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Il tacco del Duka
Rivista!Unaspecie, 17 ottobre 2014 Il tacco del Duka. Radiocronache dai bassifondi
Irriverente, fantasioso, geniale. Il colpo di tacco è il manifesto delle direzioni ostinate e contrarie: lacera le tele apollinee della tattica e trasforma in cumuli di cenere le frenesie marziali dei difensivisti più rudi, traccia sentieri attraverso lo scibile calcistico e accarezza i fili d’erba con la scintilla imprevedibile di chi non accetta gli ombrelli dei padroni. In un mondo che interna la follia in castelli aperti di incomprensione e discriminazione, il Duka recupera l’atmosfera meticcia dei collettivi studenteschi romani e la proietta in uno show radiofonico: le sue memorie di cinquantenne giallorosso intrecciano il tacco geniale di Falcao alla perla iconoclasta di Amantino Mancini; il suo cuore contestatore non dimentica le lotte studentesche del 1977 e trapianta l’eredità perduta dei Movimenti sulle frequenze di Radio Onda Rossa. Pensieri in libertà e attacchi frontali, lampi di letteratura e scorci di pop-colture, slanci antifascisti e spiriti anti-borghesi, voci dalle strade sommerse e grida dalle periferie inascoltate dei mondi “sbagliati”: il Tacco squarcia la globalizzazione attraverso l’etere e connette le contro-culture attraverso un alfabeto comune. Il suo linguaggio cerca l’ignoto e ripudia i clichè: bando alle ciance e al conformismo, l’università delle periferie romane graffia l’ipocrisia con il suo orgoglio indipendente.
“Meglio un tacco che una sòla”.
Lo show diventa racconto e la voce si cristallizza sulla pagina, ma le parole non smettono di tracciare squarci sul bianco: il coltello di Lucio Fontana assale i cliché della narrativa radiofonica e presenta generazioni di uomini e donne che hanno imposto al loro genio di passare col semaforo rosso per registrare la loro impronta sull’anima profonda della storia. Il Duka scorta i suoi lettori attraverso i venti contrari degli spiriti liberi e degli anticonformisti: il racconto abbraccia i tocchi magici di Sócrates e ascolta le liriche infuocate di Gil Scott-Heron, la voce spazia da Truman Capote alle magiche culture degli altri mondi. Milita e non si prende sul serio, lotta e ride della sua passione, contesta e traccia scie d’indipendenza, lacera e svetta, sorride e affoga; non risponde, ma accende domande. Non compiace, ma fa divampare la rabbia. Schernisce i sognatori, ma odia gli indifferenti. Legge le correnti per sfidarle e cavalca le mode per disarcionarle, ma non perde il contatto con le bizzarre miserie della sua civiltà. Irride l’ipocrisia senza rinunciare ai vizi per affermare che un altro modo di vivere potrebbe aprire la scena a un mondo meno falso e più umano. Provocazione e scherzo, rabbia e burla, sregolatezza e genio: lampi di creatività e tuoni di città. Il Tacco del Duka.
di Daniel Degli Esposti
Notiziario CDP, luglio-agosto 2014 Il tacco del Duka
Questo libro è il frutto della controcultura romana di cui il Duka è uno degli esponenti più apprezzati. Vi sono raccolti appunto, sotto il nome della rubrica radiofonica, tutti gli interventi settimanali del Duka a Radio Onda Rossa. Ben sessanta track numerate e titolate dalle quali emerge l’istrionismo di un personaggio che usa il calcio come metafora della vita e con i toni divertiti ci parla di politica, cronaca, musica e cinema attraverso un flusso vitale di parole che si rincorrono come è proprio del linguaggio radiofonico. Ad introdurre il libro è, Elio Germano, calabrese di nascita ma romano d’adozione, ascoltatore di Radio Onda Rossa, amico del Duka ma soprattuto fratello nelle sue stesse battaglie, come lui stesso ammette.
di g.p.
