Sbam! Comics 18, dicembre-gennaio 2014 Il fenomeno delle autoproduzioni. Una recensione e un’intervista
È un bel libro, Il potere sovversivo della carta. Di più, è un libro istruttivo, che soprattutto i giovani dovrebbero proprio leggere. Anche quelli che per i fumetti non hanno il minimo interesse. Perché quello di Sara Pavan è un testo che non parla (non solo, almeno) di sceneggiature, disegni e nuvolette. No, parla piuttosto di sogni, della tenace volontà di coltivarli e farli crescere, fregandosene del loro potenziale commerciale. Il che, in un’epoca di mercificazione spinta come l’attuale, dove fin dai banchi di scuola si insegna a misurare ogni cosa in termini di ritorno economico e appetibilità per i circuiti del consumo di massa, è già di per sé un buon biglietto da visita. O, quantomeno, testimonia una visione del mondo e del mercato che merita di essere approfondita.
L’autrice, a sua volta fumettista e curatrice dello spazio autoproduzioni del Treviso Comic Book Festival, raccoglie dodici interviste ad altrettanti protagonisti del fumetto italiano indipendente e autoprodotto degli ultimi dieci anni. Dodici “apostoli” del d.i.y. (do it yourself) «schiacciati da un lato dai mostri sacri degli anni Ottanta e dall’altro dal mostro della crisi, che basterebbero da soli a uccidere qualsiasi slancio», come scrive la stessa Pavan nell’introduzione. Autori che, nella maggior parte dei casi, hanno ormai acquisito notorietà anche al di fuori dell’ambito underground (basti pensare che tra loro c’è anche un caso editoriale come Zerocalcare, capace di vendere decine di migliaia di copie nelle librerie generaliste), ma senza mai rinnegarlo e, anzi, rimanendovi intimamente legati.
Pagina dopo pagina, ecco quindi le voci di Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato e Amanda Vähämäki, oltre che del già citato Zerocalcare. Ne emerge il ritratto di una scena viva e vitale, che guarda anche oltre i confini nazionali grazie a una rete di contatti e circuiti di cui chi frequenta le edicole o le fumetterie probabilmente non sospetta neppure l’esistenza. Una scena in cui il web gioca un ruolo di rilievo (e oggi non potrebbe essere altrimenti), ma in cui centrale rimane sempre e comunque il libro, l’oggetto cartaceo depositario e tramite di quel “potere sovversivo” di cui parla il titolo, omaggio al celebre elogio del “potenziale sovversivo della stampante domestica e della fotocopiatrice” fatto da Bruce Sterling nell’introduzione all’antologia Mirrorshades, da cui prese le mosse la letteratura cyberpunk.
Già, sovversivo: lo conferma Davide Toffolo nella prefazione, quando ricorda che «l’autoproduzione di un fumetto è un’azione rivoltosa, la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento». Cambiamento in senso squisitamente politico, certo, perché sarebbe sciocco ignorare come una parte non marginale di quel mondo sia ideologicamente orientata in modo netto, e faccia quindi del fumetto uno strumento attraverso cui veicolare messaggi politici precisi. Ma non solo: passione per il cambiamento, spesso, significa semplicemente ansia di raccontare e raccontarsi in piena libertà, senza sottostare alle regole e ai compromessi tipici dell’industria editoriale, sostenuti dalla convinzione che “per dire la propria non serve chiedere il permesso a nessuno”.
E quando, alla fine, arriva comunque l’incontro con un editore “vero”? Come non rinunciare all’opportunità, salvaguardando nel contempo autonomia creativa e integrità del messaggio? Domande cui ciascuno dà, ovviamente, risposte diverse. A noi è piaciuta, in particolare, quella di Tuono Pettinato: «Se un editore non mi permette di ottenere nulla in più di quello che posso raggiungere da solo, per me non ha senso pubblicare un mio libro con lui. Se lo stampo da solo lo realizzo esattamente come voglio, avendone il pieno controllo (…) Quello che mi piace del pubblicare con le case editrici è che snelliscono la mia parte di lavoro, così posso concentrarmi esclusivamente sulle storie e godermi tutto il resto».
L’Intervista
Cosa vuol dire autoproduzione? Per quale motivo un qualsiasi autore di fumetti – o di altro – si lancia in un’operazione di questo tipo? È solo un ripiego per chi non trova un editore disposto a pubblicargli il lavoro? O è un tentativo di espressione completamente avulsa da qualsiasi logica esterna alla propria, quindi “libera” e “indipendente” (e in questo caso: da chi o da che cosa?)?
Ecco solo alcune delle domande che potrebbe porsi chiunque si accostasse per la prima volta a una di queste produzioni, che spaziano da fascicoli molto amatoriali a volumi assolutamente professionali, attraverso tutta un’ampia gamma di formati, tipi di carta e cartone, soluzioni grafiche e... fantasia a volontà.
Una risposta, ampia e articolata, è quella che ha provato a dare Sara Pavan con il libro Il potere sovversivo della carta, uscito in questo periodo sotto l’etichetta Agenzia X.
L’abbiamo incontrata nelle sale di Wow Spazio Fumetto a Milano, mentre era in corso una mostra di autoproduzioni varie, ispirata proprio al libro di Sara. «È stato davvero molto bello vedere un luogo istituzionale come questo» ha detto, «normalmente deputato a mostre dei grandi nomi e dei grandi editori, dare tanto spazio alle autoproduzioni di artisti del tutto sconosciuti. Per questo abbiamo voluto esporle così “aperte”, dando la possibilità a tutti i visitatori di toccare i libri, prenderli in mano, leggerli, rendersi conto del lavoro che c’è dietro ciascuno di essi».
Ciao Sara, cominciamo raccontando qualcosa di te. Tu sei, o sei stata, autrice di autoproduzioni (e infatti diamo un esempio del tuo lavoro nelle prossime pagine).
Certo che sì, anzi, posso vantarmi di essere una “vecchia” dell’autoproduzione, visto che le prime cose le ho fatte a metà degli anni Novanta, insieme a Paolo Cossi ed Emanuele Rosso, entrambi tuttora nel mondo del fumetto. Realizzavamo una rivista che avevamo intitolato “Pupak”, parola croata che significa “ombelico”: all’epoca non esistevano ancora Internet e i social network, ma avevamo comunque trovato visibilità grazie alla rivista di “Smemoranda”. Poi, quando dal Friuli mi sono trasferita a Bologna per l’università, ho cominciato a frequentare il gruppo di Canicola e l’organizzazione di Hamelin: con Francesco Cattani e Vincenzo Filosa ho fondato un nuovo progetto editoriale, “Ernest,” (Ernest-Virgola). Oggi non lavoro con i fumetti, ma mi occupo di storyboard per video, anche per aziende, quindi sono sempre nel settore. Inoltre sono la responsabile dell’Area Self del Treviso Comic Book Festival, dove ho avuto modo di incontrare i “nuovi” fanzinari, la generazione successiva alla mia, i ventenni di oggi.
Ma se dovessi darci una definizione di “autoproduzione”, cosa diresti?
Tecnicamente, un albo autoprodotto è qualsiasi albo che non sia dotato del codice ISBN. Poi in realtà non è sempre così, basti pensare a tante piccole realtà editoriali che sono cresciute quel tanto da volersi dotare del loro codice. Anche in quel caso, però, possiamo ancora ritenerle omologabili all’autoproduzione per “attitudine”. Mi spiego, così vengo alla mia personale definizione di autoproduzione: è qualsiasi pubblicazione di cui l’autore ha il controllo totale, dai contenuti ai materiali utilizzati, talvolta alla produzione artigianale dell’oggetto. Un caso del tutto a parte ma che è importante ricordare è quello di Zerocalcare, un nome ormai famosissimo ma che riesce a mantenere quel rapporto personale col suo pubblico. Nei giorni scorsi (a metà ottobre alla fumetteria Alastor di Milano, Ndr), durante un incontro con i lettori, è rimasto a fare dediche fino alle 6 del mattino, per accontentare tutti quelli che si erano messi in fila per lui! Anche questa è secondo me una peculiarità di chi fa autoproduzione: quella del rapporto umano con il lettore, anche solo attraverso Internet.
Quindi anche chi cura un blog secondo te è un autoproduttore?
Certamente sì, anche se qualcuno trova il rapporto via web troppo freddo: in realtà dipende sempre da come viene sviluppato. Vi cito l’esempio di un collettivo dal nome provocatorio, Cacca, acronimo di Cose A Caso Con Attenzione, che ha diffuso una pagina Facebook e una mail, senza nemmeno aprire un vero e proprio blog. Hanno tuttavia creato una grandissima rete di rapporti, con non so quante migliaia di like alla loro pagina, e rispondono sempre a chiunque scriva loro. Quindi, pur essendo nativi digitali, riescono ad avere questo rapporto diretto tipico delle autoproduzioni.
Controllo totale del lavoro e contatto diretto col pubblico sono secondo te i punti fermi dell’autoproduzione. Ma cosa succede nel momento in cui arriva un editore, più o meno di grido, che si dimostri interessato al tuo lavoro? C’è apertura o totale intransigenza? Ovviamente, qui ragioniamo in termini “artistici”, tralasciando gli aspetti economici di un caso del genere...
Generalmente, almeno in Italia, gli editori che vanno a contattare giovani autori sconosciuti sono pochissimi, e solitamente di piccole dimensioni. Questo perché un grande editore ragiona in termini “da azienda”, mentre il piccolo si preoccupa anche degli aspetti culturali: se ti mette accanto un editor, ad esempio, è comunque per il bene del libro. Inoltre, vorrei sottolineare che non necessariamente la pubblicazione con un grande editore garantisce la diffusione, basti pensare alla rapidissima obsolescenza dei titoli. Ed è vero anche il contrario: capita che cose piccolissime, fatte quasi per caso tra pochi amici, arrivino per una serie di motivi alla ribalta più ampia. È comunque indubbio che le anime dell’autoproduzione siano almeno due: c’è l’artista intransigente a tutti i costi, che rifiuterebbe per principio il grande editore, anche qualora questo gli garantisse la totale libertà artistica. E c’è invece chi cerca il modo per diffondere il più possibile il suo lavoro e il suo messaggio, e quindi considererebbe ogni possibilità. Nel mio libro ho cercato di mettere in evidenza entrambi.
Non pensi comunque che possano esserci espressioni artistiche notevoli anche nell’ambito di una grande casa editrice?
Forse l’esempio del fumetto non è quello più adatto per spiegare certi fenomeni editoriali, diffusi invece nella narrativa o nella saggistica, con molti casi di ghost writer che lavorano a libri costruiti a tavolino, ad esempio. Il fumetto mantiene invece una dimensione più genuina, e io ne conservo una visione molto romantica. In Italia, poi, il mainstream del fumetto riguarda il seriale da edicola, e lì è ovvio che uno può essere un grandissimo disegnatore, ma se lavora a Tex Willer, deve fare Tex Willer, e quindi è tutto un altro discorso.
Se ci soffermiamo in particolare sulle autoproduzioni più recenti, come vedi il panorama?
Lo vedo molto vivo e positivo. Nel mio ruolo di coordinatrice dell’Area Self del Treviso Comic Book Festival, come vi dicevo, quest’anno ho visto la par tecipazione di 40 giovani autori. Se consideriamo che Treviso è nel Nord-Est, fuori dalle grandi direttrici e non facile da raggiungere per tutti, è un numero importate, quindi possiamo immaginare cosa dev’essere il movimento in tutta Italia. Anche la qualità conosce ottimi risultati, sia da un punto di vista tecnico, molto più elevato di quello degli anni Novanta, anche grazie ai nuovi sistemi, che da quello dei contenuti, passati da ambiti prevalentemente politici ad altri più intimistici. Mi piacerebbe molto, sempre a Treviso, riuscire a costruire delle antologie tra i vari autori delle autoproduzioni, magari anche in lingua inglese per farle conoscere fuori dall’Italia.
Un’ultima domanda: magari è solo una questione semantica, ma come mai per identificare queste pubblicazioni si usano sempre termini “contro” qualcosa? “cultura antagonista”, “anticultura”, “alternativa”, “indipendente”...
Anch’io uso questi termini, parlando di queste cose, perché sono quelli che più facilmente le identificano e che in un certo senso sono anche riduttivi per la grande varietà delle produzioni. Ci sono certamente casi di fumetti di tipo più politico, di cui parlo sempre con molto rispetto e per i quali certi termini sono assolutamente adeguati. In altri casi, invece, con gli stessi termini si parla di fumetti di tutt’altro genere: però è innegabile che l’autore che si lancia in un’autoproduzione in qualche modo fa politica, sta dicendo “io pubblico da solo questa cosa perché la voglio dire, voglio raccontarla e non esiste altro modo per farlo”.
Quando anche Silver faceva autoproduzioni... Alla presentazione del volume ha partecipato anche Silver, esempio di autore che – partito giovanissimo con le autoproduzioni – è arrivato a far conoscere il suo Lupo Alberto al grandissimo pubblico. Il suo esordio fu infatti con un... banchetto da caldarrostaio durante la Lucca Comics del 1982. Si mise a vendere grandi disegni di Lupo Alberto realizzati su polistirolo, divisi “a tranci” numerati e incartati in sacchetti per alimenti! E chi acquistava un trancio del disegno riceveva anche un barattolo di castagne! «Pensare che io detestavo Lucca a quell’epoca, perché privilegiava i grandi autori affermati, ma non dava spazio agli esordienti. Così mi inventai questa cosa». Uno dei disegni “a trancio” che il giovanissimo Silver vendeva a Lucca 1982, esposto durante la mostra dedicata a Lupo Alberto la primavera scorsa da Wow Spazio Fumetto (vedi “Sbam!” n. 14). Oggi Lupo Alberto è uno dei personaggi più famosi dell’intero panorama fumettistico italiano, ed è pubblicato da Silver stesso con a sua casa editrice, la Mck. A volerla guardare in un certo modo, anche questa a suo modo è un’autoproduzione di Lupo Alberto. «E così sono libero: in passato mi è capitato di avere a che fare con editori dall’atteggiamento paternalistico, mi sono visto censurare cose anche davvero da poco. Così, dopo anni di lavoro con un editore francese che pubblicava anche in Italia, mi misi a tavolino con alcuni amici e provai a fare due conti, per vedere se ce la potevamo fare a metterci in proprio. Si tratta di imparare a fare gli imprenditori».
L’autrice, a sua volta fumettista e curatrice dello spazio autoproduzioni del Treviso Comic Book Festival, raccoglie dodici interviste ad altrettanti protagonisti del fumetto italiano indipendente e autoprodotto degli ultimi dieci anni. Dodici “apostoli” del d.i.y. (do it yourself) «schiacciati da un lato dai mostri sacri degli anni Ottanta e dall’altro dal mostro della crisi, che basterebbero da soli a uccidere qualsiasi slancio», come scrive la stessa Pavan nell’introduzione. Autori che, nella maggior parte dei casi, hanno ormai acquisito notorietà anche al di fuori dell’ambito underground (basti pensare che tra loro c’è anche un caso editoriale come Zerocalcare, capace di vendere decine di migliaia di copie nelle librerie generaliste), ma senza mai rinnegarlo e, anzi, rimanendovi intimamente legati.
Pagina dopo pagina, ecco quindi le voci di Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato e Amanda Vähämäki, oltre che del già citato Zerocalcare. Ne emerge il ritratto di una scena viva e vitale, che guarda anche oltre i confini nazionali grazie a una rete di contatti e circuiti di cui chi frequenta le edicole o le fumetterie probabilmente non sospetta neppure l’esistenza. Una scena in cui il web gioca un ruolo di rilievo (e oggi non potrebbe essere altrimenti), ma in cui centrale rimane sempre e comunque il libro, l’oggetto cartaceo depositario e tramite di quel “potere sovversivo” di cui parla il titolo, omaggio al celebre elogio del “potenziale sovversivo della stampante domestica e della fotocopiatrice” fatto da Bruce Sterling nell’introduzione all’antologia Mirrorshades, da cui prese le mosse la letteratura cyberpunk.
Già, sovversivo: lo conferma Davide Toffolo nella prefazione, quando ricorda che «l’autoproduzione di un fumetto è un’azione rivoltosa, la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento». Cambiamento in senso squisitamente politico, certo, perché sarebbe sciocco ignorare come una parte non marginale di quel mondo sia ideologicamente orientata in modo netto, e faccia quindi del fumetto uno strumento attraverso cui veicolare messaggi politici precisi. Ma non solo: passione per il cambiamento, spesso, significa semplicemente ansia di raccontare e raccontarsi in piena libertà, senza sottostare alle regole e ai compromessi tipici dell’industria editoriale, sostenuti dalla convinzione che “per dire la propria non serve chiedere il permesso a nessuno”.
