio gabber-antropologico, ovvero di ricercare attraverso la storia dell’umanità questa pratica di fare piramidi umane, che è un tratto distintivo della scena gabber esclusivamente italiana, mi riferisco alle piramidi che si facevano al Number One, un locale in provincia di Brescia, a fine serata. E quindi da lì, dal rito di questa sottocultura dei gabber italiani, degli Hardcore Warrior, altra nostra specificità nazionale, l’intento sarebbe di portare all’estremo questa idea della piramide, andando a ricercare dei segnali di piramidi umane nella storia dell’umanità, a partire dall’Antico Egitto, a cui risale un ritrovamento archeologico in cui è stata ritracciata una struttura di ossa disposte a piramide, che è (o può ritenersi, ndr) il primo esemplare di piramide umana… Citando altri riferimenti, compaiono i Castell, che sono una pratica tradizionale di creazione di piramidi umane della Catalogna, la quale è stata inserita nel patrimonio dell’UNESCO, ed infatti lì esistono delle vere e proprie scuole nel fare le piramidi umane… al Botaoshi, una disciplina estrema giapponese, uno sport, una specie di ruba-bandiera in cui ci si mena come dei dannati, in cui le squadre si raccolgono tipo testuggine o formando un ammasso di persone in piramide… alle Forze D’Ercole, che sono delle piramidi che si facevano nell’antica Venezia ai tempi in cui la città era parte delle Città Marinare. Viene indagato con riferimenti sonoro-antropologici, attraverso tracce gabber, questa cosa delle piramidi umane.
Diciamo che non viene preso in giro il machismo della gabber, anzi viene esaltato, tanto da farlo sembrare gay. Tu l’hai presa come una presa in giro, e ne prendo atto. Per esempio hai citato il riferimento ai marines, che tratta della loro pratica nel fare piramidi che i novizi devono scalare, come quella al monolite di Herndon, Virginia, che finisce col sembrare praticamente un fallo cosparso di frutta andata a male. Quindi un’esibizione del machismo fino al punto di far sembrare i marines dei ricchionazzi!
Polka Bolognoise Vol.2 è caratterizzato da suoni eseguiti al Game Boy in versione polka, con il contributo di Lapo Boschi. In questo concept si trova l’analogia tra la breakcore e alcuni dei balli quasi acrobatici della polka ballata nelle sale da liscio a Bologna, come la “polka chinata”, una performance esclusivamente maschile per via dei movimenti molto vorticosi e dinamici, ovvero per la bassa emancipazione della della donna in periodo post-bellico. Nel disco emerge un suono moderno con uno sguardo al passato locale, andando così a definire un’idea di breakcore continuativa e quanto più autoctona, con una sana ed intelligente dose di ironia. Condividi questa visione? Parlaci in dettaglio dell’idea dietro Polka Bolognoise Vol. 2.
Volente o nolente il liscio, la Filuzzi, è la musica rave autoctona di noi emiliani (sono di Bologna), da cui Polka Bolognoise. È un sound che a me, forse con un pizzico di ironia, piace… In questo secondo volume di Polka Bolognoise (in quanto esiste una prima uscita, sempre su cassetta e digitale), vado ad indagare la inconsueta forma di Filuzzi chiamata Polka Chinata, che è un ballo in cui ci si aggancia gli uni agli altri e si piroetta in maniera continua. Tale versione della polka è nata nel dopoguerra, sotto i portici, e per ballarla bisognava avere dei requisiti atletici non banali. Mi piaceva trovare questa continuità con essa, in quanto una sorta di breakdance locale, petroniana, d’altra parte anche la breakdance era legata indissolubilmente allo spazio urbano. Siamo nel caso in cui il passato è il futuro remoto.
Per concludere parlaci dei prossimi progetti a livello discografico o bibliografico.
Stiamo lavorando per + Belligeranza (sottoetichetta di Sonic Belligeranza, promotrice di suoni e noise, concettuale, rumore sì, ma con un’idea, un concept, dietro) a un disco che vede l’aspirapolvere come elemento chiave. Il progetto, di nome Dyson, vede due musicisti: Steve Vileda e Renz Rowenta. Ci saranno dei remix di suoni d’aspirapolvere in versione free jazz. Dimenticatevi il sax di John Zorn e tutto il resto, adesso l’aspirapolvere è la “nuova cosa” del nel mondo dell’improvvisazione radicale. Un lato del disco sarà remixato da me, l’altro lato da Domestic Arapaima.
di Giovanni PanettaPrivatamente, in quell’occasione, abbiamo scambiato due parole con DJ Balli, un percorso che ha attraversato il succitato libro (per l’appunto Apocalypso disco, uscito per Agenzia X nel 2013) oltre ad una parte delle sue uscite discografiche. Di seguito l’intervista.
Apocalypso disco approfondisce il tema dell’innovazione della musica e arte attraverso le potenzialità della EDM; attraverso racconti, saggi brevi ed interviste, il tutto permeato da una tagliente ironia accattivante, vengono presentati innovazioni in corso del genere che si evolve tramite il breakcore sparso in Europa, l’extratone e l’8-bit music, nonché la controparte grafica della scena. Descrivici in sintesi i temi che più ti sono cari nel libro, o magari qualche aneddoto.
Di base Apocalypso disco si occupa, come recita il sottotitolo del libro, della “Rave-o-luzione della post-techno”, nello specifico di tutto ciò che è il suono post-rave, ovvero tutto quello che è successo successivamente a quando quella bomba atomica chiamata techno è stata lanciata sul pianeta Terra, probabilmente a Detroit o a Chicago. Dopo questa esplosione i rivoli della detonazione, ovvero il suono post-rave, hanno iniziato a diffondersi un po’ in giro su tutto il globo, e Apocalypso disco indaga per l’appunto proprio questi rivoli, analizzando scene che hanno avuto un pubblico numeroso come quella della psy-trance o goa, o della dubstep, la bass music, ovvero generi famosi nel contesto della musica elettronica da ballo; vengono trattati anche generi minoritari, come extratone, la musica sopra i 1000 bpm, il breakcore, un genere di cui in parte si occupa la mia etichetta Sonic Belligeranza, che nasce dall’unione di ritmiche nere velocizzate e suoni industriali della tradizione bianca e della musica colta contemporanea. Il libro indaga tutti questi microsuoni e macrosuoni succeduti allo scoppio della bomba techno, e lo fa attraverso racconti orali, in prima persona e biografici, saggistica, interviste – un vero Zibaldone – e lo fa attraverso anche il remix letterario, che è una forma o un’idea a cui in parte ho voluto dare un’inclinazione mia personale, in cui, partendo dal remix, in ambito di DJ-ing, ho voluto applicare la stessa tecnica, lo stesso concetto alla letteratura, prendere dei testi letterari e remixarli.
Un esempio di remix letterario presente in Apocalypso disco, che nasce dall’esigenza di presentare gli stili di strada e i suoni delle tribù post-techno e post-rave, è l’incipit di un romanzo di Philip K. Dick (lo scrittore di Ubik, La svastica sul sole, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, ma anche di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, da cui è stato tratto il film Blade Runner di Ridley Scott, ndr), che è Follia per sette clan, un romanzo minore molto interessante, in cui si ipotizza che sulla luna alphana venissero deportati i malati di mente dal pianeta Terra, i quali si organizzano secondo delle tribù i cui riti o comportamenti sono collegati alla patologia in oggetto; ci sono gli skiz (gli schizofrenici, ndr), i dep (i depressi, ndr), i para (i paranoici, ndr), con tutte le caratteristiche che la malattia causa; ad esempio i paranoici, prima di andare in una sala d’incontro, mandano un droide per vedere se non c’è una bomba – e questa cosa mi sembrava che risuonasse molto con l’universo delle tribù post-rave e sottogeneri. Non voglio dire che chi ascolta queste tipologie di suoni sia un matto, ma quello che voglio far intendere è che in tali contesti vi sono delle aggregazioni e affiliazioni tipo tribù, in cui il suono elettronico struttura il brain-frame, la capacità di conoscere la realtà e interpretarla. Quindi abbiamo il minimal, la cui musica è ripetitiva e legata alla techno, che ripete più volte la stessa frase in una conversazione; poi abbiamo il gabber che è rissoso, l’ambient che è mellifluo e pacificante, il goa-trance latamente fricchettone e via dicendo. Con questo ho inaugurato la mia pratica da “scrittore” per quanto riguarda il remix letterario poi perseguita in tutti i miei libri successivi.
Nel capitolo “Come si cura un gabber” poni una riflessione di come rendere stimolante una musica più conservativa dal tratto machista quale la gabber, ovvero di come apportare elementi eterodossi ispirati da più generi. Potresti spiegarci meglio a livello di impatto socioculturale il motivo di queste scelte stilistiche. Cosa ti colpisce positivamente della musica gabber?
A me della musica gabber colpisce molto l’aggressività e l’aspetto violento, e ho apprezzato che vi sia stato un ritorno della gabber negli ultimi tempi, anche su altre prospettive legate agli interessi del mondo dell’arte contemporanea, delle riviste di moda, che per l’appunto hanno puntato molto sull’abbigliamento gabber. C’è stato un ritorno di attenzione per la musica gabber, che ha dei pro e dei contro. I pro sono che ha portato sul dancefloor una musica aggressiva, è tornata ad essere in auge la possibilità che musica dance possa “spaccare”. In un certo senso potremmo dire che la gabber sta alla techno, come il punk sta al rock, o volendo essere più specifici ed incisivi come il punk oi sta al rock. E qui introduco il discorso ideologico – mi sono occupato della gabber in una monografia, ovvero Sbrang gabba gang (per Agenzia X, ndr), un libro successivo che è uscito nel 2019, sottotitolato “Ricostruzione gabber dell’universo” – ma in Apocalypso disco mi occupo molto dell’aspetto ideologico e cerco di decostruire una credenza attualmente molto sfatata anche da questo ritorno della gabber negli anni ’10, ovvero che la gabber sia la musica dei nazi. È vero che la gabber ha una percentuale di interesse da parte di gente che si dichiara di destra, però non è una musica esclusivamente di destra, è una musica totalmente apolitica, puntata ad un edonismo sfrenato, in cui sul dancefloor si confrontano faune diversissime e dalle ideologie altrettanto diverse ma non ben chiare. Un movimento molto eterogeneo e molto interessante. Nel capitolo, “Come si cura un gabber” in Apocalypso disco vengono chiariti gli aspetti ideologici che stanno dietro la musica gabber.