www.doppiozero.com, 30 novembre 2013 Il tacco del Duka
Mi è capitato di incontrare il Duka diverse volte in passato, quando cercavo di lavorare in editoria. In un paio di occasioni abbiamo fatto il banchetto di libri insieme a qualche fiera del libro ma non credo si ricordi e poi non importa. Uno dei protagonisti di un suo precedente romanzo Rumble bee, scritto con Marco Philopat, racconta bene, tra le altre cose, la vita dei “banchettari” dell’editoria: quelli che stanno in prima linea ai saloni del libro, alle fiere della piccola editoria, della micro editoria, dell’editoria indipendente, dell’editoria di movimento, dell’editoria del libri fatti a mano e di quella dei libri fatti male. Quello che conta è che in quelle occasioni si incontrano un sacco di persone, le più diverse, e quelle volta ho avuto modo di lavorare gomito a gomito con una persona vulcanica, divertente, irriverente, profondamente umana, gentile. E dotato di una lingua affilata e sfrontata, sempre pronta all’invettiva, alla beffa, alla battuta. Una di quelle persone senza filtri che immancabilmente dice ciò che pensa. Il suo editore, dovendo tracciare una sua biografia sul sito e sui libri, si limita a scrivere: ironico bardo della controcultura romana. Forse ha ragione Elio Germano, che nell’introduzione all’ultimo libro dice “Col Duka bisogna sempre mantenere del mistero”. E in effetti su di lui si trovano poche informazioni a parte il fatto che è autore di Roma K.O. E del già citato Rumble bee, insieme a Marco Philopat di Agenzia X.
Incontrato per caso qualche mese fa ho voluto intervistarlo sul suo ultimo libro, all’epoca fresco di stampa e non ancora distribuito. È stata l’intervista più veloce e meno impegnativa che io abbia mai fatto. Praticamente sono riuscito a fargli una sola domanda, dopodiché lui ha cominciato a parlare e la sua arte affabulatoria ha fatto il resto. Dopo un quarto d’ora mi ha guardato e mi ha detto “credo di averne sparate abbastanza”, e io di rimando “sì, grazie!”.
Adesso che il suo libro Il tacco del duka. Cronache dai bassifondi, edito come gli altri da Agenzia X, si trova nelle librerie, ho ritenuto opportuno pubblicare questa non-intervista che probabilmente non ha nessun merito tranne quello di rendere bene l’idea di come è nato il libro, il suo tono, e restituire in modo fedele la freschezza tutta romana del Duka. Anzi, probabilmente sono già andato oltre e chissà quante me ne tirerà dietro! Il libro è appena stato stampato e io ho avuto solo cinque minuti per sfogliarlo, quindi chiedo a te di raccontare com’è fatto il libro e come nasce.
Il tacco del Duka, prima di essere un libro, nasce come rubrica di una trasmissione radiofonica. Nasce per sbaglio, almeno per me. In via del Volsci, a San Lorenzo, mi beccano degli amici miei che fanno la trasmissione Daje pure te, una delle più antiche di Radio Onda Rossa: ha vent’anni, mentre la radio ne ha 36. C’è solo una trasmissione che è rimasta dal ’77 a oggi, la trasmissione Normale Follia, fatta dai compagni del Policlinico che lavorano a Neuropsichiatria infantile. Per il resto la più vecchia è Daje pure te che viene trasmessa dal ’86-’87 ed è sicuramente quella più seguita. È una trasmissione musicale reggae, a me alcune cose del reggae piacciono però non è proprio il mio genere. Ho molti amici che sono degli appassionati, li ho anche bazzicati. Per alcuni di loro e per un breve periodo feci anche da PR e da ufficio stampa di bassissimo livello. Però non me ne è mai fregato nulla, devo dire.
Comunque sia, una sera mi vedo con degli amici che mi dicono “senti, devi fare una rubrica nella nostra trasmissione, ora siamo a settembre riattacchiamo la prossima settimana!” A settembre eravamo tutti appena tornati dalle vacanze o da non fare un cazzo a Roma, così ci siamo rincontrati e mi dicono “cominci il prossimo sabato, parla di quello che ti pare tanto noi il titolo lo abbiamo trovato, si chiamerà Il tacco del Duka”. Al che io gli rispondo: “meglio un tacco che una sòla”, che è poi rimasto non come sottotitolo del libro che è Cronache dai bassifondi ma come formula ripetuta all’inizio della trasmissione; a volte lo dico io a volte loro. Tutto dipende se do un colpo di tacco o una sòla di quelle micidiali. A volte infatti non mi va di farla, dopo tre stagioni a volte c’hai i coglioni pieni. Non è che ogni sabato ho chissà quale idea! Per dire, a un certo punto ho cominciato a fare una serie di recensioni vintage di uscite home video degli anni ’91-’93.