E quando, alla fine, arriva comunque l’incontro con un editore “vero”? Come non rinunciare all’opportunità, salvaguardando nel contempo autonomia creativa e integrità del messaggio? Domande cui ciascuno dà, ovviamente, risposte diverse. A noi è piaciuta, in particolare, quella di Tuono Pettinato: «Se un editore non mi permette di ottenere nulla in più di quello che posso raggiungere da solo, per me non ha senso pubblicare un mio libro con lui. Se lo stampo da solo lo realizzo esattamente come voglio, avendone il pieno controllo (…) Quello che mi piace del pubblicare con le case editrici è che snelliscono la mia parte di lavoro, così posso concentrarmi esclusivamente sulle storie e godermi tutto il resto».
L’Intervista
Cosa vuol dire autoproduzione? Per quale motivo un qualsiasi autore di fumetti – o di altro – si lancia in un’operazione di questo tipo? È solo un ripiego per chi non trova un editore disposto a pubblicargli il lavoro? O è un tentativo di espressione completamente avulsa da qualsiasi logica esterna alla propria, quindi “libera” e “indipendente” (e in questo caso: da chi o da che cosa?)?
Ecco solo alcune delle domande che potrebbe porsi chiunque si accostasse per la prima volta a una di queste produzioni, che spaziano da fascicoli molto amatoriali a volumi assolutamente professionali, attraverso tutta un’ampia gamma di formati, tipi di carta e cartone, soluzioni grafiche e... fantasia a volontà.
Una risposta, ampia e articolata, è quella che ha provato a dare Sara Pavan con il libro Il potere sovversivo della carta, uscito in questo periodo sotto l’etichetta Agenzia X.
L’abbiamo incontrata nelle sale di Wow Spazio Fumetto a Milano, mentre era in corso una mostra di autoproduzioni varie, ispirata proprio al libro di Sara. «È stato davvero molto bello vedere un luogo istituzionale come questo» ha detto, «normalmente deputato a mostre dei grandi nomi e dei grandi editori, dare tanto spazio alle autoproduzioni di artisti del tutto sconosciuti. Per questo abbiamo voluto esporle così “aperte”, dando la possibilità a tutti i visitatori di toccare i libri, prenderli in mano, leggerli, rendersi conto del lavoro che c’è dietro ciascuno di essi».
Ciao Sara, cominciamo raccontando qualcosa di te. Tu sei, o sei stata, autrice di autoproduzioni (e infatti diamo un esempio del tuo lavoro nelle prossime pagine).
Certo che sì, anzi, posso vantarmi di essere una “vecchia” dell’autoproduzione, visto che le prime cose le ho fatte a metà degli anni Novanta, insieme a Paolo Cossi ed Emanuele Rosso, entrambi tuttora nel mondo del fumetto. Realizzavamo una rivista che avevamo intitolato “Pupak”, parola croata che significa “ombelico”: all’epoca non esistevano ancora Internet e i social network, ma avevamo comunque trovato visibilità grazie alla rivista di “Smemoranda”. Poi, quando dal Friuli mi sono trasferita a Bologna per l’università, ho cominciato a frequentare il gruppo di Canicola e l’organizzazione di Hamelin: con Francesco Cattani e Vincenzo Filosa ho fondato un nuovo progetto editoriale, “Ernest,” (Ernest-Virgola). Oggi non lavoro con i fumetti, ma mi occupo di storyboard per video, anche per aziende, quindi sono sempre nel settore. Inoltre sono la responsabile dell’Area Self del Treviso Comic Book Festival, dove ho avuto modo di incontrare i “nuovi” fanzinari, la generazione successiva alla mia, i ventenni di oggi.
Ma se dovessi darci una definizione di “autoproduzione”, cosa diresti?
Tecnicamente, un albo autoprodotto è qualsiasi albo che non sia dotato del codice ISBN. Poi in realtà non è sempre così, basti pensare a tante piccole realtà editoriali che sono cresciute quel tanto da volersi dotare del loro codice. Anche in quel caso, però, possiamo ancora ritenerle omologabili all’autoproduzione per “attitudine”. Mi spiego, così vengo alla mia personale definizione di autoproduzione: è qualsiasi pubblicazione di cui l’autore ha il controllo totale, dai contenuti ai materiali utilizzati, talvolta alla produzione artigianale dell’oggetto. Un caso del tutto a parte ma che è importante ricordare è quello di Zerocalcare, un nome ormai famosissimo ma che riesce a mantenere quel rapporto personale col suo pubblico. Nei giorni scorsi (a metà ottobre alla fumetteria Alastor di Milano, Ndr), durante un incontro con i lettori, è rimasto a fare dediche fino alle 6 del mattino, per accontentare tutti quelli che si erano messi in fila per lui! Anche questa è secondo me una peculiarità di chi fa autoproduzione: quella del rapporto umano con il lettore, anche solo attraverso Internet.
Quindi anche chi cura un blog secondo te è un autoproduttore?
Certamente sì, anche se qualcuno trova il rapporto via web troppo freddo: in realtà dipende sempre da come viene sviluppato. Vi cito l’esempio di un collettivo dal nome provocatorio, Cacca, acronimo di Cose A Caso Con Attenzione, che ha diffuso una pagina Facebook e una mail, senza nemmeno aprire un vero e proprio blog. Hanno tuttavia creato una grandissima rete di rapporti, con non so quante migliaia di like alla loro pagina, e rispondono sempre a chiunque scriva loro. Quindi, pur essendo nativi digitali, riescono ad avere questo rapporto diretto tipico delle autoproduzioni.
Controllo totale del lavoro e contatto diretto col pubblico sono secondo te i punti fermi dell’autoproduzione. Ma cosa succede nel momento in cui arriva un editore, più o meno di grido, che si dimostri interessato al tuo lavoro? C’è apertura o totale intransigenza? Ovviamente, qui ragioniamo in termini “artistici”, tralasciando gli aspetti economici di un caso del genere...
Generalmente, almeno in Italia, gli editori che vanno a contattare giovani autori sconosciuti sono pochissimi, e solitamente di piccole dimensioni. Questo perché un grande editore ragiona in termini “da azienda”, mentre il piccolo si preoccupa anche degli aspetti culturali: se ti mette accanto un editor, ad esempio, è comunque per il bene del libro. Inoltre, vorrei sottolineare che non necessariamente la pubblicazione con un grande editore garantisce la diffusione, basti pensare alla rapidissima obsolescenza dei titoli. Ed è vero anche il contrario: capita che cose piccolissime, fatte quasi per caso tra pochi amici, arrivino per una serie di motivi alla ribalta più ampia. È comunque indubbio che le anime dell’autoproduzione siano almeno due: c’è l’artista intransigente a tutti i costi, che rifiuterebbe per principio il grande editore, anche qualora questo gli garantisse la totale libertà artistica. E c’è invece chi cerca il modo per diffondere il più possibile il suo lavoro e il suo messaggio, e quindi considererebbe ogni possibilità. Nel mio libro ho cercato di mettere in evidenza entrambi.
Non pensi comunque che possano esserci espressioni artistiche notevoli anche nell’ambito di una grande casa editrice?
Forse l’esempio del fumetto non è quello più adatto per spiegare certi fenomeni editoriali, diffusi invece nella narrativa o nella saggistica, con molti casi di ghost writer che lavorano a libri costruiti a tavolino, ad esempio. Il fumetto mantiene invece una dimensione più genuina, e io ne conservo una visione molto romantica. In Italia, poi, il mainstream del fumetto riguarda il seriale da edicola, e lì è ovvio che uno può essere un grandissimo disegnatore, ma se lavora a Tex Willer, deve fare Tex Willer, e quindi è tutto un altro discorso.
Se ci soffermiamo in particolare sulle autoproduzioni più recenti, come vedi il panorama?
Lo vedo molto vivo e positivo. Nel mio ruolo di coordinatrice dell’Area Self del Treviso Comic Book Festival, come vi dicevo, quest’anno ho visto la par tecipazione di 40 giovani autori. Se consideriamo che Treviso è nel Nord-Est, fuori dalle grandi direttrici e non facile da raggiungere per tutti, è un numero importate, quindi possiamo immaginare cosa dev’essere il movimento in tutta Italia. Anche la qualità conosce ottimi risultati, sia da un punto di vista tecnico, molto più elevato di quello degli anni Novanta, anche grazie ai nuovi sistemi, che da quello dei contenuti, passati da ambiti prevalentemente politici ad altri più intimistici. Mi piacerebbe molto, sempre a Treviso, riuscire a costruire delle antologie tra i vari autori delle autoproduzioni, magari anche in lingua inglese per farle conoscere fuori dall’Italia.
Un’ultima domanda: magari è solo una questione semantica, ma come mai per identificare queste pubblicazioni si usano sempre termini “contro” qualcosa? “cultura antagonista”, “anticultura”, “alternativa”, “indipendente”...
Anch’io uso questi termini, parlando di queste cose, perché sono quelli che più facilmente le identificano e che in un certo senso sono anche riduttivi per la grande varietà delle produzioni. Ci sono certamente casi di fumetti di tipo più politico, di cui parlo sempre con molto rispetto e per i quali certi termini sono assolutamente adeguati. In altri casi, invece, con gli stessi termini si parla di fumetti di tutt’altro genere: però è innegabile che l’autore che si lancia in un’autoproduzione in qualche modo fa politica, sta dicendo “io pubblico da solo questa cosa perché la voglio dire, voglio raccontarla e non esiste altro modo per farlo”.
Quando anche Silver faceva autoproduzioni... Alla presentazione del volume ha partecipato anche Silver, esempio di autore che – partito giovanissimo con le autoproduzioni – è arrivato a far conoscere il suo Lupo Alberto al grandissimo pubblico. Il suo esordio fu infatti con un... banchetto da caldarrostaio durante la Lucca Comics del 1982. Si mise a vendere grandi disegni di Lupo Alberto realizzati su polistirolo, divisi “a tranci” numerati e incartati in sacchetti per alimenti! E chi acquistava un trancio del disegno riceveva anche un barattolo di castagne! «Pensare che io detestavo Lucca a quell’epoca, perché privilegiava i grandi autori affermati, ma non dava spazio agli esordienti. Così mi inventai questa cosa». Uno dei disegni “a trancio” che il giovanissimo Silver vendeva a Lucca 1982, esposto durante la mostra dedicata a Lupo Alberto la primavera scorsa da Wow Spazio Fumetto (vedi “Sbam!” n. 14). Oggi Lupo Alberto è uno dei personaggi più famosi dell’intero panorama fumettistico italiano, ed è pubblicato da Silver stesso con a sua casa editrice, la Mck. A volerla guardare in un certo modo, anche questa a suo modo è un’autoproduzione di Lupo Alberto. «E così sono libero: in passato mi è capitato di avere a che fare con editori dall’atteggiamento paternalistico, mi sono visto censurare cose anche davvero da poco. Così, dopo anni di lavoro con un editore francese che pubblicava anche in Italia, mi misi a tavolino con alcuni amici e provai a fare due conti, per vedere se ce la potevamo fare a metterci in proprio. Si tratta di imparare a fare gli imprenditori».
Internazionale, 23 novembre 2014 Una vecchia storia del nuovo fumetto italiano
Sul blog di Bilbolbul, il festival del fumetto che si svolge a Bologna dal 20 al 23 novembre, compare un ironico reportage intitolato “Alternative Comic is the new Rock’n’Roll”. È un “servizio fotografico degno di un’inviata di Vanity Fair a un party” in cui l’autrice Sara Pavan segue il fumettista Tuono Pettinato in un fantomatico albergo di lusso, tra orde di fan a caccia di autografi e selfie, e vip come Morgan che emozionati rendono omaggio al prestigioso vicino di stanza, “perché ormai sono i fumettisti le vere star!”.
Appena qualche settimana fa, Tuono Pettinato ha vinto il premio come Miglior Autore Unico all’ultimo Lucca Comics & Games. Nella giornata inaugurale di Bilbolbul gli è stato dedicato un apposito spazio all’interno del convegno intitolato Editoria senza editori – pubblicare fumetti oggi, di cui da queste parti vi ha già parlato Christian Raimo.
Insieme all’inverosimile star a cui si devono piccoli classici come il recente Nevermind (dedicato a Kurt Cobain) e Garibaldi (dedicato a… be’, a Garibaldi, che domande), sedeva quello che di Tuono Pettinato è contemporaneamente collaboratore storico, fratello elettivo, rivale affettuoso e compagno di avventure: Francesco D’Erminio in arte Ratigher. Entrambi sono membri del collettivo Fratelli del Cielo, un ragione sociale dal retrogusto new age che da qualche tempo ha sostituito l’altrettanto frivola sigla Superamici; oggi come allora, a comporre il gruppo sono, oltre ai già citati Ratigher e Tuono Pettinato, i fumettisti Dottor Pira e Maicol e Mirco. LRNZ, l’altro fondatore storico del collettivo, ha abbandonato i compagni pochi mesi fa.
Nel convegno inaugurale di Bilbolbul, Ratigher e Tuono Pettinato sono stati protagonisti di un incontro-dibattito opportunamente chiamato “Tattiche d’autore – Il percorso di due autori tra autoproduzione ed editoria tradizionale”. Non ero presente all’incontro e non so di cosa la coppia abbia parlato, ma ho come idea che un titolo ugualmente plausibile avrebbe potuto essere, chessò, “Ratigher e Tuono Pettinato: dall’underground a Dylan Dog”. Oppure, perché no, proprio “Alternative Comic is the new Rock’n’Roll”, una formula che, hotel di lusso a parte, sembra volutamente ammiccare alla più classica delle retoriche “dalle cantine al grande pubblico”.
In effetti tutti i componenti del gruppo Fratelli del Cielo hanno, in tempi diversi e ciascuno alla sua maniera, “compiuto il balzo”: hanno cominciato fotocopiandosi fanzine stampate in poche decine di copie, e sono finiti a collaborare per testate a grande diffusione come la “Repubblica XL”, a pubblicare libri per Rizzoli, e a firmare copertine e sceneggiature per Sergio Bonelli Editore. È un percorso che se vogliamo si inserisce nella più generale new wave del fumetto indipendente a trent’anni dai trionfi di Pazienza e “Frigidaire”, testimoniata dal successo di nomi come Gipi e Zerocalcare, e ben raccontata dalla stessa Sara Pavan in un volume uscito lo scorso marzo per Agenzia X e intitolato Il potere sovversivo della carta.
Quello di Sara Pavan è un buon ritratto delle varie anime che attraversano gli alternative comics italiani degli anni duemila: ci sono autori ben noti al pubblico indie come Alessandro Baronciani, Francesco Cattani, Alessandro Tota, MP5, e lo stesso Zerocalcare. E poi ovviamente c’è Tuono Pettinato. Sono quasi tutti nomi che nell’ultimo decennio hanno riempito le pagine di testate piccole ma (ahem) “di culto” come Canicola, Delebile, Teiera, Hobby Comics, e che arrivavano dopo una fase tuttora misconosciuta del fumetto underground nostrano, quella che tra anni novanta e primi duemila fu tenuta in vita da esperienze come l’Happening Internazionale Underground e da riviste come Interzona, Kerosene, Katzyvari, e letteralmente decine di altre.
Quel mondo sotterraneo e semiclandestino, popolato da autori come Maurizio Ribichini, Ale Staffa, Gianluca Costantini o David Vecchiato (ora alle prese con un percorso si direbbe fortunato nel campo della street art di stampo pop-surrealista) è come rimasto ai margini, schiacciato tra il peso di un’era mitologica come quella di Cannibale e Frigidaire, e il progressivo affermarsi di una nuova generazione di autori che, come ebbe a dirmi Gianluca Costantini in una vecchia retrospettiva per XL, “dall’underground sono passati all’indie”. Il che in buona misura ha significato un approccio sempre eterodosso ma più “educato” nei confronti del fumetto, una poetica in larga misura più intimista che in passato, e in alcuni casi il recupero dei vezzi, delle preoccupazioni, o perché no dei cliché per definizione associati al “fumetto d’autore”.
In questo senso, la vicenda Superamici-Fratelli del Cielo ha significato più un’eccentricità fuori programma che un’espressione rappresentativa della tipica estetica indie anni duemila. Per quanto mi riguarda, a sorprendermi non è tanto che Ratigher firmi sceneggiature per Dylan Dog o che Tuono Pettinato sia finito “su major”. Che si tratti di due dei fumettisti più apprezzati della loro generazione è un dato di fatto, e se proprio vogliamo tornare al paragone col più vetusto rock’n’roll, è così che succede: prima ti fai un nome “dal basso”, e poi lentamente… ma sì, emergi.
Quello che in realtà più continua a sorprendermi è l’anomalia che per circa un decennio gli ex Superamici hanno incarnato perfino in un ambiente sotterraneo come quello del fumetto indipendente. E come quell’ambiente alla fine li abbia non solo accettati, ma implicitamente eletti a piccoli paladini outré.