Viene citato in diversi punti Venetian Snares nel libro, in rapporto al genere breakcore. Penso che il suo contributo sia stato vitale nel genere e sia andato oltre per via di un approccio rigorosamente complesso e ritmicamente massimalista. Un esempio di come il genere dancefloor, seppur spesso additato come conservatore, può generare fervide situazioni. Pensi che ci stiamo avvicinando sempre di più ad un abbattimento dei muri tra i generi musicali?
In parte sì, però ci si sta muovendo in questa direzione, ovvero verso lo sfondamento di tutti i generi musicali inteso come un nuovo genere musicale, quello del non avere generi, ma che ultimamente viene inteso però come un genere musicale; mi riferisco ad etichette che io non ho mai amato come la Warp Records, che comunque sono state ispiratrici al contrario, nel senso che mi sono sempre mosso in netta opposizione ad esse. Se queste label tiravano fuori l’intelligent dance music, a me piaceva la “stupid dance music”, nel senso di una musica che non rivaluta il cervello ma lo manda in cortocircuito stabilendo la superiorità dei corpi che vibrano a frequenze dinamiche, ciò che rende la musica dance “sperimentale” è il fatto che il sound si muove “in cospirazione” con il modo di vestirsi, il modo di parlare, il modo di muovere il proprio corpo dando vita ad un nuovo linguaggio di strada, folklore metropolitano. In questa fusione sta la cifra innovativa della musica dance, che dà qualcosa di nuovo rispetto al mondo della cosiddetta sperimentale, che rischia di rimanere ancorato in un solipsismo un po’ fuori dalla reale innovazione.
Tornando alla Warp, recentemente si è proposta come etichetta post-genere, e in generale adesso il post-genere è diventato un genere, e non c’è niente di più negativo per me nei confronti di chi, come i produttori di breakcore, che avevano fatto a pezzi tutti i generi per poi creare un nuovo genere prima del post-genere. In questo senso io sono molto critico nei confronti del cosiddetto post-club, oppure il deconstructed club o la conceptronics – la musica dance ha bisogno ogni tanto di nuove etichette per vendere i propri prodotti, i propri festival, i propri dischi, digitali o non. Dietro il post-club penso che ci sia un tentativo di creare una nuova scena, che è un ri-masticamento di cose che già esistevano. Quindi questa mancanza di genere, questo sconfinamento dei generi penso che sia una cosa positiva, anche se rilevo che attualmente sia una cosa limitante perché viene codificato come un genere. Un genere che non fa ballare, che si ferma in un intellettualismo, in una rimasticatura dell’IDM anni ’90, che già non era la mia cup of tea come dicono gli inglesi. Comunque all’IDM o brain dance riconosco una specificità di linguaggio che non è il mio ma che apprezzo, mentre con il post-club abbiamo una musica che è cervellotica ma non, utilizzando un termine inglese, it doesn’t deliver, non arriva al dunque, non arriva al dancefloor…
Non arrivano all’empatia, alle emozioni…
Sì, diciamo che la scena si pone esteticamente come non empatica, da cui il trionfo della macchina, dell’anti-umano, che è in realtà però è una proiezione fobica molto umana e semplicistica…
Infatti il tutto è permeato da immagini forti…
… Forse questa è un’immagine un po’ scontata di anti-umano. Invece come ti dicevo credo che la musica abbia il potere attraverso la incorporizzazione e la corto-circuitazione della razionalità di creare in combutta con il modo di abbigliarsi, il modo di parlare e di muoversi uno stile che è veramente sperimentale; questa è la grandezza della musica dance. In questo senso la musica post-club non è una musica dance che secondo me non lascerà un segno particolarmente innovativo.
Parliamo delle uscite discografiche. Boyscout-Ravers Must Die! È un turbine di cacofonie tra rave scadente e disorganizzata e musica suonata dalla comunità boyscout. Il concept allude all’analogia tra rave-party e accampamenti scout, entrambi localizzati fuori i centri urbani per obiettivi poco contemplabili o lusinghieri nel nome della musica sperimentale. Il movimento rave in quegli anni (la release è stata pubblicata nel 2007) stava vivendo un momento di decadenza, complice probabilmente l’utilizzo non solo di ecstasy ma anche di droghe pesanti come cocaina ed eroina. Raccontaci del tuo pensiero dietro questo disco. In più ci vuoi parlare dei sample presenti di talk televisivi/radiofonici, in cui compare il bizzarro personaggio RC Collins?
Il disco nasce da un episodio che mi è successo. Innanzitutto io ho cominciato a fare breakcore in Italia in tempi non sospetti dal 1996, da quando sono tornato da Londra, e ho sempre suonato questa musica che non veniva molto bene intesa. All’epoca andava di moda la jungle e la drum ‘n’ bass, e quando mettevo qualche disco breakcore qualcuno mi diceva “Ma che è, era rovinato il vinile?”. Andavo a suonare anche ai rave, e una volta capitai a suonare in questo rave degli Hazard forse il soundsystem più aperto nel nostro paese in termini di generi che lasciavano suonare; lì avevo 30, 40 seguaci – la zona era quella di Verona – più un migliaio di raver. Comincio a suonare drum ‘n’ noize, break e cassa gabber velocissime e dopo qualche decina di minuti una raver, che non ne poteva più, a cui probabilmente stavo rovinando la festa e la pastiglia che calava, mi lancia una secchiata d’acqua. Io continuo a suonare sostenuto dai miei Lancillotti e riesco a finire il mio set continuando a suonare breakcore. Da lì l’idea di canzonare bonariamente i raver; come ti dicevo io sono di Bologna centro, e Bologna con Piazza Verdi era la Mecca dei punkabbestia, dei teknoraver, con l’abbigliamento classico, la maglietta di Michael Jordan con il numero 23, i dreadlock, il pantaloncino da basket largo, il marchio Pitbull come riferimento per l’abbigliamento e il cappello da baseball tirato indietro. Questa era diventata l’uniforme dei teknoraver, i quali anche loro come i raver andavano nei boschi, e l’idea era quella di associare l’abbigliamento dei punkabbestia alle uniformi dei boyscout, tutti ritrovatisi felicemente ad un party illegale. Da qui nasce l’idea di Boyscout-Ravers Must Die!, ovvero remix di canzoni scout in chiave gabber/breakcore, con la ciliegina sulla torta alla fine dei due lati di questi parlati deliranti – il politically correct non era così imperante – in cui si sente questo personaggio di nome RC Collins che, da una college radio, farnetica, sostenendo che la cultura boyscout sta rovinando la nuova gioventù americana spingendola a diventare gay, facendo l’equazione classica che essere boyscout vuol dire essere gay.
Bally Corgan unisce due polarità in musica, l’harsh noise e l’alternative rock degli Smashing Pumpkins di Billy Corgan (compaiono 1979 e Tonight, Tonight), autore con cui hai delle somiglianze esclusivamente fisico-facciale. Il due pezzi presentano rumore diversificato su larga scala e per nulla omogeneo; sembra che si voglia colpire la standardizzazione del songwriting più blasonato, oppure in secondo luogo una presa in giro quasi goliardica, in cui Corgan sembra essere più una vittima non complice dei fatti. Parlaci di questa uscita e dicci qual è l’interpretazione del disco più vera tra le due esposte.
In entrambe c’è la verità, ma ce n’è anche un’altra che è contenuta in questo altro mio libro, Frankenstein goes to holocaust (uscito per Agenzia X nel 2016, ndr), che è un libro sul fare musica soffiando musica agli altri. Come in tutti i miei libri c’è una parte narrativa e una non-narrativa, in cui la narrativa è funzionale al concept del libro. Nella sezione non-narrativa viene ricostruita cronologicamente la storia del non-genere di fare musica utilizzando musiche di altre. Dalla musica classica (i remix delle ouverture erano qualcosa di assai comuni centinaia di anni prima del primo dj), a John Oswald, il maestro della “plunderphonia”, alla vicenda dell’Amen break, i 7 secondi di musica più campionati di tutti i tempi, alla vertenza legale U2 versus Negativaland, alla nascita dell’hip-hop sincopata da Grandmaster Flash sul basso di Another One Bites the Dust dei Queen, al breakcore, alla Witch-House, alle tecniche di Iper Mash-Up etc etc. Mi stavo per dimenticare il mio contributo Bally Corgan, con cui sono andato oltre l’idea di soffiare musica dagli altri, si tratta ora di soffiare la personalità. Campionare gli Smashing Pumpkins e mescolarli all’harsh noise, sarebbe stata una roba innovativa negli anni ’80 magari, come Bally Corgan io ho voluto proprio fregare la personalità a livello situazionista, giocando su questa somiglianza che mi viene attribuita al leader degli Smashing per mettere insieme questo esperimento sonoro-sociale che consiste nell’organizzare finti eventi di reading di poesia con Billy Corgan/Bally Corgan. Non dico altro, compratevi il libro o scaricatevelo e vi garantisco che ve la riderete con Billy/Bally tombeur de femme. Nella sezione narrativa invece c’è una riscrittura del Frankenstein della Shelley in cui il mostro non è la creatura sproporzionata composta di organi da provenienze diverse, ma il Frankenstein sonoro ovvero il mega-mix composto da musiche di tutti i tipi spesso inconciliabili tra di loro, dal black-metal alla musica hawaiana.
The Definitive Music To Make Human Pyramids With, impostata su una musica gabber quanto più adrenalinica, ripercorre alcuni spunti nella pratica della comunità per l’appunto gabber di creare piramide umane nei loro eventi, andando dall’Antico Egitto fino a qualche caso italiano. Sembra che ci sia stato nella storia una storia una creatività tutta machista di derivazione futurista, che tu hai posto con una vena giocosa ed intelligente, a mo’ di scherzo su di esso, facendo in questo modo convergere attitudini opposte. Parlaci del concept del disco, delle origini e le reali intenzioni.