Avevo vecchi numeri di una rivista a fumetti che compravo una volta e faceva cose molto interessanti, si chiamava Nova Express. Era una pubblicazione bolognese dei primi anni ’90, con dei fumetti strepitosi! Frank Miller l’ho conosciuto così, ai tempi di Give me Liberty. Alla fine, per farti capire, non sapevo che cazzo fare. Piglio quella rivista e vedo che c’erano delle recensioni piccoline, di poche righe, e ho iniziato a fare le recensioni vintage, cosa che non ha mai fatto nessuno, sulle uscite editoriali e home video dei primi anni ’90. Siccome le recensioni brevi devono essere scritte in un certo modo, che peraltro a me fa cagare, tutti erano convinti che quelle stronzate me le fossi inventate io; invece le stavo leggendo di sana pianta! Vaglielo a dire alla gente che non lo sa... era una rivista che faceva degli articoli notevoli, però in tre righe... anzi devo dire che erano molto bravi perché ci mettevano una certa autoironia, sapendo di scrivere su una rivista seria. “Va fatta così ma almeno divertiamoci!”. Le sparavano grosse, certe cazzate! Insomma, mi hanno fatto un sacco di complimenti per queste recensioni, anche se di tutte queste nel libro ce n’è una sola, quella sulle Tartarughe Ninja mutanti.Mi stavi dicendo del libro...
Sì, io il libro non lo volevo neanche fare! Ha cominciato a rompere il cazzo il mio editore, Marco Philopat, che è anche autore con me di due romanzi: Roma KO e Rumble bee. Lui diceva che lo dovevo fare, che avevo già il libro pronto! Questo perché mi aveva sentito un paio di volte, quando magari eravamo insieme. Mi chiamavano di sabato: magari ero in giro a Roma o a Milano o per l’Italia in qualche manifestazione e mi arrivava la telefonata. Perciò il libro nasce per sbaglio, perché ho passato due o tre mesi con Philopat che insisteva ogni volta che mi sentiva per telefono, mi ricordava “allora, quando facciamo sto libro? Ce l’hai pronto? Tanto basta che sbobini, hai tutti gli mp3!”
Io non volevo fare: chi se lo compra? È un libro inutile! Già i libri non vendono un cazzo, e questo non è ne un romanzo ne un saggio, in più non ha nemmeno una nicchia di mercato perché una rubrica radiofonica, una trasmissione, o parla di calcio o parla di cucina o parla di politica o parla di libri. Questa parla di tutto. Puoi trovare: le recensioni vintage degli anni ’90, la ricetta dei macaron, manco fossi la Clerici o la Parodi, i resoconti delle manifestazioni, o in giro per l’Italia o a Roma, più un sacco d’altra roba.
Una volta ero a cena con uno di quelli che fa la trasmissione, Daje pure te, e mi dice: “no ma guarda hai ragione, Philopat sta sbagliando”. A un certo punto però arriva la sua ragazza, una di quelle che si incazza spesso: perché lui è sempre in giro per fare le trasmissioni invece di stare a casa a fare sesso con lei o andare a fare la passeggiata o aiutarla a fare una qualsiasi cosa da fare a casa. Invece di condividere la vita, lui è tutto preso dalla trasmissione! Perché la trasmissione va preparata. Lui poi fa un sacco di altre cose, perciò almeno due o tre giorni li butta dentro questa trasmissione di Radio Onda Rossa, questa cosa che non porta reddito.
Radio Onda Rossa di Roma è l’ex emittente dei Comitati Autonomi Operai, ex perché i comitati si sono sciolti da un pezzo, altrimenti non ci sarebbe nessun ex... nel senso che la radio ha sempre continuato ad essere una radio di movimento. Però quando è nata, nel ’77, era la radio di un’organizzazione ben precisa.
Ti stavo dicendo della ragazza del mio amico. Io pensavo: mi ha appena invitato a casa, a cena, senza avvisarla, dicendole “Guarda c’è pure il Duka”. Arriviamo lì e sta poveraccia deve pure cucinare per me al momento, in più s’è ritrovata con noi che abbiamo egemonizzato la serata e abbiamo chiacchierato tutto il tempo di ’sta trasmissione e le abbiamo fatto due ovaie gigantesche! Ma a un certo punto fa, “no Duka, stai sbagliando, ha ragione Philopat, il libro lo devi fare!” Non so se ce l’ha detto perché sperava che smettessimo di parlare, però è andata così.