In Il potere sovversivo della carta Tuono Pettinato la racconta così: “Quando Ratigher e io abbiamo capito di voler fare fumetti abbiamo scoperto che esisteva una vasta comunità di sciroccati che come noi voleva un fumetto diverso da quello mainstream, ma anche da quello underground intellettualoide. (…) La nostra spinta nasceva dalla constatazione che lo spirito generale del mondo dei fumetti non rispecchiava quello che volevamo fare noi, visto che anche nell’underground iniziava a imporsi una tendenza alla serietà (…) Poi abbiamo scoperto che esistevano altri canali, oltre a quelli delle fumetterie e delle librerie, come per esempio la comunità punk in cui giravamo con il gruppo. È grazie ai concerti che siamo riusciti a portare le nostre deliranti autoproduzioni in giro per l’Italia”.
Il mio primo contatto con quelli che sarebbero diventati i Superamici risale al 2003, quando andai a trovare LRNZ e il Dottor Pira in un non meglio identificato ufficio in zona Trastevere (almeno mi pare di ricordare), mentre preparavano il primo e unico numero di Turboamico, una stranissima rivista che insieme ai fumetti della coppia conteneva surreali articoli come “Michel Montegrossa, il messia del cyber rock” e “Il quadrato, la forma del mondo”.
Era una rivista che non aveva paragoni con nessun esperimento coevo, nemmeno tra quelli che affollavano l’underground del periodo: tutto sembrava tenersi in bilico tra bizzarria vagamente fantasy e demenza bella e buona, e poi c’erano storie come Gimba, il campione mascherato di minigolf, uno dei primi capolavori del Dottor Pira (all’epoca, un nome già familiare agli appassionati di stranezze grafiche per via dei suoi Fumetti della gleba).
Nello stesso periodo, il terzetto composto da Ratigher, Tuono Pettinato e in seguito Maicol e Mirco gira tra concerti punk portandosi appresso una distribuzione chiamata Donna Bavosa, che per circa un terzo è occupata proprio dai fumetti del Pira. A quel punto l’unione tra i due gruppi è nelle cose: al posto delle fiere preferiscono i concerti grindcore, pubblicano storie che “peggio sono fatte e meglio è”, e condividono un immaginario che, di nuovo secondo Tuono Pettinato, si compone di “un mix di giocoso e macabro, tra minigolf e merende”.
Ciascuno evidentemente ha il suo stile, coprendo uno spettro che va dalle dettagliatissime tavole di LRNZ ai veri e propri scarabocchi di Maicol e Mirco, autori per inciso di “capolavori insuperati” come “la storia del tizio che muore in poltrona e per dodici pagine c’è solo lui, morto in poltrona” (ancora Tuono Pettinato in Il potere sovversivo della carta). Ma tutti sono degli oustider di quel pianeta già di per sé profano che è il fumetto indipendente pre-Gipi/Zerocalcare.
La cosa curiosa è che proprio in virtù del loro status di outsider, i Superamici (la sigla Fratelli del Cielo arriverà solo nel 2013) si conquistano un seguito che fin da subito esula ampiamente i recinti dei fan degli indie-comics. Per certi versi, personaggi come Ratigher e il Pira sono stati veramente delle star di quel sottobosco che senza soluzione di continuità mescolava musiche estreme, poster in stile art brut, dotte dissertazioni su ufo & dinosauri, e compilation di sigle dei videogiochi 8bit – uno spaccato generazionale sommerso, per cui nessuno ha finora trovato definizione certa.
I fumetti della gleba di Pira, sia nella loro versione cartacea (ovviamente fotocopiata male) che online, sono forse il più bislacco, inattendibile, trasversale e diffusissimo testo di formazione degli anni duemila. Prima o poi qualcuno si dovrà occupare di antologizzarli, opera suppongo impossibile dacché a occhio si tratterebbe di un volume di un migliaio di pagine, per giunta disegnate male. Nel frattempo comunque ha provveduto il piccolo editore Corpoc a raccogliere alcuni episodi di Batma e Robi (senza n), due tra i più popolari eroi della serie.
Col tempo, arriveranno titoli rimasti piccoli classici dell’editoria indipendente come l’antologia Apocalypso di Tuono Pettinato, con protagonisti “il Papa e il Gabibbo, Wolverine e capitan Uncinetto, Rita Pavone e l’uomo che non aveva compleanno”; oppure Trama di Ratigher, un ammiratissimo horror che Roberto Recchioni ha descritto come “una fucilata in mezzo agli occhi”. Ma il capolavoro resta per me Gatto Mondadory di Pira, che considero sul serio come il più importante fumettista italiano della sua generazione – opinione tra l’altro meno isolata di quanto si pensi.
La poetica (diciamo così) di Pira è ben riassunta dallo stesso autore in un’intervista video rilasciata a Vice: “Un personaggio di colpo muore. Oppure un personaggio di colpo diventa nano, tira fuori dei diamanti dal naso, diventa ricco e finisce la storia (…) Più che una poetica e una specie di metodo sperimentale”. Gatto Mondadory per esempio (tre volumi finora pubblicati; il terzo è una raccolta di figurine…) è un’irraccontabile saga fantasy-demenziale, suppongo ispirata da quelle che sono le note passioni del suo autore: letteratura ufologica di serie Z, escursionismo, trekking, black metal e biciclette.
Il tratto ricorda il Mark Beyer dei tempi di Raw, la storica rivista di Art Spiegelman, ma l’importanza di Pira sta soprattutto nell’essere stato uno dei pochissimi in Italia ad aver gettato un ipotetico ponte con la più recente scuola americana che fa capo all’editore Picturebox, e ben rappresentata da fumettisti weird come Mat Brinkman, Christopher Forgues, Brian Chippendale, o anche Johnny Ryan (al tema, dedicai un piccolo speciale in più puntate apparso su minima&moralia).
Per buona parte degli anni duemila, la scuola Picturebox ha rappresentato uno dei fenomeni più importanti nel campo degli alternative comics statunitensi, e il suo esempio ha esercitato un’enorme influenza anche su tutto il giro Superamici, come più volte ribadito dai vari Ratigher, Tuono Pettinato, e ovviamente Pira. Ma quell’estetica caotica e surreale, infarcita di rimandi al cinema di serie B, ai giochi di ruolo, alla fantascienza e al fantasy, è quasi il negativo assoluto dell’intimismo indie tipico della new wave del fumetto italiano. È anche per questo che Tuono Pettinato e compagni rappresentano un’anomalia: è come se per dieci anni avessero guardato da un’altra parte, fino a scoprire un po’ a sorpresa che, accidenti, era la parte giusta.
Pira sostiene che “vorrei trovare qualcuno che faccia i fumetti che piacciono a me, ma l’unico modo che finora ho trovato è stato disegnarmeli da solo”, il che suona un po’ come un’esplicita dichiarazione di alterità nei confronti di quel panorama fumettistico che fa capo a editori come, per non fare che un esempio, la raffinatissima Canicola (che pure è stata tra i pochi in Italia a dare spazio agli autori Picturebox). Non voglio in alcun modo suggerire fratture e rivalità alla prova dei fatti inesistenti, eppure nel solito Il potere sovversivo della carta c’è un passaggio in cui Tuono Pettinato descrive bene la differenza di temperatura che separa i Fratelli del Cielo dalle più composte pose dei colleghi indie: “Ho disegnato un finto Baronciani (…) che poi si è rubato lui. In quel fumetto c’erano tutti i suoi elementi tipici, Pesaro, le musicassette, i falò sulla spiaggia, il lungomare con il treno che passa, ma a un certo punto arrivava Godzilla e distruggeva la città”.
Può essere letto come un gesto dal sapore iconoclasta, una provocazione punk o anche una presa per il culo bella e buona; in realtà era un amichevole omaggio che quasi sembrava contenere una richiesta implicita: “Nel finale Godzilla scriveva una lettera a Baronciani che finiva così: Mi piacciono tanto i tuoi fumetti, mi puoi mettere nelle tue storie?”.
Ecco, magari Baronciani nelle sue storie Godzilla non l’ha messo (almeno che io sappia), ma intanto quelle creature mostruose, quelle storie tutte storte e strane, quei personaggi improbabili che parlano come un infante a cui per sbaglio è stata somministrato un allucinogeno, sono diventati un ingrediente fondamentale del famigerato “nuovo fumetto italiano”.
Valerio Mattioli è un giornalista e critico che scrive per diversi giornali. È anche metà del duo death surf Heroin In Tahiti.
di Valerio MattioliAppena qualche settimana fa, Tuono Pettinato ha vinto il premio come Miglior Autore Unico all’ultimo Lucca Comics & Games. Nella giornata inaugurale di Bilbolbul gli è stato dedicato un apposito spazio all’interno del convegno intitolato Editoria senza editori – pubblicare fumetti oggi, di cui da queste parti vi ha già parlato Christian Raimo.
Insieme all’inverosimile star a cui si devono piccoli classici come il recente Nevermind (dedicato a Kurt Cobain) e Garibaldi (dedicato a… be’, a Garibaldi, che domande), sedeva quello che di Tuono Pettinato è contemporaneamente collaboratore storico, fratello elettivo, rivale affettuoso e compagno di avventure: Francesco D’Erminio in arte Ratigher. Entrambi sono membri del collettivo Fratelli del Cielo, un ragione sociale dal retrogusto new age che da qualche tempo ha sostituito l’altrettanto frivola sigla Superamici; oggi come allora, a comporre il gruppo sono, oltre ai già citati Ratigher e Tuono Pettinato, i fumettisti Dottor Pira e Maicol e Mirco. LRNZ, l’altro fondatore storico del collettivo, ha abbandonato i compagni pochi mesi fa.
Nel convegno inaugurale di Bilbolbul, Ratigher e Tuono Pettinato sono stati protagonisti di un incontro-dibattito opportunamente chiamato “Tattiche d’autore – Il percorso di due autori tra autoproduzione ed editoria tradizionale”. Non ero presente all’incontro e non so di cosa la coppia abbia parlato, ma ho come idea che un titolo ugualmente plausibile avrebbe potuto essere, chessò, “Ratigher e Tuono Pettinato: dall’underground a Dylan Dog”. Oppure, perché no, proprio “Alternative Comic is the new Rock’n’Roll”, una formula che, hotel di lusso a parte, sembra volutamente ammiccare alla più classica delle retoriche “dalle cantine al grande pubblico”.
In effetti tutti i componenti del gruppo Fratelli del Cielo hanno, in tempi diversi e ciascuno alla sua maniera, “compiuto il balzo”: hanno cominciato fotocopiandosi fanzine stampate in poche decine di copie, e sono finiti a collaborare per testate a grande diffusione come la “Repubblica XL”, a pubblicare libri per Rizzoli, e a firmare copertine e sceneggiature per Sergio Bonelli Editore. È un percorso che se vogliamo si inserisce nella più generale new wave del fumetto indipendente a trent’anni dai trionfi di Pazienza e “Frigidaire”, testimoniata dal successo di nomi come Gipi e Zerocalcare, e ben raccontata dalla stessa Sara Pavan in un volume uscito lo scorso marzo per Agenzia X e intitolato Il potere sovversivo della carta.
Quello di Sara Pavan è un buon ritratto delle varie anime che attraversano gli alternative comics italiani degli anni duemila: ci sono autori ben noti al pubblico indie come Alessandro Baronciani, Francesco Cattani, Alessandro Tota, MP5, e lo stesso Zerocalcare. E poi ovviamente c’è Tuono Pettinato. Sono quasi tutti nomi che nell’ultimo decennio hanno riempito le pagine di testate piccole ma (ahem) “di culto” come Canicola, Delebile, Teiera, Hobby Comics, e che arrivavano dopo una fase tuttora misconosciuta del fumetto underground nostrano, quella che tra anni novanta e primi duemila fu tenuta in vita da esperienze come l’Happening Internazionale Underground e da riviste come Interzona, Kerosene, Katzyvari, e letteralmente decine di altre.
Quel mondo sotterraneo e semiclandestino, popolato da autori come Maurizio Ribichini, Ale Staffa, Gianluca Costantini o David Vecchiato (ora alle prese con un percorso si direbbe fortunato nel campo della street art di stampo pop-surrealista) è come rimasto ai margini, schiacciato tra il peso di un’era mitologica come quella di Cannibale e Frigidaire, e il progressivo affermarsi di una nuova generazione di autori che, come ebbe a dirmi Gianluca Costantini in una vecchia retrospettiva per XL, “dall’underground sono passati all’indie”. Il che in buona misura ha significato un approccio sempre eterodosso ma più “educato” nei confronti del fumetto, una poetica in larga misura più intimista che in passato, e in alcuni casi il recupero dei vezzi, delle preoccupazioni, o perché no dei cliché per definizione associati al “fumetto d’autore”.
In questo senso, la vicenda Superamici-Fratelli del Cielo ha significato più un’eccentricità fuori programma che un’espressione rappresentativa della tipica estetica indie anni duemila. Per quanto mi riguarda, a sorprendermi non è tanto che Ratigher firmi sceneggiature per Dylan Dog o che Tuono Pettinato sia finito “su major”. Che si tratti di due dei fumettisti più apprezzati della loro generazione è un dato di fatto, e se proprio vogliamo tornare al paragone col più vetusto rock’n’roll, è così che succede: prima ti fai un nome “dal basso”, e poi lentamente… ma sì, emergi.
Quello che in realtà più continua a sorprendermi è l’anomalia che per circa un decennio gli ex Superamici hanno incarnato perfino in un ambiente sotterraneo come quello del fumetto indipendente. E come quell’ambiente alla fine li abbia non solo accettati, ma implicitamente eletti a piccoli paladini outré.
In Il potere sovversivo della carta Tuono Pettinato la racconta così: “Quando Ratigher e io abbiamo capito di voler fare fumetti abbiamo scoperto che esisteva una vasta comunità di sciroccati che come noi voleva un fumetto diverso da quello mainstream, ma anche da quello underground intellettualoide. (…) La nostra spinta nasceva dalla constatazione che lo spirito generale del mondo dei fumetti non rispecchiava quello che volevamo fare noi, visto che anche nell’underground iniziava a imporsi una tendenza alla serietà (…) Poi abbiamo scoperto che esistevano altri canali, oltre a quelli delle fumetterie e delle librerie, come per esempio la comunità punk in cui giravamo con il gruppo. È grazie ai concerti che siamo riusciti a portare le nostre deliranti autoproduzioni in giro per l’Italia”.
Il mio primo contatto con quelli che sarebbero diventati i Superamici risale al 2003, quando andai a trovare LRNZ e il Dottor Pira in un non meglio identificato ufficio in zona Trastevere (almeno mi pare di ricordare), mentre preparavano il primo e unico numero di Turboamico, una stranissima rivista che insieme ai fumetti della coppia conteneva surreali articoli come “Michel Montegrossa, il messia del cyber rock” e “Il quadrato, la forma del mondo”.
Era una rivista che non aveva paragoni con nessun esperimento coevo, nemmeno tra quelli che affollavano l’underground del periodo: tutto sembrava tenersi in bilico tra bizzarria vagamente fantasy e demenza bella e buona, e poi c’erano storie come Gimba, il campione mascherato di minigolf, uno dei primi capolavori del Dottor Pira (all’epoca, un nome già familiare agli appassionati di stranezze grafiche per via dei suoi Fumetti della gleba).
Nello stesso periodo, il terzetto composto da Ratigher, Tuono Pettinato e in seguito Maicol e Mirco gira tra concerti punk portandosi appresso una distribuzione chiamata Donna Bavosa, che per circa un terzo è occupata proprio dai fumetti del Pira. A quel punto l’unione tra i due gruppi è nelle cose: al posto delle fiere preferiscono i concerti grindcore, pubblicano storie che “peggio sono fatte e meglio è”, e condividono un immaginario che, di nuovo secondo Tuono Pettinato, si compone di “un mix di giocoso e macabro, tra minigolf e merende”.
Ciascuno evidentemente ha il suo stile, coprendo uno spettro che va dalle dettagliatissime tavole di LRNZ ai veri e propri scarabocchi di Maicol e Mirco, autori per inciso di “capolavori insuperati” come “la storia del tizio che muore in poltrona e per dodici pagine c’è solo lui, morto in poltrona” (ancora Tuono Pettinato in Il potere sovversivo della carta). Ma tutti sono degli oustider di quel pianeta già di per sé profano che è il fumetto indipendente pre-Gipi/Zerocalcare.