L’idea è quella di avere un approccio gabber-antropologico, ovvero di ricercare attraverso la storia dell’umanità questa pratica di fare piramidi umane, che è un tratto distintivo della scena gabber esclusivamente italiana, mi riferisco alle piramidi che si facevano al Number One, un locale in provincia di Brescia, a fine serata. E quindi da lì, dal rito di questa sottocultura dei gabber italiani, degli Hardcore Warrior, altra nostra specificità nazionale, l’intento sarebbe di portare all’estremo questa idea della piramide, andando a ricercare dei segnali di piramidi umane nella storia dell’umanità, a partire dall’Antico Egitto, a cui risale un ritrovamento archeologico in cui è stata ritracciata una struttura di ossa disposte a piramide, che è (o può ritenersi, ndr) il primo esemplare di piramide umana… Citando altri riferimenti, compaiono i Castell, che sono una pratica tradizionale di creazione di piramidi umane della Catalogna, la quale è stata inserita nel patrimonio dell’UNESCO, ed infatti lì esistono delle vere e proprie scuole nel fare le piramidi umane… al Botaoshi, una disciplina estrema giapponese, uno sport, una specie di ruba-bandiera in cui ci si mena come dei dannati, in cui le squadre si raccolgono tipo testuggine o formando un ammasso di persone in piramide… alle Forze D’Ercole, che sono delle piramidi che si facevano nell’antica Venezia ai tempi in cui la città era parte delle Città Marinare. Viene indagato con riferimenti sonoro-antropologici, attraverso tracce gabber, questa cosa delle piramidi umane.
Diciamo che non viene preso in giro il machismo della gabber, anzi viene esaltato, tanto da farlo sembrare gay. Tu l’hai presa come una presa in giro, e ne prendo atto. Per esempio hai citato il riferimento ai marines, che tratta della loro pratica nel fare piramidi che i novizi devono scalare, come quella al monolite di Herndon, Virginia, che finisce col sembrare praticamente un fallo cosparso di frutta andata a male. Quindi un’esibizione del machismo fino al punto di far sembrare i marines dei ricchionazzi!
Polka Bolognoise Vol.2 è caratterizzato da suoni eseguiti al Game Boy in versione polka, con il contributo di Lapo Boschi. In questo concept si trova l’analogia tra la breakcore e alcuni dei balli quasi acrobatici della polka ballata nelle sale da liscio a Bologna, come la “polka chinata”, una performance esclusivamente maschile per via dei movimenti molto vorticosi e dinamici, ovvero per la bassa emancipazione della della donna in periodo post-bellico. Nel disco emerge un suono moderno con uno sguardo al passato locale, andando così a definire un’idea di breakcore continuativa e quanto più autoctona, con una sana ed intelligente dose di ironia. Condividi questa visione? Parlaci in dettaglio dell’idea dietro Polka Bolognoise Vol. 2.
Volente o nolente il liscio, la Filuzzi, è la musica rave autoctona di noi emiliani (sono di Bologna), da cui Polka Bolognoise. È un sound che a me, forse con un pizzico di ironia, piace… In questo secondo volume di Polka Bolognoise (in quanto esiste una prima uscita, sempre su cassetta e digitale), vado ad indagare la inconsueta forma di Filuzzi chiamata Polka Chinata, che è un ballo in cui ci si aggancia gli uni agli altri e si piroetta in maniera continua. Tale versione della polka è nata nel dopoguerra, sotto i portici, e per ballarla bisognava avere dei requisiti atletici non banali. Mi piaceva trovare questa continuità con essa, in quanto una sorta di breakdance locale, petroniana, d’altra parte anche la breakdance era legata indissolubilmente allo spazio urbano. Siamo nel caso in cui il passato è il futuro remoto.
Per concludere parlaci dei prossimi progetti a livello discografico o bibliografico.
Stiamo lavorando per + Belligeranza (sottoetichetta di Sonic Belligeranza, promotrice di suoni e noise, concettuale, rumore sì, ma con un’idea, un concept, dietro) a un disco che vede l’aspirapolvere come elemento chiave. Il progetto, di nome Dyson, vede due musicisti: Steve Vileda e Renz Rowenta. Ci saranno dei remix di suoni d’aspirapolvere in versione free jazz. Dimenticatevi il sax di John Zorn e tutto il resto, adesso l’aspirapolvere è la “nuova cosa” del nel mondo dell’improvvisazione radicale. Un lato del disco sarà remixato da me, l’altro lato da Domestic Arapaima.
energyflashbysimonreynolds.blogspot.com, 11 aprile 2021Gabber literature
brang Gabba Gang: Gabber Reconstruction of the Universe, by Riccardo Balli By an Italian but in English, written in a style that resembles the LOUD energy of a S.Wells sluiced through the unforgiving yet gleeful anti-humanism of a Biba Kopf, this monograph maps Italian Futurism onto gabba, and vice versa. So it's an intellectual entertainment - penned by one who knows viscerally whereof he speaks... who's sweated and stomped in the four-to-floor forge 'till the crack of dawn, and beyond... been battered by drop-hammer bassdrum and blasted by hoover-noise... soaked up the sensations and survived to make sense of the senselessness.
Check out the praxis (deejaying, producing, running a label) to the theory at Balli's Bologna-based operation sonicbelligeranza.com.
Funnily enough, me and Paul Oldfield used to have a deejay "company" called Apocalypso Disco, or perhaps it was just Apocalypso - at any rate, we had the flyers and we did get a few college gigs.
di Simon ReynoldsCheck out the praxis (deejaying, producing, running a label) to the theory at Balli's Bologna-based operation sonicbelligeranza.com.
Funnily enough, me and Paul Oldfield used to have a deejay "company" called Apocalypso Disco, or perhaps it was just Apocalypso - at any rate, we had the flyers and we did get a few college gigs.
The Wire n. 443, gennaio 2021Sbrang gabba gang
Speed is a hell of a drug. And obsession with velocity, dynamism and eruption in culture is an endlessly hazardous occupation, as the Italian Futurists – originally including communists and anarchists – demonstrated only too well when their ideas and aestehetics were co-opted wholesale into Mussolini’s fascism. And the pattern would repeat: witness how the crazier than thou Operation Mindfuck tactics of yippies and discordians fed tje 'disruption' of techbros, conspiracy monger and far right demagogues like Steve Bannon. Or how Nick Land’s Accelerationism – which inspired so many 1990s theorists and chemical lit adherents to write frazzled screeds in multiple typefaces – not only tipped all the way over into fascism itself, but set the tone for the red-brown flirtations of untold edgelords of the social media age.
So it’s natural to approach with some trepidation a text which attempts to remix Italian Futurism into a manifesto for the hardcore techno music and lifestyle of gabber – a scene which has had more than its fair share of far right adherents. It’s built around dj, musician and writer Riccardo Balli’s remaking of Futurists writings to reference kickdrums, hoover synths, tracksuits and hair shaving, and is packed with, as Balli quotes Giacomo Balla’s writing in 1914, “love of danger, speed and assault, and loathing of peace and immobility”. As Bianca Ludewig’s introduction makes clear, it is a macho text, “a male reconstruction of the universe”, which is “no utopia or anticipation of a better world”. Its red, black and white cover, redesigning ur-gabber label Mokum’s hammer emblem with Futurists angles, looks totalitarian as hell. All of which sets alarm bells ringing that this will be material which ironic or sincere fascists could greedily lap up.
Thankfully, it is not. Despite the avant garde approach to writing – the intertextuality, heavy use of repetition, sometimes scrambled sentences, plenty of capitalised phrases like “SQUISHHHHH!”, “SKRRRRANGZZZZING BOINGGGG!” and of course Marinett’s “ZANG-TUMB-TUUMB!” – it’s really a straight forward and affectionate portrait of a cultural movement. And crucially, it’s one that addresses head on the issue of far right involvement, generally through mockery. Balli emphasises the importance of people (well, men) of colour in gabber and hardcore techno’s early days, and promoter Benedikt Achermann reports with relish how his resolutely hedonistic and apolitical raves came to stand against neo-Nazis. There are still some iffy Futurists slogans about strong will versus weak minds, but the anti-fascist intent is signalled clearly and throughout.
The structural, textual mucking around feels slightly quaint. In an era where memes and multiple screens at once mean all text is scrambled, doing it on the page has zero shock value. But it, along with 3D rave photos, is manically enjoyable, and so is Balli and friend’s passion. Taking Mescalinum United’s 1990 “We Have Arrived” as hardcore techno’s year zero, it traces in its zig-zagging way the explosion via Rotterdam across Europe, especially, of course, its character in Italy – home of the human gabber pyramid formed by ravers. It touches on other variants – Frenchcore, breakcore etc. – but notably barely even acknowledges modern global experimental club music’s adoption of gabber’s energy for altogether queerer, more gender-complex purposes. But that’s fine: that’s for another text. This one, for all its theoretical pretence, is about gabber’s derangement as a folk culture: a loving celebration of 30 years of “4X4 BASS DRUN AT 180BPM, AS A 24/7 NOURISHMENT”.
di Joe MuggsSo it’s natural to approach with some trepidation a text which attempts to remix Italian Futurism into a manifesto for the hardcore techno music and lifestyle of gabber – a scene which has had more than its fair share of far right adherents. It’s built around dj, musician and writer Riccardo Balli’s remaking of Futurists writings to reference kickdrums, hoover synths, tracksuits and hair shaving, and is packed with, as Balli quotes Giacomo Balla’s writing in 1914, “love of danger, speed and assault, and loathing of peace and immobility”. As Bianca Ludewig’s introduction makes clear, it is a macho text, “a male reconstruction of the universe”, which is “no utopia or anticipation of a better world”. Its red, black and white cover, redesigning ur-gabber label Mokum’s hammer emblem with Futurists angles, looks totalitarian as hell. All of which sets alarm bells ringing that this will be material which ironic or sincere fascists could greedily lap up.