Devo dire che alla fine sono stato abbastanza paraculo perché mi sono fatto fare la copertina da Zerocalcare che ha, dopo Beppe Grillo, il blog più famoso d’Italia. Il suo primo libro ha venduto 25.000 copie. Mi ha fatto pure più giovane, con 20 chili in meno! Ma la verità è che ero così fino a qualche anno fa... La prefazione invece me l’ha fatta uno che, anche se non è un mio amico, ha scritto parole molto belle. Ci siamo conosciuti per caso a una festa di compleanno di un amico comune. Io mi sono fatto dare il numero e l’ho chiamato, si è rivelato un grandissimo ascoltatore di Radio Onda Rossa. La sua prefazione non solo è fatta con cognizione di causa sulla mia rubrica, ma parla anche di altre trasmissioni della radio. È uno dei pochi attori bravi in Italia: Elio Germano. Non fosse altro perché ha vinto la Palma d’oro come migliore attore a Cannes! Il David di Donatello non lo consideriamo neanche perché lo può vincere chiunque, visto che siamo in Italia e ci sono attori come Stefano Accorsi.
Insomma, la copertina l’ha fatta Zerocalcare, la prefazione Elio Germano ma tutto questo non corrisponderà alle vendite del libro!
di Marco Liberatore
il manifesto, 28 novembre 2013 Un desiderio disincantato di sovversione sociale
Bardo della contro-cultura romana. Visionario dell’arte affabulatoria, memorialista dei bassifondi. La sua scrittura è una parola cadenzata, lavorata nel discorso libero indiretto, una sintesi tra il fatto biografico, il reportage, la politica. Il Duka, si fa chiamare come David Bowie, ma è nato e vive nel quartiere di San Basilio a Roma. Nei cinquanta reportage (corrispondenze, recensioni di libri o musicali, di viaggi, storie dei movimenti americani e italiani) contenuti nel suo ultimo libro Il tacco del Duka (Agenzia X, euro 14), copia su carta della rubrica omonima su Radio Onda Rossa nell’ambito della trasmissione di culto Daje pure te, lo stile del Duka è prossemico. Dipende dalla disposizione del suo corpo, i gesti, i comportamenti, una comunicazione sia verbale che non verbale contenuta nella parola scritta. Tutto questo non lo si può vedere leggendo un libro, è ovvio, ma lo si può sentire. Casualmente mi è capitato di vedere il Duka mentre interveniva in diretta con uno dei suoi «colpi di tacco» (che in romanesco sono l’opposto di una «sòla», come recita il claim della trasmissione). Quando parla, e dunque quando scrive, quella del Duka è concentrata, energica. Si ferma, guarda fisso davanti a se, segue con gli occhi uno schema argomentativo. Sciorina parole precise, scandite come un rap. Questo è il cuore della sua scrittura, che non è testimonianza, segue anzi una logica politica: c’è l’amico, il nemico, la ricerca di una sintesi problematica. Su questa radice il Duka innesta una vena immaginifica. E così il Luna Park del Pigneto a Roma diventa «Bongo Street», la storia dell’autonomia operaia viene trasfigurata nel teletrasporto creato dalla facoltà di Astronomia Operaia. L’ironia fa esplodere le contraddizioni e permette di renderle dicibili, conquistando la possibilità di dire la verità alla comunità. L’affetto che circonda il bardo è il riconoscimento di questa capacità a suo modo parresiastica. Il Duka elabora un registro composito, fatto di iperboli che sfidano la verosimiglianza, come. nella visita alla première dame Carla Bruni, o alla festa a Buckingham Palace per il Royal Baby dove il Duka si è «auto-inviato». Il suo obiettivo è catturare l’attenzione, come fanno i narratori davanti al fuoco. Per farlo, bisogna sospendere il senso comune nella società dello spettacolo. Così racconta le micro-storie degli umili, per salvare i sommersi e proteggere la vita nel presente. In questo mondo del Duka persiste un desiderio disincantato di rivoluzione.