La cosa curiosa è che proprio in virtù del loro status di outsider, i Superamici (la sigla Fratelli del Cielo arriverà solo nel 2013) si conquistano un seguito che fin da subito esula ampiamente i recinti dei fan degli indie-comics. Per certi versi, personaggi come Ratigher e il Pira sono stati veramente delle star di quel sottobosco che senza soluzione di continuità mescolava musiche estreme, poster in stile art brut, dotte dissertazioni su ufo & dinosauri, e compilation di sigle dei videogiochi 8bit – uno spaccato generazionale sommerso, per cui nessuno ha finora trovato definizione certa.
I fumetti della gleba di Pira, sia nella loro versione cartacea (ovviamente fotocopiata male) che online, sono forse il più bislacco, inattendibile, trasversale e diffusissimo testo di formazione degli anni duemila. Prima o poi qualcuno si dovrà occupare di antologizzarli, opera suppongo impossibile dacché a occhio si tratterebbe di un volume di un migliaio di pagine, per giunta disegnate male. Nel frattempo comunque ha provveduto il piccolo editore Corpoc a raccogliere alcuni episodi di Batma e Robi (senza n), due tra i più popolari eroi della serie.
Col tempo, arriveranno titoli rimasti piccoli classici dell’editoria indipendente come l’antologia Apocalypso di Tuono Pettinato, con protagonisti “il Papa e il Gabibbo, Wolverine e capitan Uncinetto, Rita Pavone e l’uomo che non aveva compleanno”; oppure Trama di Ratigher, un ammiratissimo horror che Roberto Recchioni ha descritto come “una fucilata in mezzo agli occhi”. Ma il capolavoro resta per me Gatto Mondadory di Pira, che considero sul serio come il più importante fumettista italiano della sua generazione – opinione tra l’altro meno isolata di quanto si pensi.
La poetica (diciamo così) di Pira è ben riassunta dallo stesso autore in un’intervista video rilasciata a Vice: “Un personaggio di colpo muore. Oppure un personaggio di colpo diventa nano, tira fuori dei diamanti dal naso, diventa ricco e finisce la storia (…) Più che una poetica e una specie di metodo sperimentale”. Gatto Mondadory per esempio (tre volumi finora pubblicati; il terzo è una raccolta di figurine…) è un’irraccontabile saga fantasy-demenziale, suppongo ispirata da quelle che sono le note passioni del suo autore: letteratura ufologica di serie Z, escursionismo, trekking, black metal e biciclette.
Il tratto ricorda il Mark Beyer dei tempi di Raw, la storica rivista di Art Spiegelman, ma l’importanza di Pira sta soprattutto nell’essere stato uno dei pochissimi in Italia ad aver gettato un ipotetico ponte con la più recente scuola americana che fa capo all’editore Picturebox, e ben rappresentata da fumettisti weird come Mat Brinkman, Christopher Forgues, Brian Chippendale, o anche Johnny Ryan (al tema, dedicai un piccolo speciale in più puntate apparso su minima&moralia).
Per buona parte degli anni duemila, la scuola Picturebox ha rappresentato uno dei fenomeni più importanti nel campo degli alternative comics statunitensi, e il suo esempio ha esercitato un’enorme influenza anche su tutto il giro Superamici, come più volte ribadito dai vari Ratigher, Tuono Pettinato, e ovviamente Pira. Ma quell’estetica caotica e surreale, infarcita di rimandi al cinema di serie B, ai giochi di ruolo, alla fantascienza e al fantasy, è quasi il negativo assoluto dell’intimismo indie tipico della new wave del fumetto italiano. È anche per questo che Tuono Pettinato e compagni rappresentano un’anomalia: è come se per dieci anni avessero guardato da un’altra parte, fino a scoprire un po’ a sorpresa che, accidenti, era la parte giusta.
Pira sostiene che “vorrei trovare qualcuno che faccia i fumetti che piacciono a me, ma l’unico modo che finora ho trovato è stato disegnarmeli da solo”, il che suona un po’ come un’esplicita dichiarazione di alterità nei confronti di quel panorama fumettistico che fa capo a editori come, per non fare che un esempio, la raffinatissima Canicola (che pure è stata tra i pochi in Italia a dare spazio agli autori Picturebox). Non voglio in alcun modo suggerire fratture e rivalità alla prova dei fatti inesistenti, eppure nel solito Il potere sovversivo della carta c’è un passaggio in cui Tuono Pettinato descrive bene la differenza di temperatura che separa i Fratelli del Cielo dalle più composte pose dei colleghi indie: “Ho disegnato un finto Baronciani (…) che poi si è rubato lui. In quel fumetto c’erano tutti i suoi elementi tipici, Pesaro, le musicassette, i falò sulla spiaggia, il lungomare con il treno che passa, ma a un certo punto arrivava Godzilla e distruggeva la città”.
Può essere letto come un gesto dal sapore iconoclasta, una provocazione punk o anche una presa per il culo bella e buona; in realtà era un amichevole omaggio che quasi sembrava contenere una richiesta implicita: “Nel finale Godzilla scriveva una lettera a Baronciani che finiva così: Mi piacciono tanto i tuoi fumetti, mi puoi mettere nelle tue storie?”.
Ecco, magari Baronciani nelle sue storie Godzilla non l’ha messo (almeno che io sappia), ma intanto quelle creature mostruose, quelle storie tutte storte e strane, quei personaggi improbabili che parlano come un infante a cui per sbaglio è stata somministrato un allucinogeno, sono diventati un ingrediente fondamentale del famigerato “nuovo fumetto italiano”.
Valerio Mattioli è un giornalista e critico che scrive per diversi giornali. È anche metà del duo death surf Heroin In Tahiti.
www.mestrecomics.com, 15 novembre 2014 Il potere sovversivo della carta
“L’autoproduzione di un fumetto è un’azione rivoltosa, la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento.” (dalla prefazione al libro di Davide Toffolo)
Come vi abbiamo anticipato il leitmotiv del Mestre Comics 2014 sarà “l’autoproduzione” di cui si parlerà non solo alla tavola rotonda “L’era di Lùmina: nuove frontiere dell’autoproduzione” con Emanuele Tenderini e Linda Cavallini ma anche con Sara Pavan che presenterà il suo libro Il potere sovversivo della carta, che racconta con 12 interviste gli ultimi dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia, arricchite da storie brevi e illustrazioni per presentare al meglio le figure dei dodici artisti intervistati: i veri apostoli del d.i.y. (do it yourself).
Tra gli intervistati: Zero Calcare, il caso editoriale partito dal web e che ora vanta decine di migliaia di copie vendute; Tuono Pettinato, amatissimo anche dal grande pubblico grazie al suo fumetto Garibaldi edito da Rizzoli Lizard; Andrea Bruno che ha disegnato il fumetto Come le strisce che lasciano gli aerei scritto dal cantautore Vasco Brondi per Coconino Press; tutta la nouvelle vague del fumetto d’autore italiano (Francesco Cattani, Roberto La Forgia, Alessandro Tota). Non mancano le autrici: MP5, resa popolare dalle strisce su “Il Male”; Romina Pelagatti, esule in Francia dove ha fondato il progetto editoriale Papier Gachè e il primo festival del fumetto autoprodotto e indipendente di Parigi, Fanzine!; Giulia Sagramola che pubblica per Topipittori; Amanda Vähämäki, la fumettista finlandese tra i fondatori di Canicola, apprezzata anche oltreoceano. Da non dimenticare Alessandro Baronciani, autore di romanzi a fumetti, illustratore e musicista (sua la band Altro, i cui dischi escono per l’etichetta La Tempesta) e Strane Dizioni, un progetto editoriale d’alta qualità che pubblica solo libri in serigrafia artigianale rilegati a mano.
Le esperienze dei fumettisti riportate in Il potere sovversivo della carta restituiscono le coordinate di una fitta rete di contatti – tra festival, collettivi di autori e circuiti alternativi – che attraversa mezza Europa con incursioni oltreoceano. Un movimento reso immediato e orizzontale dall’utilizzo del web che rimane però strumento e non diviene alternativa alla carta. Nonostante l’importanza di siti, blog, social network, vendite online e crowdfunding, è attorno all’amore per l’oggetto libro, sia esso stampato in semplici fotocopie o in raffinate serigrafie a tiratura limitata, che si concentrano tutti gli sforzi di queste personalità così diverse tra loro per temi, stili e percorsi formativi.
Il potere sovversivo della carta dimostra come il settore dei fumetti sia uno dei pochi ambiti culturali in cui, in termini di pubblico o qualità di stampa, non sussiste un reale divario tra underground e mainstream. Ciò che cambia sono i contenuti, il modo di raccontare, il rapporto diretto con i lettori e la determinazione a creare dal foglio bianco un tessuto ipertestuale di segnali ribelli e una libera comunità senza confini.
Come vi abbiamo anticipato il leitmotiv del Mestre Comics 2014 sarà “l’autoproduzione” di cui si parlerà non solo alla tavola rotonda “L’era di Lùmina: nuove frontiere dell’autoproduzione” con Emanuele Tenderini e Linda Cavallini ma anche con Sara Pavan che presenterà il suo libro Il potere sovversivo della carta, che racconta con 12 interviste gli ultimi dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia, arricchite da storie brevi e illustrazioni per presentare al meglio le figure dei dodici artisti intervistati: i veri apostoli del d.i.y. (do it yourself).
Tra gli intervistati: Zero Calcare, il caso editoriale partito dal web e che ora vanta decine di migliaia di copie vendute; Tuono Pettinato, amatissimo anche dal grande pubblico grazie al suo fumetto Garibaldi edito da Rizzoli Lizard; Andrea Bruno che ha disegnato il fumetto Come le strisce che lasciano gli aerei scritto dal cantautore Vasco Brondi per Coconino Press; tutta la nouvelle vague del fumetto d’autore italiano (Francesco Cattani, Roberto La Forgia, Alessandro Tota). Non mancano le autrici: MP5, resa popolare dalle strisce su “Il Male”; Romina Pelagatti, esule in Francia dove ha fondato il progetto editoriale Papier Gachè e il primo festival del fumetto autoprodotto e indipendente di Parigi, Fanzine!; Giulia Sagramola che pubblica per Topipittori; Amanda Vähämäki, la fumettista finlandese tra i fondatori di Canicola, apprezzata anche oltreoceano. Da non dimenticare Alessandro Baronciani, autore di romanzi a fumetti, illustratore e musicista (sua la band Altro, i cui dischi escono per l’etichetta La Tempesta) e Strane Dizioni, un progetto editoriale d’alta qualità che pubblica solo libri in serigrafia artigianale rilegati a mano.
Le esperienze dei fumettisti riportate in Il potere sovversivo della carta restituiscono le coordinate di una fitta rete di contatti – tra festival, collettivi di autori e circuiti alternativi – che attraversa mezza Europa con incursioni oltreoceano. Un movimento reso immediato e orizzontale dall’utilizzo del web che rimane però strumento e non diviene alternativa alla carta. Nonostante l’importanza di siti, blog, social network, vendite online e crowdfunding, è attorno all’amore per l’oggetto libro, sia esso stampato in semplici fotocopie o in raffinate serigrafie a tiratura limitata, che si concentrano tutti gli sforzi di queste personalità così diverse tra loro per temi, stili e percorsi formativi.
Il potere sovversivo della carta dimostra come il settore dei fumetti sia uno dei pochi ambiti culturali in cui, in termini di pubblico o qualità di stampa, non sussiste un reale divario tra underground e mainstream. Ciò che cambia sono i contenuti, il modo di raccontare, il rapporto diretto con i lettori e la determinazione a creare dal foglio bianco un tessuto ipertestuale di segnali ribelli e una libera comunità senza confini.
Rumore, settembre 2014 Sara Pavan. Il potere sovversivo della carta
Voto 7/10
La frase: “L’autoproduzione di un fumetto è un’’azione rivoltosa, è cosa per arditi. L’autoproduzione la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento.”
Esigenza personale e missione per la collettività. Questi i due motori che portano Sara Pavan a concepire Il potere sovversivo della carta, libro-intervista-ricognizione sul fumetto indipendente italiano contemporaneo. Zerocalcare, Tuono Pettinato, Alessandro Baronciani, Francesco Cattani e altri otto nomi che, anche per il semplice appassionato del fumetto, significano spirito controcorrente, un tratto inconfondibile e una personalità ben definita. Ma che, per una volta, alle nuvolette sostituiscono le nude parole, raccontando il proprio percorso professionale e, attraverso di esso, la difficile crescita di una generazione in un mondo sconvolto dal progresso tecnologico, dalla sudditanza psicologica nei confronti dei maestri del passato e infine dalla famigerata Crisi. È possibile scorgere così le peculiarità degli autori di strisce memorabili, così come tappe e punti di riferimento (Clowes, Crumb) condivisi. Il pericolo del blog tendente alla ripetitività è (quasi) del tutto scongiurato, grazie all’urgenza da proselitismo di un testo punk nel seno più classico del termine. Infine la Pavan sceglie l’appendice – prefazione e postfazione sono di Toffolo e Brolli – per raccontare la propria storia e le incredibili vicissitudini che l’hanno purtroppo portata ad allontanarsi dal fumetto scritto, ma ad avvicinarsi all’idea scommessa di raccogliere le storie di questi dodici inconsueti “apostoli”.
di Emanuele SacchiLa frase: “L’autoproduzione di un fumetto è un’’azione rivoltosa, è cosa per arditi. L’autoproduzione la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento.”
Esigenza personale e missione per la collettività. Questi i due motori che portano Sara Pavan a concepire Il potere sovversivo della carta, libro-intervista-ricognizione sul fumetto indipendente italiano contemporaneo. Zerocalcare, Tuono Pettinato, Alessandro Baronciani, Francesco Cattani e altri otto nomi che, anche per il semplice appassionato del fumetto, significano spirito controcorrente, un tratto inconfondibile e una personalità ben definita. Ma che, per una volta, alle nuvolette sostituiscono le nude parole, raccontando il proprio percorso professionale e, attraverso di esso, la difficile crescita di una generazione in un mondo sconvolto dal progresso tecnologico, dalla sudditanza psicologica nei confronti dei maestri del passato e infine dalla famigerata Crisi. È possibile scorgere così le peculiarità degli autori di strisce memorabili, così come tappe e punti di riferimento (Clowes, Crumb) condivisi. Il pericolo del blog tendente alla ripetitività è (quasi) del tutto scongiurato, grazie all’urgenza da proselitismo di un testo punk nel seno più classico del termine. Infine la Pavan sceglie l’appendice – prefazione e postfazione sono di Toffolo e Brolli – per raccontare la propria storia e le incredibili vicissitudini che l’hanno purtroppo portata ad allontanarsi dal fumetto scritto, ma ad avvicinarsi all’idea scommessa di raccogliere le storie di questi dodici inconsueti “apostoli”.
www.storiastoriepn.it, 3 agosto 2014 Il potere sovversivo della carta, a cura di Sara Pavan
Quando tutto sembra fermo e il mercato occupare ogni interstizio, la vita con fatica e tenacia continua il suo percorso carsico “come l’erbaccia che spacca il cemento, arrivando dove non era previsto e cambiando così lo status quo”. Lo scrive Sara Pavan fumettista e un sacco di altre cose, che ha raccolto le interviste e scritto un libro sulla scena del fumetto autoprodotto e indipendente in Italia negli ultimi 10/12 anni. Ne esce un quadro fitto di relazioni, rimandi, contatti orizzontali per molti versi sorprendente. Ad esempio il rapporto con il web e i social incrociati di continuo ma non risultato finale del lavoro dei “fumettari” e degli artisti che continuano – anche se nativi digitali – ad amare la vecchia carta e a produrre libri e fanzine. Con l’eccezione forse di Zerocalcare che ha fatto il percorso inverso pubblicando i suoi lavori più famosi prima su un blog e poi anche in stampa e nelle riviste come, ad esempio Internazionale.
C’è un bisogno irriducibile di mettersi insieme creativamente, di guardare il mondo dal proprio punto di vista, di “innescare reazioni a catena” e nuove relazioni. Moltissimo di tutta questa creatività è “succhiata” dal mercato e messa a profitto; anche il fumetto fa parte del gran calderone degli stili di vita, delle sub-culture e delle tribù su cui fa profitti e rendita parassitaria il capitale. Ma dalle maglie la vita ruscella via, si ricrea, non vuole essere ingabbiata, e come dice Davide Toffolo che del libro ha scritto una breve introduzione: “L’autoproduzione la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento”. Insomma c’è anche della politica da queste parti…
Lascio al lettore, scoprire il piacere dei diversi punti di vista di protagonisti noti e meno noti della scena indipendente del fumetto italiano, dal famosissimo Zerocalcare alla bravissima Giulia Sgramola alle provocazioni di Roberto La Forgia che inizia il suo scritto dicendo che “le autoproduzioni non dovrebbero esistere”.