Thankfully, it is not. Despite the avant garde approach to writing – the intertextuality, heavy use of repetition, sometimes scrambled sentences, plenty of capitalised phrases like “SQUISHHHHH!”, “SKRRRRANGZZZZING BOINGGGG!” and of course Marinett’s “ZANG-TUMB-TUUMB!” – it’s really a straight forward and affectionate portrait of a cultural movement. And crucially, it’s one that addresses head on the issue of far right involvement, generally through mockery. Balli emphasises the importance of people (well, men) of colour in gabber and hardcore techno’s early days, and promoter Benedikt Achermann reports with relish how his resolutely hedonistic and apolitical raves came to stand against neo-Nazis. There are still some iffy Futurists slogans about strong will versus weak minds, but the anti-fascist intent is signalled clearly and throughout.
The structural, textual mucking around feels slightly quaint. In an era where memes and multiple screens at once mean all text is scrambled, doing it on the page has zero shock value. But it, along with 3D rave photos, is manically enjoyable, and so is Balli and friend’s passion. Taking Mescalinum United’s 1990 “We Have Arrived” as hardcore techno’s year zero, it traces in its zig-zagging way the explosion via Rotterdam across Europe, especially, of course, its character in Italy – home of the human gabber pyramid formed by ravers. It touches on other variants – Frenchcore, breakcore etc. – but notably barely even acknowledges modern global experimental club music’s adoption of gabber’s energy for altogether queerer, more gender-complex purposes. But that’s fine: that’s for another text. This one, for all its theoretical pretence, is about gabber’s derangement as a folk culture: a loving celebration of 30 years of “4X4 BASS DRUN AT 180BPM, AS A 24/7 NOURISHMENT”.
Blow Up, settembre 2019 Riccardo Balli. Sbrang gabba gang
Oltre che musicista e dj (area breakcore-noise), Balli è da tempo un saggista interessato a problematiche controculturali legate a fenomeni musicali (ha scritto delle tribù post-rave inApocalypso disco, di mash-up e anticopyright in Frankenstein goes to holocaust. Con un personale approccio che perfidamente intreccia e confonde realtà e invenzione – un po’ come i saggi trasversali sul mondo dell’arte di Pablo Echaurren, qui autore di una delle tre ghiotte appendici – l’agitatore bolognese analizza ora l’universo della musica gabber, “suono supersonico e subumano” scaturito dai Paesi Bassi nei primi ’90 per divenire presto movimento sotterraneo a scala globale. Partendo da evidenti elementi comuni, come la velocità, il dinamismo, il rumore e l’attitudine provocatoria, l’autore si diletta nel rintracciare ogni sorta possibile (o impossibile) connessione tra l’adrenalinica elettronica hardcore gabber a 140+ bpm e l’Arte del Rumore dell’avanguardia Futurista di Russolo, Marinetti, Balla & Co., derive maschiliste e destrorse incluse (ad es., le temerarie piramidi umane tipiche dei raduni gabber italiani come specchio delle rissose Serate Futuriste). In parte autobiografia, in parte studio socio-musicologico e in parte fiction “plagiarista”, il testo propone un modello di (anti)critica assai più divertente e stimolante dei libri ingessati e copiaticci che riempiono oggi il settore musicale delle librerie.
di Vittore BaroniRockerilla, settembre 2019 Sbrang gabba gang
La gabber come tutte le musiche estreme, non è facilmente digeribile. L’autore tuttavia, nello stesso modo in cui si scompone in alter ego appartenenti a spazi temporali diversi ma sempre spinti da un irresistibile impeto dissacratore, riesce ad attrarre a sé anche l’attenzione dei profani con un libro dalla lettura avvincente e divertente. Se amate la musica elettronica, sperimentale, noise, punk ed il metal estremo, troverete molti spunti familiari in questo inno al suono contemporaneo anti-commerciale per antonomasia. Si parla in realtà di post-music, dove l’ardito producer trova la sua forma d’espressione artistica più pura nel forgiare rumori industriali e tecnologici astratti in un caos apocalittico alla velocità di 180bpm. Il diletto del libro sta nell’agilità con cui il dj-artista-attivista missa l’ethos gabber made-in-Italy con quello di quel fondamentale movimento artistico di rottura che fu il Futurismo. Assolutamente da leggere.
di Emi Heywww.frequencies.eu, 18 giugno 2019Riccardo Balli: Sbrang gabba gang
Musica della deprivazione sensoriale, suono supersonico e subumano apprezzato dalle masse di giovani suburbani, balli schizofrenici inframmezzati dalla mossa spastica dello hakken, canzoni per teppisti da periferia in cerca di risse, decine e decine di locali chiusi dalla polizia in via preventiva, sottoproletari vestiti con i più costosi brand in circolazione, hooligan di curve da stadio rasati come skinhead, considerati nazisti, razzisti e maschilisti… Eppure in Olanda, dove è nata la prima scena, il termine gabber vuol dire compagno.
Esistono monografie sui generi musicali più oscuri, dal metal estremo all’industrial, ma sono rari i libri di approfondimento sulla cultura legata alla techno hardcore/gabber. Ma questo movimento, nato all’inizio degli anni novanta, si è diffuso in tutto il mondo e ha imposto modi di vestire, comportamenti sociali e stili di vita.
In un gioco di specchi dallo spirito dissacrante, il visionario scrittore Riccardo Balli ricostruisce la storia della gabber, miscelando il presente al passato attraverso la lente di ingrandimento dell’avanguardia storica del futurismo. Un volume poliedrico che urla e si concentra, in un ibrido tra fiction e non-fiction, sui componenti quali l’amore per la velocità, il conflitto generazionale, il culto della guerra e la comunicazione sperimentale.
Ma stiamo parlando della gabber o del futurismo?
La risposta la trovate nei brani hardcore sparati a tutto volume tra le pagine di Sbrang Gabba Gang!
Esistono monografie sui generi musicali più oscuri, dal metal estremo all’industrial, ma sono rari i libri di approfondimento sulla cultura legata alla techno hardcore/gabber. Ma questo movimento, nato all’inizio degli anni novanta, si è diffuso in tutto il mondo e ha imposto modi di vestire, comportamenti sociali e stili di vita.
In un gioco di specchi dallo spirito dissacrante, il visionario scrittore Riccardo Balli ricostruisce la storia della gabber, miscelando il presente al passato attraverso la lente di ingrandimento dell’avanguardia storica del futurismo. Un volume poliedrico che urla e si concentra, in un ibrido tra fiction e non-fiction, sui componenti quali l’amore per la velocità, il conflitto generazionale, il culto della guerra e la comunicazione sperimentale.
Ma stiamo parlando della gabber o del futurismo?
La risposta la trovate nei brani hardcore sparati a tutto volume tra le pagine di Sbrang Gabba Gang!
Il resto del Carlino, 13 giugno 2019 Balli fa scoprire l’Olanda dei ‘90 e la nascita della cultura Gabber
In Italia, negli anni Novanta, veniva chiamata gabber ed era un sottogenere dell’hardcore techno, una musica velocissima e dura, che girava a 160-180 battiti per minuto, in gergo, bpm. Anche a Bologna si ascoltava e si ballava, anche se non si trasformò mai in qualcosa di forte, in un movimento pari a quello dei Paesi Bassi, dove nacque. Ma Riccardo Balli, fondatore dell’etichetta Sonic Belligeranza che da anni studia la storia di culture musicali e sociali underground, con il suo libro Sbrang Gabba Gang che viene presentato alle 18 alla Feltrinelli Ravegnana e alla 19.30 da Stomp in via Mascarella 22/a (che con il taglio del nastro accompagnato da dj set diventa il nuovo quartier generale della label), ci svela subito che il vero nome è “gabbar”, approfondendo questa cultura legata alla techno, che dagli anni Novanta si è diffusa in tutto il mondo e ha imposto modi di vestire, comportamenti sociali, stili di vita e anche un ballo complesso: l’hakken o doppio passo incrociato, negli ambienti chiamato “passetto olandese”.
Lo scrittore ricostruisce la storia della gabber, miscelando il presente al passato attraverso la lenti fi ingrandimento dell’avanguardia storica del futurismo. Un volume poliedrico che concentra su componenti quali l’amore per la velocità, il conflitto generazionale, il culto della guerra e la comunicazione sperimentale.
“Musica della deprivazione sensoriale, suono supersonico e subumano apprezzato dalle masse di giovani suburbani, balli schizofrenici inframmezzati dalla mossa spastica dell’hakken – racconta Balli dando l’idea di un vero flusso di coscienza – canzoni oer teppisti da periferia in cerca di risse, decidne e decine di locali chiusi dalla polizia in via preventiva, sottoproletari vestiti con i più costosi brand in circolazione, hooligan di curve da stadio rasati come skinjead, considerati nazisti, razzisti e maschilisti… Eppure in Olanda, dove è nata la prima scena, il termine ‘gabber’ vuol dire compagno.”
di b.c.Lo scrittore ricostruisce la storia della gabber, miscelando il presente al passato attraverso la lenti fi ingrandimento dell’avanguardia storica del futurismo. Un volume poliedrico che concentra su componenti quali l’amore per la velocità, il conflitto generazionale, il culto della guerra e la comunicazione sperimentale.
“Musica della deprivazione sensoriale, suono supersonico e subumano apprezzato dalle masse di giovani suburbani, balli schizofrenici inframmezzati dalla mossa spastica dell’hakken – racconta Balli dando l’idea di un vero flusso di coscienza – canzoni oer teppisti da periferia in cerca di risse, decidne e decine di locali chiusi dalla polizia in via preventiva, sottoproletari vestiti con i più costosi brand in circolazione, hooligan di curve da stadio rasati come skinjead, considerati nazisti, razzisti e maschilisti… Eppure in Olanda, dove è nata la prima scena, il termine ‘gabber’ vuol dire compagno.”
Corriere della Sera, 13 giugno 2019 Gabber con occhi futuristi
Riccardo Balli ricostruisce la storia della musica gabber nel volume Sbrang Gabba Gang. Miscelando il presente al passato e attraverso la lente d’ingrandimento dell’avanguardia storica del futurismo, l’autore rivaluta un sound una volta dileggiato, che ora occupa spazi sulla stampa patinata e in musei d’arte contemporanea. Dopo la presentazione alle 18.00 presso la Feltrinelli Ravegnana seguirà un aperitivo “gabber-futurista” presso il bar Stomp di via Mascarella 22.
www.zweikommasieben.ch, 11 giugno 2019Riccardo Balli. Gabber Futurismus
Riccardo Balli ist eine Kultfigur des extremen und experimentellen elektronischen Undergrounds. Nach dem Philosophiestudium an der Universität Bologna stolperte er während eines London-Aufenthalts zufällig in eine der legendären Dead by Dawn Squat-Partys. So lernte er Schlüsselpersonen der gerade erst entstehenden Breakcore-Szene wie Christoph Fringeli [siehe zweikommasieben #17] und DJ Scud kennen.