La versione integrale di questo articolo si trova su furiacervelli.blogspot.it
di ro. ci.
www.carmillaonline.com, 14 ottobre 2013 Il tacco del Duka: vedere cose fantastiche
Copia su carta della rubrica radiofonica all’interno del programma Daje pure te di Radio Onda Rossa, Il tacco del Duka ben interpreta la freschezza di un genere che annovera titoli come Guida Galattica per Autostoppisti (Douglas Adams, Mondadori), Funk! (Rickey Vincent, Odoya) oppure l’impareggiabile Dio la benedica Dr. Kevorkian (Kurt Vonnegut, Minimum fax). Ma che cos’è un “tacco”? Il tacco è quel colpo da maestro che segna un goal a tradimento, senza un’azione architettata, come il pallonetto per quelli come me che masticano più di pallavolo. Il corollario è indispensabile: Il tacco del Duka, meglio un tacco che ’na sòla… E ora, con buona pace degli esegeti di Pasolini non tradurrò sòla, chè si capisce, basta solo dire che il tacco e la sòla stanno agli antipodi, si escludono a vicenda. Laddove c’è un colpo di tacco nessuno ti sta tirando una sòla. La definizione sintetica che meglio si attaglia al Duka come autore è bardo in quanto interprete e cantore − in questo caso, filologicamente, anche narratore orale, un po’ giullaresco − della cultura popolare. Ma entrando nel vivo: si tratta di più di cinquanta chicche di cultura, avventura, radiocronaca da cortei e manifestazioni, proposte, visioni, missioni e lezioni di vita sparate a raffica e senza perdere un colpo. Mentre aleggia il fantasma di Mike Bongiorno che scompare e riappare tra le “track” ogni volta come nume tutelare e elemento di sornione supporto comico nell’incedere di tacco c’è anche spazio per la proposta di un sottopassaggio con tapis ruolant dal Pigneto a San Lorenzo ovvero l’operazione Bongo Street, che al di là dell’utilità nota forse solo ai romani, è interessante perché fa della petizione e della proposta urbanistica una forma letteraria, borgesiana nella sua improbabilità. Il teletrasporto creato dalla facoltà di Astronomia Operaia è il veicolo che consente al nostro di essere semi ubiquo. “Autoinviato” a serate, cortei, gran galà, presentazioni e in mezzo alla giungla indonesiana alla ricerca del mitico elefante bianco. Il serio sospetto che non si sia mai realmente mosso da camera sua coglie a più riprese il lettore. Si potrebbe fare un gioco: ‘indovina dove veramente è stato il Duka?’, ma diminuirebbe di molto il fascino dei colpi di tacco. Se dovessi puntare una lira, direi che in Indonesia c’è stato davvero, tanta la dovizia di particolari e il numero di puntate dedicate a questo viaggio dall’altra parte del mondo (e se non è così chapeau!!!), mentre, per quanto il teletrasporto possa essere effettivamente stato inventato solo per lui, non credo sia verosimile una sua visita alla première dame (quella che faceva la top e cantava cose smielate) né che abbia partecipato alla festa per il royal baby a Buckingham Palace, vabbè che è Duka, però… L’inverosimile a cui il Duka ti fa credere a volte sembra un gioioso e un po’ fatto surrealismo, per esempio:
«Questa nuova operazione si chiama Sgommanda, “operazione culi puliti”. Ogni prima domenica del mese sarà in vendita un rotolo di carta igienica, biologica ed equo e solidale. Il ricavato andrà a sostegno delle classi medie colpite dalla crisi. Con 12 euro potrai acquistare un rotolo di carta da culo e insieme ti sarà data la cronaca di Roma del Messaggero, che come tutti sapete sulla tazza ti stimola e non ha controindicazioni. Per ogni rotolo che compri, dieci rotoli saranno dati in dotazione alla santa Barbara dei bar, centri sociali, locali, ristoranti e palestre popolari del quartiere.»
Tuttavia i tacchi che preferisco sono quelli che raccontano fatti poco noti o dimenticati, oppure quelli che indagano la cultura pop: dalla riflessione sulla morte sospetta di Peter Tosh fino al fascino della Tortuga (Mondadori) di Valerio Evangelisti e al misconosciuto inno dei pirati: La Bamba. E poi Chicago 68, gli autori Blaxploitation, il Ritorno del Cavaliere oscuro nella lettura di Žižek e il concetto di vendetta in Old boy. Questo libro è inoltre la fenomenologia del Duka, con la sua vita sempre divisa tra Milano, dove fa base al Cox 18, Roma (Forte Prenestino e San Lorenzo, ma non solo!), Bologna al Lab.Crash e dove c’è movimento, Torino in Val Susa of course, al mare in riviera, a serate e festival etc etc… Come fosse ancora possibile vivere esclusivamente in luoghi altri (eterotopici), luoghi impossibili, ma esistenti come le case occupate, gli spazi sociali con le loro trattorie d’eccellenza, le palestre popolari, i festival di controcultura, le facoltà in rivolta, le piazze gremite di striscioni e i concerti punk affollati di ragazzi sudati con la cresta. Se il Duka c’è e lo narra tutto questo esiste.