Per quanto mi riguarda voglio, forse ingenuamente, esprimere tutto il mio piacere di vecchia frequentatrice di fumetti nello scoprire che “eppur si muove”, “ancora si muove” questo mondo che come lettrice avevo abbandonato con molta tristezza dopo le censure subite dal grandissimo Miguel Ángel Martín e dalla casa editrice che lo pubblicava la Topolin Edizioni. È vero, i suoi fumetti, Brian the Brain e Psychopatia Sexualis li leggevo di nascosto dai miei figli che quella volta erano piccoli e “scandalizzavo” il marito che mi diceva: ma cosa leggi? sei matta?
Ma, dico io, non è che il mondo sia meno spaventoso, anzi! In più è vero.
Scopro inoltre che “il potere sovversivo della carta” è davvero forte visto che come ci racconta in un capitolo finale Sara Pavan anche lei è incappata nella maglie della censura…
di Elisabetta MichielinC’è un bisogno irriducibile di mettersi insieme creativamente, di guardare il mondo dal proprio punto di vista, di “innescare reazioni a catena” e nuove relazioni. Moltissimo di tutta questa creatività è “succhiata” dal mercato e messa a profitto; anche il fumetto fa parte del gran calderone degli stili di vita, delle sub-culture e delle tribù su cui fa profitti e rendita parassitaria il capitale. Ma dalle maglie la vita ruscella via, si ricrea, non vuole essere ingabbiata, e come dice Davide Toffolo che del libro ha scritto una breve introduzione: “L’autoproduzione la fanno donne e uomini con la passione per il cambiamento”. Insomma c’è anche della politica da queste parti…
Lascio al lettore, scoprire il piacere dei diversi punti di vista di protagonisti noti e meno noti della scena indipendente del fumetto italiano, dal famosissimo Zerocalcare alla bravissima Giulia Sgramola alle provocazioni di Roberto La Forgia che inizia il suo scritto dicendo che “le autoproduzioni non dovrebbero esistere”.
Per quanto mi riguarda voglio, forse ingenuamente, esprimere tutto il mio piacere di vecchia frequentatrice di fumetti nello scoprire che “eppur si muove”, “ancora si muove” questo mondo che come lettrice avevo abbandonato con molta tristezza dopo le censure subite dal grandissimo Miguel Ángel Martín e dalla casa editrice che lo pubblicava la Topolin Edizioni. È vero, i suoi fumetti, Brian the Brain e Psychopatia Sexualis li leggevo di nascosto dai miei figli che quella volta erano piccoli e “scandalizzavo” il marito che mi diceva: ma cosa leggi? sei matta?
Ma, dico io, non è che il mondo sia meno spaventoso, anzi! In più è vero.
Scopro inoltre che “il potere sovversivo della carta” è davvero forte visto che come ci racconta in un capitolo finale Sara Pavan anche lei è incappata nella maglie della censura…
Alias – “il manifesto, 2 agosto 2014 Dodici protagonisti fanno esplodere un movimento
Cosa sia un’avanguardia oggi è difficile dirlo, almeno stando alla sua definizione che per forza di cose richiama categorie e concetti novecenteschi. Ma c’è anche un’altra ragione per cui questa parola che tanti rimandi ha nella nostra storia culturale oggi non dovrebbe essere usata, ed è la sua adozione da pane di inserti culturali, direttori di festival, brand, che la usano per attirare il consumatore facendogli credere che ciò che potrebbe acquistare è qualcosa di completamente nuovo. Impoverendo a tal punto la forza eversiva di quella pratica da appiattirla sulla ricerca continua di novità. Anche per chi si occupa di cercare fermenti culturali originali ci sarebbe bisogno di una ecologia di categorie e parole, anzi forse di una vera censura. E anche di un occhio a quanto da qualche anno a questa parte sta accadendo nel fumetto italiano, in cui si assiste ad un insolito, completamente inaspettato, movimento di rinascita di autori, disegnatori, sceneggiatori di grande interesse. E non stiamo parlando solo di Gipi o di Zerocalcare, diventati ormai fenomeni di massa, o dell’incursione di un personaggio come Davide Toffolo (cantante e chitarrista dei Tre allegri ragazzi morti), ma di una vera e propria generazione che se non possiamo definire un’avanguardia, possiamo sicuramente additare come uno dei pochi fenomeni in grado di declinare diversamente il presente, non solo in termini di contenuti ma anche proponendo modi di produzione che sono riusciti ad ovviare all’endemica scarsa attenzione da parte del mondo editoriale italiano verso le strisce disegnate. Di tutto questo ci parla il libro di Sara Pavan Il potere sovversivo della carta una sorta di auto antologia, contenendo le storie di dodici (come gli apostoli...) protagonisti della scena italiana. Ovvero: Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki, Zerocalcare. Questo libro, che alterna racconti personali di questi artisti con alcuni frammenti dai loro lavori, ci racconta di una passione, la creazione di fumetti, nata da un grande bisogno espressivo, una sorta di geiser che spinge questi giovani artisti che poco sanno di regole e contenitori editoriali, a iniziare a produrre. Queste opere ci raccontano un universo assolutamente soggettivo, quello dell’autore, dove tutto ciò che chiamiamo reale viene rimescolato, messo in disordine, o se vogliamo, sovvertito. Potremmo parlare del quartiere Rebibbia di Zerocalcare, o del modo in cui Sara Pavan ci racconta del sesso, o MP5, o del modo in cui Tuono Pettinato riscrive il Viaggio in Italia di Shelley, Byron, Goethe, Ruskin. Basta leggere questa pagina dedicata all’amore, da True Love di MP5: «Io e Antonio ci amiamo. Il nostro è un vero amore. Io e Antonio ci amiamo come nei film di Lina Wertmüller. Ci amiamo come un tram chiamato desiderio. Ci amiamo come Niagara. Antonio mi riempie la vita. Io non me la so proprio immaginare. La vita senza di lui. Io non credo che la gente possa capire. Io credo che a nessuno sia mai capitata una cosa così. Io credo davvero che voi non possiate capirla. Questa cosa. Non ci arrivate proprio. Sono due giorni che non vedo Antonio». Ma a parte la vena demistificatrice, il disincanto nutrito anche verso alcuni vecchi miti dell’underground, sia nostrano che intemazionale, c’è da parlare di come questi autori sono venuti fuori. Copie ciclostilate, fotocopie, abbonamenti porta a porta, diffusione nei centri sociali, in luoghi occupati, un affresco che a molti è sicuramente insospettato di una realtà culturale che ha continuato a pulsare in questi anni. Da sola, senza alcun aiuto per così dire istituzionale ma, al limite, con l’interesse benemerito di case editrici come la Coconino o di personaggi come Makkox. O, ancora, ed è la ragione per cui questo libro e giunto fino a noi dì Alias, grazie all’attività di diffusione di Alberto Choukhadarian, un vero e proprio carbonaro del fumetto indie. Di giorno, come racconta nella intervista a Sarà Pavan, gestisce il negozio di ferramenta in provincia di Imperia ereditato dalla famiglia, e nel tempo libero si dedica alla lettura, al collezionismo e alla diffusione di fumetti italiani. È stato lui, e a sue spese, a mettere in comunicazione gli autori, i loro mondi creativi. Anche su storie come quella di Choukhadarian si è costruita la piccola fortuna del fumetto italiano in questi ultimi anni, che ha fruttato il riconoscimento dei media mainstream e di un pubblico più ampio. Mentre si continuano a fare convegni su convegni in cui fantomatici esorcisti cercano di scongiurare la fine del libro e addirittura della lettura ad un pubblico ora e sempre affascinato più dalla caccia alle streghe che dalla ricerca di soluzioni concrete, c’è chi si è mobilitalo per fare uno scarto rispetto alla stanca ripetizione di moduli che evidentemente non ci potevano portare se non allo stato di paralisi in cui siamo. Cercando non solo un modo diverso di raccontare storie ma anche un altro tipo di rapporto con il lettore. Certo le nuove tecnologie hanno sicuramente favorito l’interscambio soprattutto con l’irrompere di blog e social media. Rovesciamento dei modi di produzione, creazione di contenuti in grado, partendo dal basso, di coinvolgere una fetta sempre più ampia di persone, diffusione indipendente. Tutte cose che fanno del fumetto contemporaneo italiano una delle poche novità emerse in questi anni, capace di interrogare davvero il presente, con i suoi problemi e le sue ambiguità, e di fornire, forse anche involontariamente, delle risposte. Provvisorie, ironiche, ciniche, sprezzanti, anarchiche. E forse può finalmente passare in secondo piano se siano d’avanguardia oppure no.
di Giancarlo ManciniInternazionale, 27 giugno 2014 Il potere sovversivo della carta
Dodici interviste su dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia. Per un genere in cui, tra mainstream e underground, le differenze non sono le solite.
www.kathodik.it, 2 giugno 2014 Quattro chiacchiere digitali con Sara Pavan
Complice la prima edizione di ‘Ratatà’, festival dedicato al fumetto, illustrazione, grafica, editoria indipendente, che si è svolta a Macerata al Centro Sociale Autogestito Sisma, ho conosciuto Sara Pavan e il suo libro Il potere sovversivo della carta. Dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia. Da cosa è nata cosa, per Kathodik oltre alla recensione, anche la volontà di intervistarla per farmi/farci raccontare l’idea dietro al libro e al fare fumetto di questi tempi. Come al solito a voi i risultati.
Sara Pavan, fumettista fondatrice del collettivo Ernest virgola, si arma di pazienza, zaino in spalla e orecchie ben aperte e parte in giro per la penisola, dando vita al termine del suo “pellegrinaggio” a questo bel volume che raccoglie le storie di dodici tra editori, fumettisti, illustratori, punti nodali per il fumetto indipendente italiano in questi anni zero. Dodici racconti, dodici lezioni sul fare e sul vivere l’arte del fumetto e dell’illustrazione nelle parole, tra gli altri, di Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Roberto La Forgia, MP5, Tuono Pettinato, Giulia Sagramola. Non aspettatevi le classiche interviste domanda e risposta, perché qui ci sono potenti esternazioni, quasi flussi di consapevole coscienza di aver dedicato la propria vita a qualcosa di reale, su carta e pennino. Gli interventi, a volte contraddittori, spesso conflittuali, mostrano che il fumetto in Italia è vivo e sta bene, e non si lascia andare a ricordi di “irripetibili anni” ma vuole continuare a raccontare il presente in cui viviamo e ci barcameniamo nella forma e nei modi che vanno al dunque senza fronzoli. Aggiungeteci la prefazione di Davide Toffolo e la postfazione di Daniele Brolli, e capirete che la cosa migliore da fare è aggiudicarsi il volume in questione ed incamminarvi anche voi verso nuovi sconfinati lidi fumettistici autoprodotti.
Come è nata l’idea del libro?
Il libro nasce da un’intuizione di Andrea Scarabelli, che poi mi ha seguito come editor. Andrea è uno scrittore vero, ma è molto appassionato di musica e per il mio stesso editore, Agenzia X, aveva curato un volume, Suonare il paese prima che cada, con dodici interviste in forma narrativa dedicate ai protagonisti della scena musicale indipendente italiana degli anni zero. Il mio libro è un analogo dedicato al mondo del fumetto. Oggi, dopo averlo scritto e averne parlato un po’ in tutta Italia, mi accorgo che quello che vale per il fumetto e per la musica, vale per tutta la cultura italiana. In ogni settore, dal teatro alle radio indipendenti, dal cinema alla street art, fino ad arrivare al movimento dei makers, l’autoproduzione è stata la risposta all’appiattimento e alla crisi. Nel libro parlo di “fumetto selvatico”, perché la scena alternativa, proprio come fanno le piante selvatiche in natura, ha coperto un vuoto, impedendo la desertificazione e trattenendo la terra sotto ai nostri piedi. In realtà sarebbe giusto definire selvatica tutta la cultura italiana, perché i contenuti più vivaci e fecondi in questa fase storica li troviamo fuori dai circuiti regolari ed istituzionali, che per una serie di motivi che tutti ben conosciamo, non la riescono a sostenere. Ma c’è chi fa e bene nonostante tutto, senza aspettare che dall’alto venga legittimata o richiesta la sua opinione.
Come hai selezionato gli intervistati, che parametri/metodi hai utilizzato, se di metodi si può parlare?
Per formazione accademica sono storica dell’arte per cui studiare, fare ricerca e scrivere del settore dell’arte, in questo caso del fumetto, è qualcosa per cui sono competente, almeno in teoria, non solo in virtù del mio essere una fumettista (poco produttiva, ma comunque una fumettista). Nel libro parlo di un periodo, gli anni zero, e di una generazione, quella dei trenta-quarantenni di oggi, che fino ad ora non avevano ancora ricevuto diffusamente l’attenzione degli storici del fumetto. Il momento storico su cui mi concentro però è una fase che ho vissuto in prima persona, per cui sono partita innanzitutto dalle informazioni di prima mano che derivavano dalla mia esperienza di vita. Su questa base mi sono poi confrontata con il mio editor Andrea e con alcuni amici fidati espertissimi di fumetto, per individuare i dodici autori che mi permettessero di parlare di esperienze esemplari per capire il fenomeno, senza alcun fine enciclopedico. Volevo che fossero non solo artisti che in passato si erano dedicati all’autoproduzione ma che fossero a vario titolo autoproduttori anche nel presente. Volevo dei nomi che tutti avrebbero definito “professionisti” in quello che fanno, che avessero magari pubblicato anche con editori mainstream, o la cui opera in qualche modo fosse comunque distribuita a livello nazionale se non addirittura oltre confine, con edizioni straniere, premi e mostre all’estero. Limando, contrattando, facendo rinunce, capendo magari che alcuni artisti sarebbero stati fuori luogo, i dodici apostoli sono apparsi chiari nella mia mente.
Nel libro ci sono vari punti di vista anche molto distanti: da Roberto La Forgia a MP5. Cosa ne pensi? Credi che questo rispecchi le varie anime del fumetto indipendente?
Assolutamente, l’insieme, a volte cacofonico, delle loro voci vale molto di più del singolo contributo di ciascuno. È dai cortocircuiti tra i vari racconti che si esprime il valore del libro. Un po’ come nel fumetto la bontà di una narrazione si evidenzia negli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra lasciati da completare alla mente del lettore, qui è dal confronto, dai rimandi, dalle contraddizioni tra i vari punti di vista che emerge il sapore della scena nella sua totalità. Infatti, nel mio delirio da curatrice, Il potere sovversivo della carta si gusta meglio letto seguendo l’ordine delle pagine, non saltando disordinatamente da un capitolo all’altro. Poi, appunto, questo è il mio delirio, ma per chi davvero non sa nulla del fumetto indipendente e autoprodotto farsi accompagnare per mano da me lungo le pagine è la cosa migliore per riuscire a orientarsi un minimo. C’è l’anima politica di artisti come MP5 o Zerocalcare, l’anima ironica di autori come Tuono Pettinato, i bastian contrari come Roberto La Forgia o Francesco Cattani, gli emigrati come Romina Pelagatti o Alessandro Tota, quelli che vivono di illustrazione come Giulia Sagramola o Alessandro Baronciani, i duri e puri come Strane Dizioni, gli stranieri come Amanda Vähämäki, o gli anticipatori come Andrea Bruno, nelle loro storie di possono trovare elementi comuni alle storie di tutti quelli che non ho materialmente potuto intervistare. Ci sono angoli purtroppo che non ho potuto toccare, nomi che ad esempio sono solo stati citati, come il grandissimo Alessio Spataro e tutta la sua satira, Claudio Calia e il suo lavoro con Emiliano Rabuiti per le antologie che hanno curato insieme a metà anni 2000, o tutto il lavoro di Rocco Lombardi legato alla scena hard core, o anche tutta l’esperienza di autoproduzione portata avanti da artiste come Marina Girardi o Eleonora Antonioni. Questo tanto per snocciolare qualche nome che mi passa per la mente adesso e che nel libro non sono riuscita a presentare diffusamente.
Collegata alla precedente domanda ti chiedo: che cos’è per te il fumetto indipendente?
Il fumetto indipendente non è necessariamente quello senza ISBN, editori come GRRRžetic fanno parte a pieno titolo della scena indie. Gli elementi che accomunano gli indipendenti sono innanzitutto i temi: spesso vengono affrontati argomenti che nell’editoria dei grandi numeri basata sul profitto, non sarebbe conveniente produrre perché hanno un bacino di riferimento troppo di nicchia o, molto più spesso, perché sono politicamente scorretti. Il tempo richiesto anche solo per la realizzazione di questi libri è antieconomico, perché il tipo di ricerca autoriale che sta dietro alla loro stesura o anche solo il tempo materiale per la stampa come nel caso delle edizioni in serigrafia è assolutamente inconciliabile con le logiche di mercato. Quindi abbiamo sperimentazione grafica, stilistica e di contenuto, un attenzione alla ricerca, al proporre la seconda versione delle cose e non un “buona la prima” per il consumo bulimico del momento, e infine un amore per l’oggetto libro, la qualità dei materiali e della stampa: tutti elementi che è davvero raro trovare nei mass media.