Magazin, #19, Bologna, Breakcore, Dead by Dawn, Frankenstein, Futurismus, Gabber, Macao, Zukunftsschock
Kurz nach diesen Begegnungen[1] startete der Italiener seine musikalische Karriere als DJ Balli und gründete im Jahr 2000 sein Label Sonic Belligeranza. Bis heute veröffentlicht das Label experimentelle und oft kontroverse Musik – während DJ Balli weiterhin regelmässig auftritt (zuletzt und prominent etwa neben Zombieflesheater und DJ Scud im Macao [siehe zweikommasieben #16] in Mailand). Ende der neunziger Jahre begann er auch, Bücher zu schreiben und zu Anthologien wie Rave in Italy beizutragen.
Benedikt Achermann besuchte den italienischen Künstler in seinem mehr oder minder legalen Plattenladen (eine Geschichte für sich…) im Hinterraum einer Bar an der Via Mascarella in Bologna. Sie sprachen über den Breakcore-Spirit, das Wiederaufleben von Gabber und Ballis Buchprojekt über den Gabber-Futurismus.
Benedikt Achermann Du bist gerade von einer Reise nach Wien zurückgekommen. Was hast du da gemacht?
Riccardo Balli Ich war für eine Präsentation von Frankenstein, or the 8-bit Prometheus [Chili Com Carne editions, 2018] in der Buchhandlung im Stuwerviertel da. Eingeladen hat mich Rokko, der Herausgeber von Rokko’s Adventures, eine Art «Wasted Jugendstil»-Magazin über die dunklen Seiten Wiens, Literatur und Musik. Frankenstein, or the 8-bit Prometheus ist mein erstes Buch, das auf englisch erschien; es wurde im April 2018 veröffentlicht. Bei der Präsentation war Bianca Ludewig dabei, die gerade ihre Studie Utopie und Apokalypse in der Popmusik: Gabber und Breakcore in Berlin veröffentlicht hat. Am Samstagabend spielte ich an der Party Lauter Lärm im Venster 99, wo ich eine Art Resident Act bin. Die Party ist auf harte elektronische Musik ausgerichtet und schliesst die Lücke zwischen Harsh Noise und extremen Dancefloor-Sounds. Istari Lasterfahrer und The Massacre vom Schweizer Label Terrornoize Industry spielten ebenfalls.
BA Du hast die Anfänge von Breakcore aus nächster Nähe miterlebt. Verfolgst du Breakcore noch? Wie beurteilst du den aktuellen Stand des Genres?
RB Breakcore war für mich immer primär eine hybride Strategie. Ich erinnere mich deutlich daran, dass ich um 2004 den Eindruck bekam, dass sich das Genre zu einem kodifizierten Stil entwickelt. Das Rezept dieses Stils war die Kombination von Gabber-Kicks und Amen-Breaks. Ich sah, wie sich dieses Muster immer wiederholte – und es langweilte mich. In einer grösseren historischen Perspektive war Breakcore nichts Neues. In der Avantgarde geht es traditionell um das Nebeneinander von Dingen, die nicht zusammenpassen – das Aufeinanderprallen, der Mash-up, die Beobachtung, was dabei herauskommt. Das ist die Einstellung, die ich beibehalten wollte. Deshalb begann ich, nach Wegen zu suchen, wie ich diese Breakcore-Attitüde auch ausserhalb von Musik in anderen Projekten einsetzen konnte. Sonic Belligeranza war immer auf harte Dancefloor-Sounds ausgerichtet. Aber Breakcore löste in mir immer mehr ein klaustrophobisches Gefühl aus. Als Reaktion darauf habe ich die Sublabels -Belligeranza und +Belligeranza lanciert. Letzteres veröffentlicht noch härtere und extremere Musik und konzeptionelle Noise-Projekte. Ersteres beschäftigt sich mit weniger harschem Material. Die Releases von -Belligeranza reichen von Battle Breaks [Platten zum Scratchen], über Horrorcore-Rap bis hin zu Vaporwave. Sicherlich seltsames Material, aber es ist nicht so sehr auf «harte» Sounds fokussiert. Es geht vielmehr darum, innovative Ideen auszudrücken. Ich sehe auch die Art und Weise, wie ich schreibe, als Weiterverfolgung der Breakcore-Strategie ausserhalb des Musik-Kontexts. Frankenstein, or the 8-bit Prometheus ist ein literarischer Mix aus Mary Shelleys Klassiker, der Einflüsse und Jargon der 8-Bit-Videospielkultur aufnimmt und nicht-fiktionalen Berichte anlässlich des 17. Jahrestages von Sonic Belligeranza. Ich wollte dies nicht als klassischen Essay angehen, sondern zielte auf eine Mischung aus literarischen und «low brow»-Stilen.BA Sonic Belligeranzas Output ist oft sehr konzeptionell – was man im Hardcore-Bereich eher selten sieht. Es scheint, als ob du kein Problem damit hast, dich zwischen «low brow» und «high brow»-Kultur zu bewegen…
RB Ja, meine Arbeit wird oft als «konzeptionell» beschrieben. Ich verfolge Noise schon eine sehr lange Zeit und für mich ist das meiste davon langweilig und vorhersehbar. Ich versuche, die Noise-Szene mit frischen Ideen zu bereichern. Eine der besten Platten von Sonic Belligeranza besteht zum Beispiel aus Geräuschen von Skateboards[2]. Oder es gibt die Quattro-Stagioni-Pizza-Noise-Platte[3]. Es läuft wieder auf Breakcore hinaus – auf einer konzeptionellen Ebene versuche ich, Breakcore zu sein – «low brow» und «high brow» nicht nur in der Musik, sondern auch im Leben zu vermischen. In den historischen Avantgardebewegungen ging es immer darum, die Kluft zwischen Kunst und Leben zu überbrücken. Kunst ist keine Kunst, wenn sie vom Leben getrennt ist. Kunst ist eine Form der direkten Handlung.
BA Es ist faszinierend zu sehen, was aus Marc Acardipanes kryptischer Catchphrase «see you in 2017» geworden ist. In den letzten drei Jahren hat sich das Interesse an der Rave-Kultur der neunziger Jahre und damit verbunden dem Gabber- und Hardcore-Kontinuum verstärkt. Kollektive wie die Pariser Casual Gabberz [siehe zweikommasieben #16] und Künstlerinnnen wie Sentimental Rave, Hdmirror [siehe zweikommasieben #19] und Gabber Eleganza [siehe zweikommasieben #17] aus Italien greifen den Sound und die Ästhetik der Gabberkultur wieder auf. Mittlerweile haben alle diese Künstler auch im symbolträchtigen Berghain gespielt. Thunderdome feierte sein 25-jähriges Jubiläum mit 40 000 Raverinnen. Zeitgleich ist auch die Underground-Hardcore-Szene wiederbelebt – Praxis Records [siehe zweikommasieben #17] feierte sein 25-jähriges Jubiläum und in der Schweiz finden wieder vermehrt Breakcore- und Gabberpartys statt, u.a. vom bereits erwähnten Terrornoize Industry-Label. Was hältst Du von dieser Gabber-Renaissance?
RB Ich freue mich sehr darüber, wahrscheinlich im Gegensatz zu anderen Gabbers meines Alters, die diese neue Welle als «Hipster-Hardcore» abtun. Das hat auch etwas Wahres, aber insgesamt denke ich, dass die Renaissance ein Phänomen ans Licht bringt, das mehr Aufmerksamkeit verdient hat. Gabber ist wichtig für die elektronische Musik. Viele klangliche Lösungen von Gabber, wie der Hoover-Bass und die Konzentration auf die Kickdrum beeinflussten die elektronische Musik im allgemeinen. Ich sehe Gabber als das Äquivalent der elektronischen Musik zu Punk und Metal, das sich Techno entgegensetzt, wie es Punk mit (Prog-)Rock tat.
BA Diese Anti-Haltung und das subversive Potential von Gabber werden oft angesprochen. Wie kommt das?
RB Ich persönlich bin vor allem daran interessiert, Gabber selbst subversiv zu unterwandern. Das Genre wird oft als idiotische, nicht ernstzunehmende Musik abgetan. Was ich mit der Unterwanderung von Gabber meine, ist, dass ich ihn mit einer avantgardistischen Bewegung in Verbindung bringen will. In diesem Fall die italienische Futurismus-Bewegung.
BA Das ist das Thema deines aktuellen Buches sbrang gabba gang!, das soeben auf Agenzia X veröffentlicht wurde, richtig?
RB Ja, sein Untertitel lautet «The Gabber Reconstruction of the Universe», meine Interpretation von ricostruzione futurista dell’universo, dem Manifest von Giacomo Balla und Fortunato Depero, zwei italienischen Futuristen aus dem frühen 20. Jahrhundert. Ich sehe viele von Gabber und Futurismus geteilte Gemeinsamkeiten. Beide Bewegungen verehren Geschwindigkeit und teilen eine kriegerische Ästhetik. Beide wurden beschuldigt – oft zu Recht – faschistisch zu sein. Ich verfolgte diese Parallelen weiter und darum geht es in sbrang gabba gang! Wie bei Frankenstein, or the 8-bit Prometheus verfolge ich einen Ansatz, der Fiktion und Sachtexte vereint. Statt dem Shelley-Klassiker muss nun der Futurismus dran glauben. Da gibt es zum Beispiel den berühmten Text «The Art of Noise» von Luigi Russolo, den ich in «The Art of Bassdrum» umarbeite. Der fiktive Teil des Buchs schildert die Abenteuer einer Gruppe von Gabber-Futuristinnen. Sie betreiben Kunstvandalismus, es geht ihnen darum, das italienische Kulturerbe zu beschädigen. Ich gehe hin und her zwischen Fiktion und Fakt, zwischen Gabber und Futurismus und vermenge sie. In gewisser Weise möchte ich auch den Futurismus verschandeln, indem ich ihn mit Gabber in Verbindung bringe.