La cosa più bella dell’ultimo libro del Duka è che mentre lo leggi e dopo averlo letto, ti senti un po’ Duka pure te e inizi a vedere cose fantastiche, anche laddove c’è solo la triste realtà.
Cassandra Velicogna
flatlandia.radiondadurto.org, 7 ottobre 2013 Intervista al Duka
Il tacco del Duka. Radiocronache dai bassifondi è un libro uscito per Agenzia X che raccoglie alcuni degli interventi radiofonici del Duka a Radio Onda Rossa di Roma all’interno di una trasmissione che si chiama Daje Pure Te. La rubrica si chiama appunto Il tacco del Duka e ha come sottotitolo Meglio un tacco che una sòla. Il libro ha la copertina disegnata da Zerocalcare. Marco ci improvvisa un “tacco” letterario per Flatlandia.
Ascolta l’intervista
Rumore, settembre 2013 Il Tacco del Duka. Radiocronache dai bassifondi
La frase: “Ormai Ormai pure Radio Onda Rossa è diventata bacchettona, sembra che siamo tutti bravi, e allora quando poi rubiamo i soldi dal portafoglio della mamma per andarci a comprare la droga? Ammettiamo queste cose. Dai compagni...”.La copertina di Zerocalcare e la prefazione di Elio Germano introducono al mondo del Duka. Romano e romanista, di formazione punk e con la passione per le controculture, il Duka è soprattutto un libero pensatore. E i suoi compagni di Radio Onda Rossa lo sanno bene, tanto che nella sua rubrica che dà titolo a questo libro, gli lasciano carta bianca. Così, in equilibrio tra finzione e realtà, tra commedia e tragedia, il Duka in queste 60 spassose radiocronache in collegamento telefonico spazia dalla politica alla musica passando per cucina, viaggi, cinema, storia e una folta schiera di personaggi di vita vissuta. Senza dimenticare qualche accenno al calcio. Militante antifascista sempre pronto a critica e (auto)ironia, il Duka dissacra, si appassiona, provoca, stuzzica, scherza e racconta sempre qualcosa. Leggendo le varie “track” presto si allontana il timore espresso da Germano nella prefazione: “leggersi i Tacchi da soli non sarà ahimè la stessa cosa”. No, invece i Tacchi trascritti hanno un’altra vita, prendono le sembianze di un blog senza ansia di commentare con originalità l’argomento del giorno. C’è condivisione di storie e saperi. Senza mai prendersi troppo sul serio. E uno stile naturale. 60 ventate di aria fresca sia per il versante del movimento antagonista più dogmatico sia per gli altrettanto prevedibili amanti del sarcasmo rivolto contro quest’area culturale. Non ignorare un certo spirito umoristico romano e non essere moralisti sono i due presupposti necessari per entrare in sintonia con il Duka. Solo così farete vostro il motto che apre ogni puntata: “Meglio un tacco che una sòla”.
di Luca Gricinella
http://xl.repubblica.it, 29 agosto 2013 Il tacco del Duka, la prefazione di Elio Germano
L’attore romano presenta il nuovo libro dell’ironico “bardo della controcultura romana”, Duka. Una raccolta dei suoi reportage realizzati per la trasmissione di Radio Onda Rossa: “Daje pure te”

Sono entrato in contatto prima con Roma k.o. , attraverso fogli sparsi che giravano clandestini sotto qualche ascella di persone per bene che agitano il malcontento di questa città. C’era dentro qualcosa di grosso, qualcosa di nostro, che c’era presa la voglia di aiutare a diffondere dappertutto perché nessuno l’aveva mai raccontato così. E faceva veramente ridere. Volevamo farne un film. Avevamo dato il nostro “sangue” (la morte non esiste) e avevamo ancora voglia di scombinare il cinema italiano con qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa di carne, fuori da qualsiasi confezione.