Per contro: che cos’è per te il fumetto mainstream?
Il fumetto maistream vero e proprio è essenzialmente quello seriale da edicola, almeno in Italia. Qui neanche i fumetti che escono per le case editrici regolari sono realmente mainstream, almeno stando ai numeri. In Italia le tirature dei libri a fumetti sono bassissime, si parla di 1000-1500 copie a titolo di media, che poi sono le stesse di molte autoproduzioni. La grossa differenza sta nei canali distributivi, il fumetto mainstream arriva nelle edicole, nelle corsie dei supermercati, davanti alle casse nelle librerie di catena. E in certi canali si entra se ci si regge su una ferrea logica di mercato e se si offre un prodotto di consumo, consumabile.
Per me è sbagliato vedere il binomio autoproduzione/mainstream come un “noi contro di loro”. Non è una questione di tifo, di buoni e cattivi, di fighi e sfigati. Perché il mondo sia un posto migliore ci dobbiamo tutti augurare che quello che ora è patrimonio della cultura sommersa diventi mainstream, che quelli che sono gli stili di vita della cultura sommersa divengano diritti riconosciuti e dati per scontati. Che i temi di cui si può parlare solo nella controcultura divengano patrimonio comune. Libertà di stampa, di opinione e di orientamento sessuale, e poi la ricerca in ogni ambito culturale, scientifico e tecnologico, tutte le questioni dell’ecologia, dalla tutela delle sementi a quella degli animali, fino ad arrivare a una visione del mondo antispecista... Io sogno un mondo in cui tutto quello in cui credo sia dato per scontato, come è scontato per me che le donne abbiano il diritto di voto. Mia madre è nata che le donne ancora non potevano votare in Italia. Ce le dobbiamo ricordare queste cose. Io spero che le generazioni future abbiano lo stesso senso di straniamento che provo io quando penso al mondo in cui è nata mia madre perché vorrà dire che avremo vinto battaglie importanti e che quello che io sogno per la società che mi circonda sarà diventato realtà.
Raccontami qualche aneddoto divertente relativo al tuo “pellegrinaggio a fumetti”.
Di pellegrinaggi a fumetti ce ne sono due: quello che ho fatto per scrivere il libro e quello che sto facendo per presentarlo. Il primo è stato un pellegrinaggio anche nel mio passato personale, il secondo sta diventando anche un pellegrinaggio nel sottobosco delle nuove generazioni di fumettisti, quindi nel futuro collettivo.
In generale sul primo posso raccontare che se non lo avessi compiuto il libro non esisterebbe. Sarebbe stato impossibile far sbottonare quegli orsi dei fumettisti senza la confidenza che si crea solo durante una chiacchierata informale faccia a faccia. Per esempio, se qualcuno volesse intervistare Andrea Bruno, un artista e una persona estremamente riservata e taciturna, faccia come me, vada da lui il giorno di Pasqua con un po’ di birrette. Funziona.
Sul secondo, posso dire che ogni tot durante il tour mi capita qualche sfiga. Una volta ad esempio mi è rimasto un cotton fioc nell’orecchio. Per evitare di passare la vita in pronto soccorso a Milano come codice bianco sono andata in giro per un paio di giorni con un pezzo di cotone nell’orecchio e rientrata a casa sono andata dal mio medico di famiglia in Friuli che però, ta-dan, non aveva il pratico strumentino che avrebbe permesso di levare il pezzo di cotone in un secondo. Ma il medico, novello MacGyver, ha escogitato un simpatico trucchetto: come se mi dovesse fare la pulizia dell’orecchio ha versato della soluzione fisiologica nello stesso, il cotton fioc si è imbevuto e gonfiato a dismisura ed è stato così possibile estrarlo con una semplice pinzetta. Il suono o meglio la sensazione di un cotton fioc che si imbibe nel mio orecchio mi ha fatto pensare a cosa succede ai tampax quando li si mette, beh, da un’altra parte, e credo facciano lo stesso rumore anche se lì non c’è nessun orecchio che li possa sentire. Ma come dice una simpatica storiellina zen un albero che cade fa sempre rumore anche se nessuno lo ascolta.
Dopo il libro prevedi di continuare a documentare la scena fumettistica, attraverso per esempio una versione aggiornata ed espansa del tuo libro, oppure e anche con un portale informativo, una sorta di “wikipedia” sul fumetto indipendente?
Il progetto a cui tengo di più in questo momento è aiutare una serie di giovani molto motivati a selezionare fumetti autoprodotti da autori italiani dal 2010 al 2014, tradurli in inglese e realizzare un’antologia scaricabile gratuitamente in pdf che presenti il meglio della scena indie nazionale al pubblico estero, per raggiungere luoghi e lettori a cui sarebbe difficile arrivare di persona o anche solo con copie cartacee. L’intento sarebbe di lavorare a questo ambizioso progetto nel 2015 legandolo all’area autoproduzioni che curo all’interno del Treviso Comic Book Festival, lo spazio INKitchen, un vero e proprio salotto in cui i fumettisti presentano il loro lavoro agli altri giovani autori e al pubblico sorseggiando tè, mangiando biscottini, brindando con del buon vino, insomma in un clima di convivialità.
Progetti futuri: la laurea in medicina. Poi ti dedicherai a creare opere di divulgazione scientifica a fumetti - in questo caso la scienza medica – tipo Logicomix di Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou?
La divulgazione scientifica mi appassiona molto e credo sia una via di rivoluzione sociale perché permette ai cittadini di costruirsi le basi per compiere scelte più oculate e consapevoli su questioni che non solo hanno ricadute sulla salute individuale ma anche pesanti implicazioni collettive. Nel dettaglio poi ho da sempre un grande interesse per l’educazione sessuale e credo che a un certo punto tutte le mie passioni confluiranno in un nuovo progetto. Forse non in una produzione fumettistica, ma sicuramente si tratterà di qualcosa che mi permetterà di usare la mia dialettica per condividere informazioni utili con gli altri.
di Marco PaolucciSara Pavan, fumettista fondatrice del collettivo Ernest virgola, si arma di pazienza, zaino in spalla e orecchie ben aperte e parte in giro per la penisola, dando vita al termine del suo “pellegrinaggio” a questo bel volume che raccoglie le storie di dodici tra editori, fumettisti, illustratori, punti nodali per il fumetto indipendente italiano in questi anni zero. Dodici racconti, dodici lezioni sul fare e sul vivere l’arte del fumetto e dell’illustrazione nelle parole, tra gli altri, di Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Roberto La Forgia, MP5, Tuono Pettinato, Giulia Sagramola. Non aspettatevi le classiche interviste domanda e risposta, perché qui ci sono potenti esternazioni, quasi flussi di consapevole coscienza di aver dedicato la propria vita a qualcosa di reale, su carta e pennino. Gli interventi, a volte contraddittori, spesso conflittuali, mostrano che il fumetto in Italia è vivo e sta bene, e non si lascia andare a ricordi di “irripetibili anni” ma vuole continuare a raccontare il presente in cui viviamo e ci barcameniamo nella forma e nei modi che vanno al dunque senza fronzoli. Aggiungeteci la prefazione di Davide Toffolo e la postfazione di Daniele Brolli, e capirete che la cosa migliore da fare è aggiudicarsi il volume in questione ed incamminarvi anche voi verso nuovi sconfinati lidi fumettistici autoprodotti.
Come è nata l’idea del libro?
Il libro nasce da un’intuizione di Andrea Scarabelli, che poi mi ha seguito come editor. Andrea è uno scrittore vero, ma è molto appassionato di musica e per il mio stesso editore, Agenzia X, aveva curato un volume, Suonare il paese prima che cada, con dodici interviste in forma narrativa dedicate ai protagonisti della scena musicale indipendente italiana degli anni zero. Il mio libro è un analogo dedicato al mondo del fumetto. Oggi, dopo averlo scritto e averne parlato un po’ in tutta Italia, mi accorgo che quello che vale per il fumetto e per la musica, vale per tutta la cultura italiana. In ogni settore, dal teatro alle radio indipendenti, dal cinema alla street art, fino ad arrivare al movimento dei makers, l’autoproduzione è stata la risposta all’appiattimento e alla crisi. Nel libro parlo di “fumetto selvatico”, perché la scena alternativa, proprio come fanno le piante selvatiche in natura, ha coperto un vuoto, impedendo la desertificazione e trattenendo la terra sotto ai nostri piedi. In realtà sarebbe giusto definire selvatica tutta la cultura italiana, perché i contenuti più vivaci e fecondi in questa fase storica li troviamo fuori dai circuiti regolari ed istituzionali, che per una serie di motivi che tutti ben conosciamo, non la riescono a sostenere. Ma c’è chi fa e bene nonostante tutto, senza aspettare che dall’alto venga legittimata o richiesta la sua opinione.
Come hai selezionato gli intervistati, che parametri/metodi hai utilizzato, se di metodi si può parlare?
Per formazione accademica sono storica dell’arte per cui studiare, fare ricerca e scrivere del settore dell’arte, in questo caso del fumetto, è qualcosa per cui sono competente, almeno in teoria, non solo in virtù del mio essere una fumettista (poco produttiva, ma comunque una fumettista). Nel libro parlo di un periodo, gli anni zero, e di una generazione, quella dei trenta-quarantenni di oggi, che fino ad ora non avevano ancora ricevuto diffusamente l’attenzione degli storici del fumetto. Il momento storico su cui mi concentro però è una fase che ho vissuto in prima persona, per cui sono partita innanzitutto dalle informazioni di prima mano che derivavano dalla mia esperienza di vita. Su questa base mi sono poi confrontata con il mio editor Andrea e con alcuni amici fidati espertissimi di fumetto, per individuare i dodici autori che mi permettessero di parlare di esperienze esemplari per capire il fenomeno, senza alcun fine enciclopedico. Volevo che fossero non solo artisti che in passato si erano dedicati all’autoproduzione ma che fossero a vario titolo autoproduttori anche nel presente. Volevo dei nomi che tutti avrebbero definito “professionisti” in quello che fanno, che avessero magari pubblicato anche con editori mainstream, o la cui opera in qualche modo fosse comunque distribuita a livello nazionale se non addirittura oltre confine, con edizioni straniere, premi e mostre all’estero. Limando, contrattando, facendo rinunce, capendo magari che alcuni artisti sarebbero stati fuori luogo, i dodici apostoli sono apparsi chiari nella mia mente.
Nel libro ci sono vari punti di vista anche molto distanti: da Roberto La Forgia a MP5. Cosa ne pensi? Credi che questo rispecchi le varie anime del fumetto indipendente?
Assolutamente, l’insieme, a volte cacofonico, delle loro voci vale molto di più del singolo contributo di ciascuno. È dai cortocircuiti tra i vari racconti che si esprime il valore del libro. Un po’ come nel fumetto la bontà di una narrazione si evidenzia negli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra lasciati da completare alla mente del lettore, qui è dal confronto, dai rimandi, dalle contraddizioni tra i vari punti di vista che emerge il sapore della scena nella sua totalità. Infatti, nel mio delirio da curatrice, Il potere sovversivo della carta si gusta meglio letto seguendo l’ordine delle pagine, non saltando disordinatamente da un capitolo all’altro. Poi, appunto, questo è il mio delirio, ma per chi davvero non sa nulla del fumetto indipendente e autoprodotto farsi accompagnare per mano da me lungo le pagine è la cosa migliore per riuscire a orientarsi un minimo. C’è l’anima politica di artisti come MP5 o Zerocalcare, l’anima ironica di autori come Tuono Pettinato, i bastian contrari come Roberto La Forgia o Francesco Cattani, gli emigrati come Romina Pelagatti o Alessandro Tota, quelli che vivono di illustrazione come Giulia Sagramola o Alessandro Baronciani, i duri e puri come Strane Dizioni, gli stranieri come Amanda Vähämäki, o gli anticipatori come Andrea Bruno, nelle loro storie di possono trovare elementi comuni alle storie di tutti quelli che non ho materialmente potuto intervistare. Ci sono angoli purtroppo che non ho potuto toccare, nomi che ad esempio sono solo stati citati, come il grandissimo Alessio Spataro e tutta la sua satira, Claudio Calia e il suo lavoro con Emiliano Rabuiti per le antologie che hanno curato insieme a metà anni 2000, o tutto il lavoro di Rocco Lombardi legato alla scena hard core, o anche tutta l’esperienza di autoproduzione portata avanti da artiste come Marina Girardi o Eleonora Antonioni. Questo tanto per snocciolare qualche nome che mi passa per la mente adesso e che nel libro non sono riuscita a presentare diffusamente.
Collegata alla precedente domanda ti chiedo: che cos’è per te il fumetto indipendente?
Il fumetto indipendente non è necessariamente quello senza ISBN, editori come GRRRžetic fanno parte a pieno titolo della scena indie. Gli elementi che accomunano gli indipendenti sono innanzitutto i temi: spesso vengono affrontati argomenti che nell’editoria dei grandi numeri basata sul profitto, non sarebbe conveniente produrre perché hanno un bacino di riferimento troppo di nicchia o, molto più spesso, perché sono politicamente scorretti. Il tempo richiesto anche solo per la realizzazione di questi libri è antieconomico, perché il tipo di ricerca autoriale che sta dietro alla loro stesura o anche solo il tempo materiale per la stampa come nel caso delle edizioni in serigrafia è assolutamente inconciliabile con le logiche di mercato. Quindi abbiamo sperimentazione grafica, stilistica e di contenuto, un attenzione alla ricerca, al proporre la seconda versione delle cose e non un “buona la prima” per il consumo bulimico del momento, e infine un amore per l’oggetto libro, la qualità dei materiali e della stampa: tutti elementi che è davvero raro trovare nei mass media.
Per contro: che cos’è per te il fumetto mainstream?
Il fumetto maistream vero e proprio è essenzialmente quello seriale da edicola, almeno in Italia. Qui neanche i fumetti che escono per le case editrici regolari sono realmente mainstream, almeno stando ai numeri. In Italia le tirature dei libri a fumetti sono bassissime, si parla di 1000-1500 copie a titolo di media, che poi sono le stesse di molte autoproduzioni. La grossa differenza sta nei canali distributivi, il fumetto mainstream arriva nelle edicole, nelle corsie dei supermercati, davanti alle casse nelle librerie di catena. E in certi canali si entra se ci si regge su una ferrea logica di mercato e se si offre un prodotto di consumo, consumabile.
Per me è sbagliato vedere il binomio autoproduzione/mainstream come un “noi contro di loro”. Non è una questione di tifo, di buoni e cattivi, di fighi e sfigati. Perché il mondo sia un posto migliore ci dobbiamo tutti augurare che quello che ora è patrimonio della cultura sommersa diventi mainstream, che quelli che sono gli stili di vita della cultura sommersa divengano diritti riconosciuti e dati per scontati. Che i temi di cui si può parlare solo nella controcultura divengano patrimonio comune. Libertà di stampa, di opinione e di orientamento sessuale, e poi la ricerca in ogni ambito culturale, scientifico e tecnologico, tutte le questioni dell’ecologia, dalla tutela delle sementi a quella degli animali, fino ad arrivare a una visione del mondo antispecista... Io sogno un mondo in cui tutto quello in cui credo sia dato per scontato, come è scontato per me che le donne abbiano il diritto di voto. Mia madre è nata che le donne ancora non potevano votare in Italia. Ce le dobbiamo ricordare queste cose. Io spero che le generazioni future abbiano lo stesso senso di straniamento che provo io quando penso al mondo in cui è nata mia madre perché vorrà dire che avremo vinto battaglie importanti e che quello che io sogno per la società che mi circonda sarà diventato realtà.
Raccontami qualche aneddoto divertente relativo al tuo “pellegrinaggio a fumetti”.
Di pellegrinaggi a fumetti ce ne sono due: quello che ho fatto per scrivere il libro e quello che sto facendo per presentarlo. Il primo è stato un pellegrinaggio anche nel mio passato personale, il secondo sta diventando anche un pellegrinaggio nel sottobosco delle nuove generazioni di fumettisti, quindi nel futuro collettivo.
In generale sul primo posso raccontare che se non lo avessi compiuto il libro non esisterebbe. Sarebbe stato impossibile far sbottonare quegli orsi dei fumettisti senza la confidenza che si crea solo durante una chiacchierata informale faccia a faccia. Per esempio, se qualcuno volesse intervistare Andrea Bruno, un artista e una persona estremamente riservata e taciturna, faccia come me, vada da lui il giorno di Pasqua con un po’ di birrette. Funziona.