BA Kunstvandalismus – erzähl mir mehr davon!
RB Die Futuristen wollten das Museum zerstören. Es gibt einen faszinierenden Fall von jemandem, der das wörtlich genommen hat: Piero Cannata. Er ist berüchtigt für eine Reihe von Beschädigungen wichtiger Kunstwerke. Er hat 1991 – und das ist nur der berühmteste Fall – Michaelangelos David mit einen Hammer zugesetzt. Cannata befindet sich derzeit in einer Irrenanstalt. Das klingt nach meiner Vorstellung von Gabber-Futurismus. Gabber ist traditionell mit Hooliganismus verbunden. Wenn eine niederländische Mannschaft gegen Rom spielt, hinterlässt sie immer eine Spur der Zerstörung… Mode ist eine weitere Parallele. Mode war sowohl für Gabber als auch für den Futurismus sehr wichtig. Die Futuristen schrieben alle möglichen Manifeste, zum Beispiel über Essen, aber auch über Mode. Der Trainingsanzug wurde von Futuristen erfunden! Zwei italo-amerikanisch-schweizerische Brüder entwickelten 1919 den ursprünglichen Entwurf. Im Buch spinne ich ein fiktives Garn von diesem Punkt zu einem integralen Bestandteil der Gabberuniform: den Trainingsanzügen der italienischen Marke Australian. Futurismus wird in Italien in den Schulen gelehrt, in gewisser Weise ist es ziemlich «Pop». Schon Teenager wissen Bescheid. Ich hoffe, ein besseres Verständnis von Gabber zu schaffen und neue Perspektiven auf den Futurismus zu eröffnen. Viele gehen aber lieber nicht allzu tief in diese Themen rein, wegen der fragwürdigen politischen Standpunkte und den Verbindungen zum Faschismus. Es ist wichtig, zu kontextualisieren, was Faschismus bedeutete und was seine Rolle zu Beginn des letzten Jahrhunderts war. Dennoch handelt es sich um eine Anschuldigung, die nicht ignoriert werden darf und die diskutiert werden muss. Einige Futuristinnen waren eindeutig Faschisten, wie Filipo Marinetti, Autor des futuristischen Manifests. Ich gebe ihm in meinem Buch den Spitznamen «Dominator» Marinetti und mache mich damit über seine Rolle als unbestreitbarer Führer der Bewegung lustig.
BA Dominator ist natürlich auch der Name des riesigen Mainstream-Hardcore-Festivals in Holland…
RB Genau. Um ein weiteres Beispiel dafür zu nennen, wie ich mit dem Thema Faschismus umgegangen bin: Der bereits erwähnte Balla schrieb nicht nur das Manifest, sondern war auch ein berühmter Maler und hatte eine faschistische Periode. Deleuze und Guattari schreiben über biologischen Faschismus und «Mikrofaschismus». In jedem von uns, sagen sie, gibt es ein Element des Faschismus. Also, lass uns damit umgehen, es untergraben! Ich tue dies mit dem Mittel der Alliteration, mache den Schritt von Balla zu Balli – und bringe es auf eine persönliche Ebene, zum Beispiel auf meinem Tape Svelto The Hakken Tuner für Arte Tetra.
BA Eine Reaktion auf Gabber – auch in meiner persönlichen Erfahrung – ist, dass viele den Stil immer noch sehr stark als «Nazi-Musik» sehen.
RB In Italien ist es auch so. Es gibt gute Gründe für eine solche Sichtweise, aber ich denke, sie ist meist auf Ignoranz und mangelndes Wissen über Gabber zurückzuführen. Ich sehe Gabber als Ausdruck der Arbeiterklasse, der Lumpenproletariatskultur. Es ist eine ähnliche Geschichte wie in der Punk-Bewegung, wo die Oi- und Skinhead-Subkulturen von der extremen Rechten untergraben wurden und bis heute unter dieser Assoziation leiden. Das ist etwas, womit ich mich in meinem Text «How To Cure a Gabba» beschäftigte. Ich bin seit den den neunziger Jahren in der Gabberszene unterwegs und analysiere in diesem Text einige meiner Erfahrungen. Ich spielte in den Neunzigern hauptsächlich Breakcore. Die Besetzerinnen, für die ich normalerweise in Italien spielte, fanden das nicht so toll. Sie spielten meistens Drum’n’Bass und verstanden diesen Sound nicht. «Es ist alles verzerrt! Lern mal, wie man mischt!», sagten sie zu mir. Zur gleichen Zeit bekam ich Bookings auf kommerziellen Gabber-Veranstaltungen. Ich traf dort Leute, die meine Musik feierten – aber politische Ansichten vertraten, die mich völlig in Verlegenheit brachten. Ich verkaufe immer noch oft Platten und Bücher auf Partys. In den neunziger Jahren war dies eine Möglichkeit für mich, mit «echten» Gabbern zu interagieren. Ich wurde oft mit ignoranten, rassistischen Einstellungen konfrontiert. Mein Eindruck war, dass diese Einstellungen in den meisten Fällen einfach einfältig waren, das waren nur Menschen, die dem folgten, was ihre Freunde taten oder sagten. In einigen Fällen ist es mir gelungen, mit ihnen über Gabber eine gemeinsame Basis zu finden. Ich erzählte ihnen von Leuten wie The Darkraver oder DJ Loftgroover, farbigen Künstlerinnen, oder Liza’n’Eliaz, einer (mittlerweile verstorbenen) trans/queer Künstlerin. Das war meine Art, sie herauszufordern und Zweifel über ihre Ansichten in ihre Köpfe zu pflanzen. Ich behaupte nicht, dass dieser Ansatz zu 100% erfolgreich war. Aber in einigen Fällen folgten mir Gabber tatsächlich zu Gigs in anarchistische Squats und waren so ganz anderen Ideen ausgesetzt. Hätte ich jeden Kontakt auf orthodoxe Antifa-Weise abgelehnt oder versucht, sie zu bekämpfen, wäre nichts davon passiert.
BA Leider eignet sich die extreme Rechte heutzutage den Antifa-Look an und übernimmt sogar Slogans wie «good night white pride», die sie zu «good night left side» umformulieren.
RB Und in Italien haben wir jetzt rechte Hausbesetzungen von einer Bewegung namens «Casa Pound». Wieder einmal ein Beispiel für rechtsextreme Bewegungen, die sich von der Linken entwickelte Kultur und Taktiken aneignen – in diesem Fall die Strategie der Besetzung. Also, holen wir es uns zurück! «sbrang gabba gang!» ist eine Ausdruck zur Wiederaneignung einer Kultur, die uns «gehört». Es ist ein Akt der reclamation, der die Gabber-Kultur zurückfordert, denn ich glaube nicht, dass Gabber rechts ist. Gabber trägt keine politische Botschaft. Gabber ist harte Musik zum Feiern und kann als Ventil dienen, um mit einer harten Arbeiterinnenexistenz fertig zu werden. Das ist eine weitere Sache, die Gabber und Futurismus gemeinsam haben: Aggression, Härte. In der Number One, einer Diskothek in Brescia, gab es am Ende der Nächte im Sala Due die berühmte «Gabberpyramide». Inzwischen ist sie italienische Gabberfolklore und man kann faszinierende Aufnahmen davon im Internet finden. Raver trafen sich in der Mitte der Tanzfläche und schufen eine aufeinandergestapelte, menschliche Struktur. Das Ziel war es, den Gipfel zu erreichen und die Decke von Sala Due zu berühren. Es war eine Form von violent dancing, eine Art Moshpit. Futuristen veranstalteten ihrerseits Soirées, Nächte mit Poesie-Lesungen und Ausstellungen futuristischer Kunst. Die Nächte waren von einer aggressiven Haltung und absichtlichen, körperlichen Provokationen geprägt. Nicht selten endeten diese Soirées in Tumulten. Umberto Boccioni, ein futuristischer Maler, dokumentierte dies in seinem Gemälde Rissa in galleria («Aufstand in der Galerie») von 1909.
BA Simon Reynolds und Mark Fisher, möge letzterer in Frieden ruhen, erwähnten oft, dass sie beim ersten Hören von Jungle eine Art «Zukunftsschock» erlebten. Nach ihrer Meinung wird dieses Erlebnis immer seltener. Wann hast du das letzte Mal einen future shock erlebt, als du eine neue Entwicklung in der Musik gehört hast?
RB Ich bin ständig auf der Suche nach dieser Art von Schock. Die Suche nach und das Untersuchen solcher Schocks ist im Prinzip der Sinn meines Labels. Die letzten Schockmomente für mich waren Death Rap / Horrorcore und Extratone. Wann immer ich etwas finde, das mir interessant erscheint, versuche ich, ein Projekt daraus zu machen. Mit Rancid Opera haben wir den Horrorcore-Rap erforscht, indem wir die Sprache der Oper – die traditionell Gore-Elemente enthält – verwendet haben, um uns u.a. über schlechten italienischen Rap lustig zu machen. Extratone mit seinen 1000 BPM (und darüber hinaus) ist ein weiteres Beispiel dafür, und wir sind eines der wenigen Labels, die diesen Stil tatsächlich auf Vinyl veröffentlicht haben.
Der Schock, nach dem du mich gefragt hast, ist essenziell für mein psychologisches Gleichgewicht. Ich bin immer auf der Suche nach neuen Schocks, nach neuen sonischen Frankensteins. Die Neugierde nach neuen Konzepten und Ideen hält mich in Schwung und ich habe immer noch viel Spass daran, ihr nachzugehen.
Dieses Interview begleitet einen weiteren Text, der in zweikommasieben #19 erschienen ist. Dort hat Benedikt Achermann gemeinsam mit Moritz Weizenegger den Musiker Hdmirror interviewt, um eine gegenwärtiges Revival von Hardcore inspirierter Musik nochmals aus einem anderen Blickwinkel zu betrachten.