Poi ho incontrato il Duka in carne e occhiali. L’occasione fu una preliminare riunione clandestina tra giovani cinematografari eversivi appunto, in un bunker di San Lorenzo che in quel momento era casa di Fuffy. Oltre la serranda a mezz’asta che faceva da porta, un nugolo di facinorosi riuniti a semicerchio su sottofondo di tanti auguri a te in tutte le lingue dai compleanni di tutto il mondo che andavano a loop da un YouTube esploso alle mode da poco. Il Duka si preparava a leggere degli estratti dal libro. Una messa pagana. Tutto intorno a noi, una serie di girandole, tric e trac e petardi terroristici inchiodati alle pareti di questo ex garage cantina di venti metri quadri adibito a monolocale, aspettavano la mezzanotte per chiudere spettacolarmente la lettura e festeggiare il compleanno di Francesco. Eravamo tutti in pericolo. Proiettati dalle parole veloci del Duka che leggeva ci siamo persi nel silenzio dei nostri immaginari. Le scene del film lisergico che ciascuno aveva in mente prendevano forma. Ricordo chiaro quest’attimo di possibilità.
Di lì a poco un capodanno indoor fuori stagione sarebbe stato sul punto di bruciare la grotta con tutti i nostri progetti dentro, fumo e fuoco ovunque, come fossimo tutti parte di un grande documento segreto da far sparire, che manco l’ispettore Gadget. Non si capisce come, ci siamo ritrovati per strada, tra colpi di tosse e respirazioni bocca a bocca, facendo cenno ai vicini in vestaglia allarmati di rientrare a casa, non era successo niente, quel post piazza Fontana alle nostre spalle era soltanto il postumo di un compleanno, succede, non s’erano spente bene le candeline.
In realtà non ho mai capito bene cosa sia successo. Era però chiaro che avremmo fatto un film incredibile, il materiale era forte ed eravamo una compagnia esplosiva.
Era altrettanto chiaro che non avremmo mai trovato i soldi per farlo. Facevamo giustamente paura.
Per non dare nell’occhio abbiamo deciso di non incontrarci più tutti insieme, ci saremmo rincontrati in ordine sparso e casuale. Tra lavori, cortei, suboccupazioni, nascite di figli. Situazioni.
Col Duka infatti poi è capitato di rincontrarci spesso, facendo finta di niente ovviamente, per ingannare i controlli del “mondo che non ci piace” che ci scruta per carpire i nostri segreti sogni eversivi. Ma i nostri occhi sanno, basta ritrovarci ogni tanto, non serve dire niente. Stiamo sopportando tutto questo solo perché non è ancora arrivato il momento, ma ce la faremo, ci ritroveremo tutti insieme e diremo tutto in modo chiaro, e allora saranno veramente cazzi loro.
Forse, segretamente anche a me stesso, mi connetto tutti i sabati alla trasmissione proprio per cercare di decifrare criptosegnali in codice dietro le parole del Tacco del Duka, per individuare la data di eventuali altri appuntamenti teknomassonici che preparino alla grande insurrezione culturale. Ho provato anche a riascoltare il podcast al contrario, è uscita fuori una canzone dei Beatles, non so come interpretare la cosa.
Il Tacco del Duka. Arriviamo al dunque.
La prendo larga: da quando sono piccolo, forse colpito da un calendario storico di Radio Onda Rossa appeso a qualche armadio di Corviale, ho sempre avuto una sola radio di riferimento. Una radio che mi assomigliava, per la sua scompostezza, per la sincerità, per la caciara, per il mondo che raccontava, quello che non ti raccontava nessuno. Mai omologata a niente, di testa sua. Di lotta. E se gli facevi uno squillo magari ti rimettevano pure la canzone da capo, così te la potevi registrare sulla cassetta. Ne sono ancora fortemente dipendente. Quel segnale che disturba è ancora oggi uno dei miei punti di riferimento. Lo stesso spirito di sempre, lo stesso veleno, poca forma, dritta, ostinata, sempre senza una lira ma sempre senza pubblicità, senza padroni, capocciona. Sì, lo ammetto, sono un adepto.
Ho tre programmi irrinunciabili, su tutti. Lo dico con una certa gelosia. L’ora di religione, Visionari, e Daje pure te. Dovunque mi trovo, quando vanno in onda, devo sintonizzarmi su 87.9.