Sul secondo, posso dire che ogni tot durante il tour mi capita qualche sfiga. Una volta ad esempio mi è rimasto un cotton fioc nell’orecchio. Per evitare di passare la vita in pronto soccorso a Milano come codice bianco sono andata in giro per un paio di giorni con un pezzo di cotone nell’orecchio e rientrata a casa sono andata dal mio medico di famiglia in Friuli che però, ta-dan, non aveva il pratico strumentino che avrebbe permesso di levare il pezzo di cotone in un secondo. Ma il medico, novello MacGyver, ha escogitato un simpatico trucchetto: come se mi dovesse fare la pulizia dell’orecchio ha versato della soluzione fisiologica nello stesso, il cotton fioc si è imbevuto e gonfiato a dismisura ed è stato così possibile estrarlo con una semplice pinzetta. Il suono o meglio la sensazione di un cotton fioc che si imbibe nel mio orecchio mi ha fatto pensare a cosa succede ai tampax quando li si mette, beh, da un’altra parte, e credo facciano lo stesso rumore anche se lì non c’è nessun orecchio che li possa sentire. Ma come dice una simpatica storiellina zen un albero che cade fa sempre rumore anche se nessuno lo ascolta.
Dopo il libro prevedi di continuare a documentare la scena fumettistica, attraverso per esempio una versione aggiornata ed espansa del tuo libro, oppure e anche con un portale informativo, una sorta di “wikipedia” sul fumetto indipendente?
Il progetto a cui tengo di più in questo momento è aiutare una serie di giovani molto motivati a selezionare fumetti autoprodotti da autori italiani dal 2010 al 2014, tradurli in inglese e realizzare un’antologia scaricabile gratuitamente in pdf che presenti il meglio della scena indie nazionale al pubblico estero, per raggiungere luoghi e lettori a cui sarebbe difficile arrivare di persona o anche solo con copie cartacee. L’intento sarebbe di lavorare a questo ambizioso progetto nel 2015 legandolo all’area autoproduzioni che curo all’interno del Treviso Comic Book Festival, lo spazio INKitchen, un vero e proprio salotto in cui i fumettisti presentano il loro lavoro agli altri giovani autori e al pubblico sorseggiando tè, mangiando biscottini, brindando con del buon vino, insomma in un clima di convivialità.
Progetti futuri: la laurea in medicina. Poi ti dedicherai a creare opere di divulgazione scientifica a fumetti - in questo caso la scienza medica – tipo Logicomix di Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou?
La divulgazione scientifica mi appassiona molto e credo sia una via di rivoluzione sociale perché permette ai cittadini di costruirsi le basi per compiere scelte più oculate e consapevoli su questioni che non solo hanno ricadute sulla salute individuale ma anche pesanti implicazioni collettive. Nel dettaglio poi ho da sempre un grande interesse per l’educazione sessuale e credo che a un certo punto tutte le mie passioni confluiranno in un nuovo progetto. Forse non in una produzione fumettistica, ma sicuramente si tratterà di qualcosa che mi permetterà di usare la mia dialettica per condividere informazioni utili con gli altri.
www.milanox.eu, 19 maggio 2014 Il potere sovversivo della carta
Il potere sovversivo della carta è un libro che promette bene fin dal titolo, citazione dell’elogio del “potenziale sovversivo della stampante domestica e della fotocopiatrice” di Sterling nell’introduzione a Mirrorshades. E se quest’ultimo ha dato vita alla letteratura cyberpunk, anche il libro curato da Sara Pavan è a suo modo un inizio: certo la nuova scena del fumetto italiano indipendente e autoprodotto non era mai stata trattata così in un unico volume. Per di più da una donna, disegnatrice lei stessa di fumetti e anima fondatrice del collettivo Ernest.
La scelta è quella di far parlare direttamente i protagonisti (da Baronciani a Zerocalcare), che attraverso le loro testimonianze svelano luoghi, aneddoti, progetti, circuiti, case editrici e festival del fumetto underground di oggi. Il tutto condito da attuali (e non banali) riflessioni sul rapporto tra il diy e il mainstream e tra carta e web. Il testo è ricco, stimolante, vivo e le notizie sono buone: anche se non siamo più negli anni Settanta, con le sue fanzine e riviste mitiche, il mondo del fumetto indipendente in Italia è in ottima forma, popolato di gente eclettica e capace, piena di idee, di voglia e di coraggio. E non c’è pericolo che si esaurisca perché, come dice Daniele Brolli nella postfazione “l’autoproduzione è un’infezione batterica, tipicamente giovanile e resiste agli antibiotici”.
di Marta A
Il potere sovversivo della carta è un libro che promette bene fin dal titolo, citazione dell’elogio del “potenziale sovversivo della stampante domestica e della fotocopiatrice” di Sterling nell’introduzione a Mirrorshades. E se quest’ultimo ha dato vita alla letteratura cyberpunk, anche il libro curato da Sara Pavan è a suo modo un inizio: certo la nuova scena del fumetto italiano indipendente e autoprodotto non era mai stata trattata così in un unico volume. Per di più da una donna, disegnatrice lei stessa di fumetti e anima fondatrice del collettivo Ernest.
La scelta è quella di far parlare direttamente i protagonisti (da Baronciani a Zerocalcare), che attraverso le loro testimonianze svelano luoghi, aneddoti, progetti, circuiti, case editrici e festival del fumetto underground di oggi. Il tutto condito da attuali (e non banali) riflessioni sul rapporto tra il diy e il mainstream e tra carta e web. Il testo è ricco, stimolante, vivo e le notizie sono buone: anche se non siamo più negli anni Settanta, con le sue fanzine e riviste mitiche, il mondo del fumetto indipendente in Italia è in ottima forma, popolato di gente eclettica e capace, piena di idee, di voglia e di coraggio. E non c’è pericolo che si esaurisca perché, come dice Daniele Brolli nella postfazione “l’autoproduzione è un’infezione batterica, tipicamente giovanile e resiste agli antibiotici”.
Radio Onda d’urto, 28 aprile 2014 Intervista a Sara Pavan
Questo libro, uscito per Agenzia X, ha come sottotitolo “Dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia” è una raccolta di dodici interviste in forma narrativa sulla nuova scena del fumetto italiano indipendente e autoprodotto. La mappatura di un rinascimento dopo una lunga crisi trascorsa a elaborare l’eredità della mitica stagione delle riviste degli anni settanta e ottanta. Ascolta qui l’intervista.
www.traniviva.it, 29 aprile 2014 Sara Pavan spiega Il potere sovversivo della carta
Ieri sera il circolo Arci (H)astarci di Trani, in collaborazione con l’Aromic Toom, ha ospitato Sara Pavan che ha presentato il suo primo libro "Il potere sovversivo della carta". L’autrice, fumettista, auto produttrice, fondatrice del collettivo artistico Ernestvirgola, curatrice di INKitchen, l’area autoproduzioni del Treviso Comic Book Festival, e della sezione videoanimazioni del Festival FMK di Cinemazero, è un puro concentrato di energia e positività.
Da filo conduttore alla serata c’è stato il libro, una raccolta di interviste dei 12 maggiori esponenti in Italia che hanno sovvertito il modo e il mondo di guardare al fumetto. Tra gli autori raccontati ci sono Zerocalcare, Tuono Pettinato, Roberto La Forgia, Alessandro Baronciani. Un mondo, quello di cui tratta, fatto di autoproduzioni, scevro da tempistiche e scadenze, da editori e tematiche imposte. Un mondo, quello della stessa Sara, che si fonda sulla ricerca continua e sull’auto sperimentazione.
Protagonista effettiva della serata è stata senza dubbio Sara, con il suo carismatico interesse a conoscere le vite di chi le stava di fronte. Per arricchirle, dare consigli, spronare sogni e progetti nel cassetto. Uno scambio vicendevole di esperienze: tra le sue innumerevoli storie di personaggi portati ad esempio e quelle di chi l’ascoltava. È stata più che la presentazione di un libro, il racconto di 15 anni di una donna che ha saputo e voluto costruire un mondo fatto con le proprie mani (come l’artigianato filo conduttore in Ernestvirgola) e che viaggia per portare a chi incontra la conoscenza di realtà spesso sconosciute: quelle dei piccoli festival.
di Emanuela FalconeDa filo conduttore alla serata c’è stato il libro, una raccolta di interviste dei 12 maggiori esponenti in Italia che hanno sovvertito il modo e il mondo di guardare al fumetto. Tra gli autori raccontati ci sono Zerocalcare, Tuono Pettinato, Roberto La Forgia, Alessandro Baronciani. Un mondo, quello di cui tratta, fatto di autoproduzioni, scevro da tempistiche e scadenze, da editori e tematiche imposte. Un mondo, quello della stessa Sara, che si fonda sulla ricerca continua e sull’auto sperimentazione.
Protagonista effettiva della serata è stata senza dubbio Sara, con il suo carismatico interesse a conoscere le vite di chi le stava di fronte. Per arricchirle, dare consigli, spronare sogni e progetti nel cassetto. Uno scambio vicendevole di esperienze: tra le sue innumerevoli storie di personaggi portati ad esempio e quelle di chi l’ascoltava. È stata più che la presentazione di un libro, il racconto di 15 anni di una donna che ha saputo e voluto costruire un mondo fatto con le proprie mani (come l’artigianato filo conduttore in Ernestvirgola) e che viaggia per portare a chi incontra la conoscenza di realtà spesso sconosciute: quelle dei piccoli festival.
www.pnbox.tv, 23 aprile 2014 Sara Pavan: Il potere sovversivo della carta
Sara Pavan è autrice del libro Il potere sovversivo della carta, edito da AgenziaX, che racconta con 12 interviste gli ultimi dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia. Un “road-book”, come lo definisce Sara, che presenta 12 personaggi più o meno underground della scena italiana, con i loro modi di esprimersi e di comunicare attraverso disegni e parole. Ascoltiamo com’è nato questo libro che vede anche nel video uno stile un po’ cartoon…
Messaggero veneto, 19 aprile 2014 Ecco la guida al fumetto indipendente
È in libreria Il potere sovversivo della carta , primo libro di Sara Pavan, artista sacilese, fumettista, fondatrice del Collettivo Ernest, curatrice dell'area autoproduzioni del Treviso Comic Book Festival e della sezione videoanimazioni del festival Filmakers di Cinemazero.
Sara Pavan propone questo libro dopo un lungo periodo nel quale è cresciuta la sua esperienza nel mondo del fumetto e dell'animazione. Il potere sovversivo della carta è una sorta di saggio-guida all'interno del mondo del fumetto indipendente italiano, un lavoro certosino e completo (garantito dalla profonda conoscenza dell'argomento e che dalla constante frequentazione con molti degli artisti citati, primo tra tutti Davide Toffolo), arricchito dalle testimonianze dirette di alcuni autori (tra cui Tuono Pettinato, Zero Calcare, Roberto La Forgia e Alessandro Baronciani).
Diversamente da quanto si può pensare, il fumetto è a tutti gli effetti un settore attivissimo della letteratura, capace di proporre costantemente autori innovativi e idee di alto profilo.
Il fumetto non è solo quello delle grosse case editrici, ma è anche rappresentato da un numero sempre crescente di opere autoprodotte (fumetti, riviste illustrate) che trovano il loro spazio tra il pubblico fino a superare a volte anche i numeri di vendita dei più grossi titoli. Primo libro in assoluto che tratta l'argomento, il lavoro di Sara Pavan sposta il faro anche su un mondo, quello del fumetto indipendente, nel quale la città di Pordenone è indubbiamente un punto di riferimento per tutta la Regione.
di Maurizio CapobiancoSara Pavan propone questo libro dopo un lungo periodo nel quale è cresciuta la sua esperienza nel mondo del fumetto e dell'animazione. Il potere sovversivo della carta è una sorta di saggio-guida all'interno del mondo del fumetto indipendente italiano, un lavoro certosino e completo (garantito dalla profonda conoscenza dell'argomento e che dalla constante frequentazione con molti degli artisti citati, primo tra tutti Davide Toffolo), arricchito dalle testimonianze dirette di alcuni autori (tra cui Tuono Pettinato, Zero Calcare, Roberto La Forgia e Alessandro Baronciani).
Diversamente da quanto si può pensare, il fumetto è a tutti gli effetti un settore attivissimo della letteratura, capace di proporre costantemente autori innovativi e idee di alto profilo.
Il fumetto non è solo quello delle grosse case editrici, ma è anche rappresentato da un numero sempre crescente di opere autoprodotte (fumetti, riviste illustrate) che trovano il loro spazio tra il pubblico fino a superare a volte anche i numeri di vendita dei più grossi titoli. Primo libro in assoluto che tratta l'argomento, il lavoro di Sara Pavan sposta il faro anche su un mondo, quello del fumetto indipendente, nel quale la città di Pordenone è indubbiamente un punto di riferimento per tutta la Regione.
d.repubblica.it, 16 aprile 2014 Il Rinascimento del fumetto: rosa, e autoprodotto
Un disegnatore candidato allo Strega, una generazione di autori che investe nell’autoproduzione e un mercato di nicchia in controtendenza rispetto al deprimente panorama della carta stampata. Il mondo del fumetto sta vivendo un Rinascimento che il libro di una giovane autrice prova a raccontare: Sara Pavan, veneta che alcuni ricorderanno come la “giovane illustratrice” finita al centro di una furiosa invettiva del centrodestra veneto contro il Gay pride...
Se uno dice “rinascimento”, già sembra una parola grossa. Eppure è esattamente quello che è successo al fumetto italiano dal Duemila in poi. Il passato era la stagione delle riviste, i Settanta e gli Ottanta, il boom di “Linus” e “Frigidaire”, Pratt e Pazienza, un sacco di altre cose. Fermento a cui era seguito un decennio difficile: molte riviste chiudevano, i grandi autori diventavano mostri sacri, ma i nuovi faticavano a emergere. Fino, appunto, all’alba del nuovo millennio. Qualcosa cambia, e non si tratta solo di internet: una nuova generazione di autori si fa avanti con il metodo dell’autoproduzione, mentre i fumetti (oggi tutti li chiamano “graphic novel”, romanzi) arrivano sugli scaffali delle librerie, e i grandi editori lanciano nuove collane dedicate a una nicchia che appare in controtendenza rispetto al deprimente panorama della carta stampata. Così arriviamo a oggi, a Gipi candidato allo Strega, a Zerocalcare campione di vendite (vere) partito da un blog. Un rinascimento, appunto: titolo impegnativo ma corretto. Proprio come quello del libro che prova a raccontarlo - soprattutto nella sua componente indipendente, quella più creativa, che parte dal basso - Il potere sovversivo della carta (pubblicato da Agenzia X, 16 euro). L’ha messo insieme Sara Pavan, trentenne autrice veneta che in quel mondo di festival, incontri, circuiti alternativi ha vissuto per anni, da quando iniziò a disegnare fumetti.
SFOGLIA LE TAVOLE CONTENUTE NEL LIBRO
Titolo impegnativo, dicevamo, e apparentemente anacronistico: che c’azzecca la carta con il 2014? Questa è l’epoca - filotto di luoghi comuni - del digitale, della diffusione virale dei contenuti, dei social network, eccetera.
“Noi siamo stati la prima generazione che ha usato il web per pubblicare le nostre storie, ma la rete non conserva la memoria storica, almeno nel caso di nicchie piccole come quella del fumetto indipendente: le piattaforme di pubblicazione online chiudono, gli archivi spariscono, i formati cambiano” spiega Sara. “La carta è un pelo più sicura: magari sarà difficile da trovare, ma rimane. Oggi dove lo troviamo un lettore per floppy disk? Ovvio che internet sia uno strumento utilissimo, non potrei mai negarlo, ma per chi disegna la carta è molto importante. Anche perché non possiamo sottovalutare la gioia provocata dall’oggetto-libro, sia per l’autore che per il lettore.”
In effetti, girando per i festival di fumetto è sempre più difficile incontrare banchetti fatiscenti di fanzine fotocopiate male: i libri sono belli, e quelli autoprodotti spesso più di quelli dei grandi editori. “Sono cambiati i mezzi - continua Sara - e si sono ridotti i costi. Questo permette, entro certi limiti, di sperimentare. E poi sono cambiati i riferimenti: i trenta/quarantenni avevano ancora in testa i fumetti dei Settanta, i ventenni invece magari conoscono riviste di design e illustrazione, prodotti molto più eleganti. Prodotti di carta, che in versione digitale non potrebbero mai essere la stessa cosa”.