Die Bilder von Balli hat ebenfalls Achermann geschossen.
[1] Auf prole_sectors Instagram ist Dead by Dawn dokumentiert.
[2] In Skatebored We Noize (+Belligeranza 04)
[3] 4 Seasons Pizza (+Belligeranza 05
von Benedikt AchermannMagazin, #19, Bologna, Breakcore, Dead by Dawn, Frankenstein, Futurismus, Gabber, Macao, Zukunftsschock
Kurz nach diesen Begegnungen[1] startete der Italiener seine musikalische Karriere als DJ Balli und gründete im Jahr 2000 sein Label Sonic Belligeranza. Bis heute veröffentlicht das Label experimentelle und oft kontroverse Musik – während DJ Balli weiterhin regelmässig auftritt (zuletzt und prominent etwa neben Zombieflesheater und DJ Scud im Macao [siehe zweikommasieben #16] in Mailand). Ende der neunziger Jahre begann er auch, Bücher zu schreiben und zu Anthologien wie Rave in Italy beizutragen.
Benedikt Achermann besuchte den italienischen Künstler in seinem mehr oder minder legalen Plattenladen (eine Geschichte für sich…) im Hinterraum einer Bar an der Via Mascarella in Bologna. Sie sprachen über den Breakcore-Spirit, das Wiederaufleben von Gabber und Ballis Buchprojekt über den Gabber-Futurismus.
Benedikt Achermann Du bist gerade von einer Reise nach Wien zurückgekommen. Was hast du da gemacht?
Riccardo Balli Ich war für eine Präsentation von Frankenstein, or the 8-bit Prometheus [Chili Com Carne editions, 2018] in der Buchhandlung im Stuwerviertel da. Eingeladen hat mich Rokko, der Herausgeber von Rokko’s Adventures, eine Art «Wasted Jugendstil»-Magazin über die dunklen Seiten Wiens, Literatur und Musik. Frankenstein, or the 8-bit Prometheus ist mein erstes Buch, das auf englisch erschien; es wurde im April 2018 veröffentlicht. Bei der Präsentation war Bianca Ludewig dabei, die gerade ihre Studie Utopie und Apokalypse in der Popmusik: Gabber und Breakcore in Berlin veröffentlicht hat. Am Samstagabend spielte ich an der Party Lauter Lärm im Venster 99, wo ich eine Art Resident Act bin. Die Party ist auf harte elektronische Musik ausgerichtet und schliesst die Lücke zwischen Harsh Noise und extremen Dancefloor-Sounds. Istari Lasterfahrer und The Massacre vom Schweizer Label Terrornoize Industry spielten ebenfalls.
BA Du hast die Anfänge von Breakcore aus nächster Nähe miterlebt. Verfolgst du Breakcore noch? Wie beurteilst du den aktuellen Stand des Genres?
RB Breakcore war für mich immer primär eine hybride Strategie. Ich erinnere mich deutlich daran, dass ich um 2004 den Eindruck bekam, dass sich das Genre zu einem kodifizierten Stil entwickelt. Das Rezept dieses Stils war die Kombination von Gabber-Kicks und Amen-Breaks. Ich sah, wie sich dieses Muster immer wiederholte – und es langweilte mich. In einer grösseren historischen Perspektive war Breakcore nichts Neues. In der Avantgarde geht es traditionell um das Nebeneinander von Dingen, die nicht zusammenpassen – das Aufeinanderprallen, der Mash-up, die Beobachtung, was dabei herauskommt. Das ist die Einstellung, die ich beibehalten wollte. Deshalb begann ich, nach Wegen zu suchen, wie ich diese Breakcore-Attitüde auch ausserhalb von Musik in anderen Projekten einsetzen konnte. Sonic Belligeranza war immer auf harte Dancefloor-Sounds ausgerichtet. Aber Breakcore löste in mir immer mehr ein klaustrophobisches Gefühl aus. Als Reaktion darauf habe ich die Sublabels -Belligeranza und +Belligeranza lanciert. Letzteres veröffentlicht noch härtere und extremere Musik und konzeptionelle Noise-Projekte. Ersteres beschäftigt sich mit weniger harschem Material. Die Releases von -Belligeranza reichen von Battle Breaks [Platten zum Scratchen], über Horrorcore-Rap bis hin zu Vaporwave. Sicherlich seltsames Material, aber es ist nicht so sehr auf «harte» Sounds fokussiert. Es geht vielmehr darum, innovative Ideen auszudrücken. Ich sehe auch die Art und Weise, wie ich schreibe, als Weiterverfolgung der Breakcore-Strategie ausserhalb des Musik-Kontexts. Frankenstein, or the 8-bit Prometheus ist ein literarischer Mix aus Mary Shelleys Klassiker, der Einflüsse und Jargon der 8-Bit-Videospielkultur aufnimmt und nicht-fiktionalen Berichte anlässlich des 17. Jahrestages von Sonic Belligeranza. Ich wollte dies nicht als klassischen Essay angehen, sondern zielte auf eine Mischung aus literarischen und «low brow»-Stilen.BA Sonic Belligeranzas Output ist oft sehr konzeptionell – was man im Hardcore-Bereich eher selten sieht. Es scheint, als ob du kein Problem damit hast, dich zwischen «low brow» und «high brow»-Kultur zu bewegen…
RB Ja, meine Arbeit wird oft als «konzeptionell» beschrieben. Ich verfolge Noise schon eine sehr lange Zeit und für mich ist das meiste davon langweilig und vorhersehbar. Ich versuche, die Noise-Szene mit frischen Ideen zu bereichern. Eine der besten Platten von Sonic Belligeranza besteht zum Beispiel aus Geräuschen von Skateboards[2]. Oder es gibt die Quattro-Stagioni-Pizza-Noise-Platte[3]. Es läuft wieder auf Breakcore hinaus – auf einer konzeptionellen Ebene versuche ich, Breakcore zu sein – «low brow» und «high brow» nicht nur in der Musik, sondern auch im Leben zu vermischen. In den historischen Avantgardebewegungen ging es immer darum, die Kluft zwischen Kunst und Leben zu überbrücken. Kunst ist keine Kunst, wenn sie vom Leben getrennt ist. Kunst ist eine Form der direkten Handlung.
BA Es ist faszinierend zu sehen, was aus Marc Acardipanes kryptischer Catchphrase «see you in 2017» geworden ist. In den letzten drei Jahren hat sich das Interesse an der Rave-Kultur der neunziger Jahre und damit verbunden dem Gabber- und Hardcore-Kontinuum verstärkt. Kollektive wie die Pariser Casual Gabberz [siehe zweikommasieben #16] und Künstlerinnnen wie Sentimental Rave, Hdmirror [siehe zweikommasieben #19] und Gabber Eleganza [siehe zweikommasieben #17] aus Italien greifen den Sound und die Ästhetik der Gabberkultur wieder auf. Mittlerweile haben alle diese Künstler auch im symbolträchtigen Berghain gespielt. Thunderdome feierte sein 25-jähriges Jubiläum mit 40 000 Raverinnen. Zeitgleich ist auch die Underground-Hardcore-Szene wiederbelebt – Praxis Records [siehe zweikommasieben #17] feierte sein 25-jähriges Jubiläum und in der Schweiz finden wieder vermehrt Breakcore- und Gabberpartys statt, u.a. vom bereits erwähnten Terrornoize Industry-Label. Was hältst Du von dieser Gabber-Renaissance?
RB Ich freue mich sehr darüber, wahrscheinlich im Gegensatz zu anderen Gabbers meines Alters, die diese neue Welle als «Hipster-Hardcore» abtun. Das hat auch etwas Wahres, aber insgesamt denke ich, dass die Renaissance ein Phänomen ans Licht bringt, das mehr Aufmerksamkeit verdient hat. Gabber ist wichtig für die elektronische Musik. Viele klangliche Lösungen von Gabber, wie der Hoover-Bass und die Konzentration auf die Kickdrum beeinflussten die elektronische Musik im allgemeinen. Ich sehe Gabber als das Äquivalent der elektronischen Musik zu Punk und Metal, das sich Techno entgegensetzt, wie es Punk mit (Prog-)Rock tat.
BA Diese Anti-Haltung und das subversive Potential von Gabber werden oft angesprochen. Wie kommt das?
RB Ich persönlich bin vor allem daran interessiert, Gabber selbst subversiv zu unterwandern. Das Genre wird oft als idiotische, nicht ernstzunehmende Musik abgetan. Was ich mit der Unterwanderung von Gabber meine, ist, dass ich ihn mit einer avantgardistischen Bewegung in Verbindung bringen will. In diesem Fall die italienische Futurismus-Bewegung.
BA Das ist das Thema deines aktuellen Buches sbrang gabba gang!, das soeben auf Agenzia X veröffentlicht wurde, richtig?
RB Ja, sein Untertitel lautet «The Gabber Reconstruction of the Universe», meine Interpretation von ricostruzione futurista dell’universo, dem Manifest von Giacomo Balla und Fortunato Depero, zwei italienischen Futuristen aus dem frühen 20. Jahrhundert. Ich sehe viele von Gabber und Futurismus geteilte Gemeinsamkeiten. Beide Bewegungen verehren Geschwindigkeit und teilen eine kriegerische Ästhetik. Beide wurden beschuldigt – oft zu Recht – faschistisch zu sein. Ich verfolgte diese Parallelen weiter und darum geht es in sbrang gabba gang! Wie bei Frankenstein, or the 8-bit Prometheus verfolge ich einen Ansatz, der Fiktion und Sachtexte vereint. Statt dem Shelley-Klassiker muss nun der Futurismus dran glauben. Da gibt es zum Beispiel den berühmten Text «The Art of Noise» von Luigi Russolo, den ich in «The Art of Bassdrum» umarbeite. Der fiktive Teil des Buchs schildert die Abenteuer einer Gruppe von Gabber-Futuristinnen. Sie betreiben Kunstvandalismus, es geht ihnen darum, das italienische Kulturerbe zu beschädigen. Ich gehe hin und her zwischen Fiktion und Fakt, zwischen Gabber und Futurismus und vermenge sie. In gewisser Weise möchte ich auch den Futurismus verschandeln, indem ich ihn mit Gabber in Verbindung bringe.