Ora il caso vuole che da un po’ di tempo a questa parte, all’interno dell’ultima delle tre trasmissioni citate, in onda tutti i sabati primo pomeriggio, tra un pezzo e l’altro di reggae sempre fresco, tra una discussione e l’altra der Sego maestro di vita, con super Attila e baba Lampa Dread, che è come fossero ormai amici miei, tra un aggiornamento e l’altro dalla manifestazione settimanale, ecco con mia sorpresa arrivare la nuova rubrica: il Tacco del Duka. A ’na certa ora, immancabile, parte il collegamento.
Il Duka si collega come un vero inviato più o meno da dove si trova a casaccio e dice la sua.
Confonde un po’ le carte ma sotto sotto dice la sua sul fatto del giorno, o della settimana, o dell’anno, dice la sua su quello che je pare alla fine. Non si capisce dov’è, non si capisce cosa è vero, non si capisce bene la direzione, ma il Tacco parte. Alla maniera sua con la voce sua e le parole sue. Un reporter fuori bolla in diretta dal mondo al contrario che subiamo tutti i giorni.
Nel mio palinsesto settimanale è ormai un evento molto atteso e mi vanto con gli amici che lo conosco.
Cosa mai voglia dire Tacco non l’ho mai capito e non voglio scoprirlo, nemmeno adesso che mi trovo a scriverne la prefazione alla raccolta. Col Duka bisogna sempre mantenere del mistero.
Probabilmente sarà un termine tecnico giornalistico, tipo il coccodrillo o il fondo, la spalla. Se c’è la spalla ci sarà pure il tacco. Comunque l’ho sempre immaginato a modo mio come nel senso di un colpo basso, scomodo, inavvertito. Sarà perché almeno per strada il tacco è una cosa così, mezza infame ma risolutiva. Può arrivare agli stinchi o dove fa ancora più male e sempre da qualcuno di spalle. E toglie il fiato, ti lascia un attimo così che non capisci. È il retro della questione, la parte che non t’aspetti. E pure nel gioco del calcio, è un colpo matto, non lo controlli, la palla parte di spizzo, senza guardare, è una provocazione. Tutto istinto. Una cosa che mette a nudo chi lo fa e lascia in mutande chi lo subisce. Se sbagli ti odia la squadra intera. Sennò manda la palla dove non ti immagini e lascia tutti a bocca aperta. Ti costringe a vedere le cose da un altro punto di vista.
E poi è una cosa che non ti puoi trattenere. Il fuoriclasse non si trattiene, gli scappa.
E si vede che gli scappa il tacco al Duka, te lo snocciola sempre tutto d’un fiato, è uno sfogo. sembra che poi riprenda aria e si immerga nella vita senza parlare più fino alla settimana prossima.
Sempre surreale e imprevedibile come la vita vera, sempre parallelo ma sempre dentro tutto, sempre facinoroso, come ci piace, sempre orgogliosamente inadeguato, sempre slacciato.
E il risultato è sempre che ti ritrovi a ridere ma non ti ricordi più perché, non sai se l’hai sentito o te lo sei sognato, non sai se era scritto o era improvvisato, non sai cos’era.
Per un attimo quando finisce rimane un po’ d’eco. Passa quella balla di fieno in cui pensi al senso della vita.
È sbeffeggiatamente minatorio.
È un tacco vero, un colpo all’attacco travestito da sbaglio su sottofondo di confusione.
Un innesco.
Una miccia.

Adesso comincio a capire qualcosa su quella sera a San Lorenzo.

Ora leggersi i Tacchi da soli non sarà ahimè la stessa cosa, ma questo forse in una prefazione al cartaceo è bene non dirlo. Fate conto che non l’ho detto. Poi magari non è nemmeno così, magari vedendo tutto bello scritto e riportato si potrà leggere meglio tra le righe, capire meglio il mistero, sguinzagliare la dietrologia, magari affidando a ogni lettera un numero o mettendo in fila le iniziali di tutti i capoversi, ne verrà fuori una massima di Mao Tse Tung, o il contatto per il prossimo rave illegale, o la soluzione delle soluzioni, totale e definitiva.
Qualunque sia il vostro grado di connessione a certo movimento esoterico sovversivo sotterraneo romano, allacciate le cinture e fate buon viaggio.
E visto che ci siete, senza sapere né leggere né scrivere, prestate bene attenzione a cosa e chi avete attorno quando vi accingete. Non si capisce come ma qualcosa dietro o dentro di voi potrebbe esplodere da un momento all’altro.
di Elio Germano

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