BA Kunstvandalismus – erzähl mir mehr davon!
RB Die Futuristen wollten das Museum zerstören. Es gibt einen faszinierenden Fall von jemandem, der das wörtlich genommen hat: Piero Cannata. Er ist berüchtigt für eine Reihe von Beschädigungen wichtiger Kunstwerke. Er hat 1991 – und das ist nur der berühmteste Fall – Michaelangelos David mit einen Hammer zugesetzt. Cannata befindet sich derzeit in einer Irrenanstalt. Das klingt nach meiner Vorstellung von Gabber-Futurismus. Gabber ist traditionell mit Hooliganismus verbunden. Wenn eine niederländische Mannschaft gegen Rom spielt, hinterlässt sie immer eine Spur der Zerstörung… Mode ist eine weitere Parallele. Mode war sowohl für Gabber als auch für den Futurismus sehr wichtig. Die Futuristen schrieben alle möglichen Manifeste, zum Beispiel über Essen, aber auch über Mode. Der Trainingsanzug wurde von Futuristen erfunden! Zwei italo-amerikanisch-schweizerische Brüder entwickelten 1919 den ursprünglichen Entwurf. Im Buch spinne ich ein fiktives Garn von diesem Punkt zu einem integralen Bestandteil der Gabberuniform: den Trainingsanzügen der italienischen Marke Australian. Futurismus wird in Italien in den Schulen gelehrt, in gewisser Weise ist es ziemlich «Pop». Schon Teenager wissen Bescheid. Ich hoffe, ein besseres Verständnis von Gabber zu schaffen und neue Perspektiven auf den Futurismus zu eröffnen. Viele gehen aber lieber nicht allzu tief in diese Themen rein, wegen der fragwürdigen politischen Standpunkte und den Verbindungen zum Faschismus. Es ist wichtig, zu kontextualisieren, was Faschismus bedeutete und was seine Rolle zu Beginn des letzten Jahrhunderts war. Dennoch handelt es sich um eine Anschuldigung, die nicht ignoriert werden darf und die diskutiert werden muss. Einige Futuristinnen waren eindeutig Faschisten, wie Filipo Marinetti, Autor des futuristischen Manifests. Ich gebe ihm in meinem Buch den Spitznamen «Dominator» Marinetti und mache mich damit über seine Rolle als unbestreitbarer Führer der Bewegung lustig.
BA Dominator ist natürlich auch der Name des riesigen Mainstream-Hardcore-Festivals in Holland…
RB Genau. Um ein weiteres Beispiel dafür zu nennen, wie ich mit dem Thema Faschismus umgegangen bin: Der bereits erwähnte Balla schrieb nicht nur das Manifest, sondern war auch ein berühmter Maler und hatte eine faschistische Periode. Deleuze und Guattari schreiben über biologischen Faschismus und «Mikrofaschismus». In jedem von uns, sagen sie, gibt es ein Element des Faschismus. Also, lass uns damit umgehen, es untergraben! Ich tue dies mit dem Mittel der Alliteration, mache den Schritt von Balla zu Balli – und bringe es auf eine persönliche Ebene, zum Beispiel auf meinem Tape Svelto The Hakken Tuner für Arte Tetra.
BA Eine Reaktion auf Gabber – auch in meiner persönlichen Erfahrung – ist, dass viele den Stil immer noch sehr stark als «Nazi-Musik» sehen.
RB In Italien ist es auch so. Es gibt gute Gründe für eine solche Sichtweise, aber ich denke, sie ist meist auf Ignoranz und mangelndes Wissen über Gabber zurückzuführen. Ich sehe Gabber als Ausdruck der Arbeiterklasse, der Lumpenproletariatskultur. Es ist eine ähnliche Geschichte wie in der Punk-Bewegung, wo die Oi- und Skinhead-Subkulturen von der extremen Rechten untergraben wurden und bis heute unter dieser Assoziation leiden. Das ist etwas, womit ich mich in meinem Text «How To Cure a Gabba» beschäftigte. Ich bin seit den den neunziger Jahren in der Gabberszene unterwegs und analysiere in diesem Text einige meiner Erfahrungen. Ich spielte in den Neunzigern hauptsächlich Breakcore. Die Besetzerinnen, für die ich normalerweise in Italien spielte, fanden das nicht so toll. Sie spielten meistens Drum’n’Bass und verstanden diesen Sound nicht. «Es ist alles verzerrt! Lern mal, wie man mischt!», sagten sie zu mir. Zur gleichen Zeit bekam ich Bookings auf kommerziellen Gabber-Veranstaltungen. Ich traf dort Leute, die meine Musik feierten – aber politische Ansichten vertraten, die mich völlig in Verlegenheit brachten. Ich verkaufe immer noch oft Platten und Bücher auf Partys. In den neunziger Jahren war dies eine Möglichkeit für mich, mit «echten» Gabbern zu interagieren. Ich wurde oft mit ignoranten, rassistischen Einstellungen konfrontiert. Mein Eindruck war, dass diese Einstellungen in den meisten Fällen einfach einfältig waren, das waren nur Menschen, die dem folgten, was ihre Freunde taten oder sagten. In einigen Fällen ist es mir gelungen, mit ihnen über Gabber eine gemeinsame Basis zu finden. Ich erzählte ihnen von Leuten wie The Darkraver oder DJ Loftgroover, farbigen Künstlerinnen, oder Liza’n’Eliaz, einer (mittlerweile verstorbenen) trans/queer Künstlerin. Das war meine Art, sie herauszufordern und Zweifel über ihre Ansichten in ihre Köpfe zu pflanzen. Ich behaupte nicht, dass dieser Ansatz zu 100% erfolgreich war. Aber in einigen Fällen folgten mir Gabber tatsächlich zu Gigs in anarchistische Squats und waren so ganz anderen Ideen ausgesetzt. Hätte ich jeden Kontakt auf orthodoxe Antifa-Weise abgelehnt oder versucht, sie zu bekämpfen, wäre nichts davon passiert.
BA Leider eignet sich die extreme Rechte heutzutage den Antifa-Look an und übernimmt sogar Slogans wie «good night white pride», die sie zu «good night left side» umformulieren.
RB Und in Italien haben wir jetzt rechte Hausbesetzungen von einer Bewegung namens «Casa Pound». Wieder einmal ein Beispiel für rechtsextreme Bewegungen, die sich von der Linken entwickelte Kultur und Taktiken aneignen – in diesem Fall die Strategie der Besetzung. Also, holen wir es uns zurück! «sbrang gabba gang!» ist eine Ausdruck zur Wiederaneignung einer Kultur, die uns «gehört». Es ist ein Akt der reclamation, der die Gabber-Kultur zurückfordert, denn ich glaube nicht, dass Gabber rechts ist. Gabber trägt keine politische Botschaft. Gabber ist harte Musik zum Feiern und kann als Ventil dienen, um mit einer harten Arbeiterinnenexistenz fertig zu werden. Das ist eine weitere Sache, die Gabber und Futurismus gemeinsam haben: Aggression, Härte. In der Number One, einer Diskothek in Brescia, gab es am Ende der Nächte im Sala Due die berühmte «Gabberpyramide». Inzwischen ist sie italienische Gabberfolklore und man kann faszinierende Aufnahmen davon im Internet finden. Raver trafen sich in der Mitte der Tanzfläche und schufen eine aufeinandergestapelte, menschliche Struktur. Das Ziel war es, den Gipfel zu erreichen und die Decke von Sala Due zu berühren. Es war eine Form von violent dancing, eine Art Moshpit. Futuristen veranstalteten ihrerseits Soirées, Nächte mit Poesie-Lesungen und Ausstellungen futuristischer Kunst. Die Nächte waren von einer aggressiven Haltung und absichtlichen, körperlichen Provokationen geprägt. Nicht selten endeten diese Soirées in Tumulten. Umberto Boccioni, ein futuristischer Maler, dokumentierte dies in seinem Gemälde Rissa in galleria («Aufstand in der Galerie») von 1909.
BA Simon Reynolds und Mark Fisher, möge letzterer in Frieden ruhen, erwähnten oft, dass sie beim ersten Hören von Jungle eine Art «Zukunftsschock» erlebten. Nach ihrer Meinung wird dieses Erlebnis immer seltener. Wann hast du das letzte Mal einen future shock erlebt, als du eine neue Entwicklung in der Musik gehört hast?
RB Ich bin ständig auf der Suche nach dieser Art von Schock. Die Suche nach und das Untersuchen solcher Schocks ist im Prinzip der Sinn meines Labels. Die letzten Schockmomente für mich waren Death Rap / Horrorcore und Extratone. Wann immer ich etwas finde, das mir interessant erscheint, versuche ich, ein Projekt daraus zu machen. Mit Rancid Opera haben wir den Horrorcore-Rap erforscht, indem wir die Sprache der Oper – die traditionell Gore-Elemente enthält – verwendet haben, um uns u.a. über schlechten italienischen Rap lustig zu machen. Extratone mit seinen 1000 BPM (und darüber hinaus) ist ein weiteres Beispiel dafür, und wir sind eines der wenigen Labels, die diesen Stil tatsächlich auf Vinyl veröffentlicht haben.
Der Schock, nach dem du mich gefragt hast, ist essenziell für mein psychologisches Gleichgewicht. Ich bin immer auf der Suche nach neuen Schocks, nach neuen sonischen Frankensteins. Die Neugierde nach neuen Konzepten und Ideen hält mich in Schwung und ich habe immer noch viel Spass daran, ihr nachzugehen.
Dieses Interview begleitet einen weiteren Text, der in zweikommasieben #19 erschienen ist. Dort hat Benedikt Achermann gemeinsam mit Moritz Weizenegger den Musiker Hdmirror interviewt, um eine gegenwärtiges Revival von Hardcore inspirierter Musik nochmals aus einem anderen Blickwinkel zu betrachten.
Die Bilder von Balli hat ebenfalls Achermann geschossen.
[1] Auf prole_sectors Instagram ist Dead by Dawn dokumentiert.
[2] In Skatebored We Noize (+Belligeranza 04)
[3] 4 Seasons Pizza (+Belligeranza 05