Nel titolo del libro però non c’è solo la carta, ma anche la sovversione: parola che sentiamo spesso ripetuta dai politici come sinonimo di male assoluto, e che nelle mani degli artisti del fumetto underground diventa slancio positivo. “Abbiamo scritto e disegnato le nostre storie pensando che nessuno le vedesse, e questo ci ha aiutato a essere molto liberi, in un primo momento. Passati dieci anni ci siamo resi conto che non solo qualcuno aveva letto quei racconti, ma anche che eravamo davvero riusciti a cambiare le cose, all’interno del nostro mondo. Questa è stata la sovversione, una reazione contro l’appiattimento: il fumetto indipendente, come la musica, è riuscito a dare spazio a una produzione diversa rispetto a quella mainstream. Non sarà una rivoluzione sociale, ma è qualcosa.”
Eppure, che qualcuno avesse letto le sue storie Sara Pavan se n’era accorta anche prima, anzi ci aveva sbattuto la faccia. Nel 2009, proprio in mezzo alla primavera più calda del secolo. Ai tempi Sara probabilmente si era quasi dimenticata di aver disegnato alcune storie, anni prima, per un progetto finanziato dalla comunità europea e intitolato Be Yourself: l’obbiettivo era l’educazione sessuale degli adolescenti, da raggiungere attraverso un linguaggio diretto e senza eufemismi, con la collaborazione di associazioni storiche come Arcigay. In quella mattina di maggio, però, fu “Il Giornale” della famiglia Berlusconi a ricordarglielo, sbattendo in prima pagina quei suoi disegni. Erano stati consigliati all’interno di un opuscolo stampato dalla biblioteca comunale di Genova, ecco il problema: pur di attaccare la giunta di centrosinistra del capoluogo ligure e gli organizzatori del Gay Pride che lì si sarebbe svolto, il quotidiano diede spazio a un articolo di due pagine che bollava quei fumetti come “porno per bambini”. La polemica, pretestuosa com’era, durò lo spazio di un giorno sulla stampa. Ma per Sara le conseguenze furono pesanti: “Se dicono che hai fatto fumetti zozzi per darli ai bambini, anche se non è vero, rimane comunque un’affermazione infamante. Io ai tempi lavoravo molto su laboratori per ragazzi, e anche bambini, nelle scuole. Ecco, dalla fine del 2009 nessun istituto mi ha mai più chiamato, i contratti non sono stati rinnovati. Per la mia vita professionale è stato un momento molto difficile. Alla fine Arcigay aveva denunciato i giornalisti per diffamazione, ma io francamente non ho più seguito la vicenda giudiziaria, e vorrei solo liberarmi di questa storia.”
Oggi Sara studia medicina - dice di essere stata sempre affascinata dal disegno anatomico - e fa l’illustratrice, ma di storie a fumetti firmate da lei se ne vedono sempre meno. Forse scottata da quell’esperienza, forse concentrata su un mestiere nuovo e diverso. Eppure sempre innamorata del fumetto, soprattutto di quello che parte dal basso, e che magari riesce a cambiare il mercato. Il potere sovversivo della carta racconta questi autori, descritti nell’introduzione da Davide Toffolo - frontman dei Tre allegri ragazzi morti e cartoonist con vent’anni di carriera alle spalle - come “donne e uomini con la passione per il cambiamento”, che mettono in pratica “una passione rivoltosa. Una decisione autonoma sulla forma e i contenuti della merce. Una merce preziosa che è la nostra cultura.”
di Michele R. SerraSe uno dice “rinascimento”, già sembra una parola grossa. Eppure è esattamente quello che è successo al fumetto italiano dal Duemila in poi. Il passato era la stagione delle riviste, i Settanta e gli Ottanta, il boom di “Linus” e “Frigidaire”, Pratt e Pazienza, un sacco di altre cose. Fermento a cui era seguito un decennio difficile: molte riviste chiudevano, i grandi autori diventavano mostri sacri, ma i nuovi faticavano a emergere. Fino, appunto, all’alba del nuovo millennio. Qualcosa cambia, e non si tratta solo di internet: una nuova generazione di autori si fa avanti con il metodo dell’autoproduzione, mentre i fumetti (oggi tutti li chiamano “graphic novel”, romanzi) arrivano sugli scaffali delle librerie, e i grandi editori lanciano nuove collane dedicate a una nicchia che appare in controtendenza rispetto al deprimente panorama della carta stampata. Così arriviamo a oggi, a Gipi candidato allo Strega, a Zerocalcare campione di vendite (vere) partito da un blog. Un rinascimento, appunto: titolo impegnativo ma corretto. Proprio come quello del libro che prova a raccontarlo - soprattutto nella sua componente indipendente, quella più creativa, che parte dal basso - Il potere sovversivo della carta (pubblicato da Agenzia X, 16 euro). L’ha messo insieme Sara Pavan, trentenne autrice veneta che in quel mondo di festival, incontri, circuiti alternativi ha vissuto per anni, da quando iniziò a disegnare fumetti.
SFOGLIA LE TAVOLE CONTENUTE NEL LIBRO
Titolo impegnativo, dicevamo, e apparentemente anacronistico: che c’azzecca la carta con il 2014? Questa è l’epoca - filotto di luoghi comuni - del digitale, della diffusione virale dei contenuti, dei social network, eccetera.
“Noi siamo stati la prima generazione che ha usato il web per pubblicare le nostre storie, ma la rete non conserva la memoria storica, almeno nel caso di nicchie piccole come quella del fumetto indipendente: le piattaforme di pubblicazione online chiudono, gli archivi spariscono, i formati cambiano” spiega Sara. “La carta è un pelo più sicura: magari sarà difficile da trovare, ma rimane. Oggi dove lo troviamo un lettore per floppy disk? Ovvio che internet sia uno strumento utilissimo, non potrei mai negarlo, ma per chi disegna la carta è molto importante. Anche perché non possiamo sottovalutare la gioia provocata dall’oggetto-libro, sia per l’autore che per il lettore.”
In effetti, girando per i festival di fumetto è sempre più difficile incontrare banchetti fatiscenti di fanzine fotocopiate male: i libri sono belli, e quelli autoprodotti spesso più di quelli dei grandi editori. “Sono cambiati i mezzi - continua Sara - e si sono ridotti i costi. Questo permette, entro certi limiti, di sperimentare. E poi sono cambiati i riferimenti: i trenta/quarantenni avevano ancora in testa i fumetti dei Settanta, i ventenni invece magari conoscono riviste di design e illustrazione, prodotti molto più eleganti. Prodotti di carta, che in versione digitale non potrebbero mai essere la stessa cosa”.
Nel titolo del libro però non c’è solo la carta, ma anche la sovversione: parola che sentiamo spesso ripetuta dai politici come sinonimo di male assoluto, e che nelle mani degli artisti del fumetto underground diventa slancio positivo. “Abbiamo scritto e disegnato le nostre storie pensando che nessuno le vedesse, e questo ci ha aiutato a essere molto liberi, in un primo momento. Passati dieci anni ci siamo resi conto che non solo qualcuno aveva letto quei racconti, ma anche che eravamo davvero riusciti a cambiare le cose, all’interno del nostro mondo. Questa è stata la sovversione, una reazione contro l’appiattimento: il fumetto indipendente, come la musica, è riuscito a dare spazio a una produzione diversa rispetto a quella mainstream. Non sarà una rivoluzione sociale, ma è qualcosa.”
Eppure, che qualcuno avesse letto le sue storie Sara Pavan se n’era accorta anche prima, anzi ci aveva sbattuto la faccia. Nel 2009, proprio in mezzo alla primavera più calda del secolo. Ai tempi Sara probabilmente si era quasi dimenticata di aver disegnato alcune storie, anni prima, per un progetto finanziato dalla comunità europea e intitolato Be Yourself: l’obbiettivo era l’educazione sessuale degli adolescenti, da raggiungere attraverso un linguaggio diretto e senza eufemismi, con la collaborazione di associazioni storiche come Arcigay. In quella mattina di maggio, però, fu “Il Giornale” della famiglia Berlusconi a ricordarglielo, sbattendo in prima pagina quei suoi disegni. Erano stati consigliati all’interno di un opuscolo stampato dalla biblioteca comunale di Genova, ecco il problema: pur di attaccare la giunta di centrosinistra del capoluogo ligure e gli organizzatori del Gay Pride che lì si sarebbe svolto, il quotidiano diede spazio a un articolo di due pagine che bollava quei fumetti come “porno per bambini”. La polemica, pretestuosa com’era, durò lo spazio di un giorno sulla stampa. Ma per Sara le conseguenze furono pesanti: “Se dicono che hai fatto fumetti zozzi per darli ai bambini, anche se non è vero, rimane comunque un’affermazione infamante. Io ai tempi lavoravo molto su laboratori per ragazzi, e anche bambini, nelle scuole. Ecco, dalla fine del 2009 nessun istituto mi ha mai più chiamato, i contratti non sono stati rinnovati. Per la mia vita professionale è stato un momento molto difficile. Alla fine Arcigay aveva denunciato i giornalisti per diffamazione, ma io francamente non ho più seguito la vicenda giudiziaria, e vorrei solo liberarmi di questa storia.”
Oggi Sara studia medicina - dice di essere stata sempre affascinata dal disegno anatomico - e fa l’illustratrice, ma di storie a fumetti firmate da lei se ne vedono sempre meno. Forse scottata da quell’esperienza, forse concentrata su un mestiere nuovo e diverso. Eppure sempre innamorata del fumetto, soprattutto di quello che parte dal basso, e che magari riesce a cambiare il mercato. Il potere sovversivo della carta racconta questi autori, descritti nell’introduzione da Davide Toffolo - frontman dei Tre allegri ragazzi morti e cartoonist con vent’anni di carriera alle spalle - come “donne e uomini con la passione per il cambiamento”, che mettono in pratica “una passione rivoltosa. Una decisione autonoma sulla forma e i contenuti della merce. Una merce preziosa che è la nostra cultura.”
www.mangialibri.com, 14 aprile 2014 Il potere sovversivo della carta
Dodici interviste ad altrettanti fumettisti. Gli apostoli, come li chiama l’autrice. Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki, Zerocalcare. Sara, alla soglia dei trentatré anni, non poteva far altro che diffondere il verbo di questi artisti e narratori. Racchiuse in questo libro ci sono le storie di coloro che hanno fatto il fumetto in Italia. Cresciuti come artisti alla fine degli anni ’80, sono stati tutti giovani testimoni della crisi del fumetto italiano. Con faticosa soddisfazione, sono comunque riusciti a imboccare la giusta strada adeguandosi ai tempi che corrono. A partire dallo stile del tratto fino all’accettazione dei nuovi strumenti del disegno e alla necessità, spesso, di cercare vie proprie per la pubblicazione. Senza mai smentirsi, rimanendo sempre unici e riuscendo infine a inserirsi tra le pieghe di un arte che ha trovato sempre ritrosie nel nostro paese, ma che oggi fortunatamente li vede protagonisti autorevoli…
Quante volte si può definire un lavoro – quante volte io stesso l’ho fatto o semplicemente pensato – “importante”? Quante volte lo è per davvero? Ecco, per l’ennesima volta: questo di Sara Pavan è un lavoro importante. Perché racconta di come si fa a crescere. Di come da un’idea, un desiderio, può nascere qualcosa di grande e fondamentale. Un lavoro per l’appunto, che può essere incompleto, sbertucciato, abbandonato e poi ripreso, cambiato infinite volte. Qualcosa di così personale da diventare infine, dopo sforzi enormi e contro il senso dell’industria letteraria, comprensibile a tutti. Il fumetto (che come dice bene Toffolo nella prefazione, in Italia ha un nome fesso che più preciso di così non potrebbe essere) è cresciuto in questo modo, cioè esattamente come Sara ha scritto questo libro, con lo zaino in spalla e fregandosene delle feste comandate.
di Simone VisentiniQuante volte si può definire un lavoro – quante volte io stesso l’ho fatto o semplicemente pensato – “importante”? Quante volte lo è per davvero? Ecco, per l’ennesima volta: questo di Sara Pavan è un lavoro importante. Perché racconta di come si fa a crescere. Di come da un’idea, un desiderio, può nascere qualcosa di grande e fondamentale. Un lavoro per l’appunto, che può essere incompleto, sbertucciato, abbandonato e poi ripreso, cambiato infinite volte. Qualcosa di così personale da diventare infine, dopo sforzi enormi e contro il senso dell’industria letteraria, comprensibile a tutti. Il fumetto (che come dice bene Toffolo nella prefazione, in Italia ha un nome fesso che più preciso di così non potrebbe essere) è cresciuto in questo modo, cioè esattamente come Sara ha scritto questo libro, con lo zaino in spalla e fregandosene delle feste comandate.
Rolling Stone, 11 aprile 2014 RS Interview / Sara Pavan e il potere sovversivo della carta
Intervistare chi ha curato un libro di interviste. Curioso, no? Interviste fatte a fumettari, fumettisti, scarabocchiari e disegnettisti, chiamateli come volete: gente che negli ultimi dieci anni è stata capace di cambiare la percezione del fumetto, partendo dal loro punto di vista, quello sviluppatosi nel lavoro certosino delle fanzine. Il potere sovversivo della carta (Agenzia X, pp. 288) è il racconto in prima persona di dodici protagonisti con relative tavole a fine intervento, da Giulia Sgramola ad Alessandro Baronciani, da Zerocalcare a Tuono Pettinato. A raccogliere e arrangiare le interviste in giro per l’Italia, è stata Sara Pavan, anch’essa fumettista. Gli autori rivelano come si sono avvicinati al disegno, i primi lavori, i disagi superati con passione e tenacia e bla bla bla. Ma forse la sintesi migliore di questo lavoro ce la dà Davide Toffolo nell’introduzione: l’autoproduzione di un fumetto è un’azione rivoltosa, la fanno donne e uomini con la passione del cambiamento. E mi pare dica tutto.
Ah, prima di lasciarvi all’intervista di Sara, proprio mentre sto scrivendo, sul mio Facebook, compare la frase di un più o meno conosciuto (anzi, meno che più) illustratore che dice: “Oggi, a parte qualche caso, dov’è finita la fantasia, l’immaginazione, l’avventura in questo nostro fumetto asfittico, didascalico e senza immaginario?”. Bah, non condivido, soprattutto quando dietro si pone come divinità e garanzia lo spettro di Andrea Pazienza. Pazienza è stato un grandissimo ma i tempi sono cambiati, i buoni e i cattivi prima si distinguevano anche dai colori, oggi legare storie in un momento così ridondante di effetti speciali, confuso, svilente e di oppressione (mentale e fisica, più metafisica), richiede altri registri, anche per la lettura. Una quotidianità senza punti di riferimento è di per sé debole e nel descriverla si corrono dei rischi terribili, proprio per il fatto di non avere linguaggi confezionati, a cui ispirarsi. L’Accademia può insegnare le tecniche ma non il fervore che spinge più in là l’avventuriero, verso sentieri non ancora metabolizzati. Non a caso, parlando con gente più anziana appartenente al mondo del fumetto, ho sempre avuto l’impressione che (a parte il bravissimo Gipi che piace a chiunque, purtroppo anche a chi non lo capisce) ci sia un’incapacità di lettura del fumetto odierno. Me lo fece notare anche Zerocalcare quando mi raccontava come in un’intervista, a causa del taglio del giornalista, egli stesso uscisse fuori come un debosciato che proponeva storielle alla Vanzina. Siamo messi così.L’autoproduzione, come scrivi tu stessa, permette una libera espressione, molti dei tuoi intervistati hanno cominciato in questo modo per approdare a importanti case editrici: secondo te hanno continuato a esprimersi liberamente?
Porto l’esempio di Tuono Pettinato. Nel suo Garibaldi non è che non si esprima liberamente, ma cerca di parlare a un pubblico più vasto, cerca di poter essere letto anche nelle scuole, non tradendo però mai la sua peculiarità, quella di unire linguaggio alto e basso. Poi prendiamo Corpicino, un capolavoro, una storia che ha al centro un tema politicamente scorretto, l’omicidio di un bambino, un vero e proprio tabù per la nostra società. Anche qui linguaggio alto e basso si fondono, al centro del ridicolo lo sciacallaggio mediatico delle tragedie, il tutto trattato con una levità disarmante (e forse per questo più penetrante, perché non cerca di impressionare il lettore attraverso il patetico). Un libro così non sarebbe mai potuto uscire per un editore mainstream. Innanzitutto per il tema e poi perché la dose di impegno e amore che sta dietro alla realizzazione di un libro come Corpicino, non riuscirà mai a essere compensata economicamente, quindi una grande casa editrice difficilmente sarà interessata a curare un’edizione come questa. Qualcuno potrebbe obiettare che questo non è esattamente un libro indipendente né tanto meno autoprodotto. Ma, come dice bene MP5 nella sua intervista, la scena underground considera tutto il lavoro di Silvana di GRRRžetic come parte del movimento culturale degli indipendenti. Non è certo l’ISBN a fare la differenza, contano i contenuti e l’amore per la ricerca che stanno dietro ai libri che vengono pubblicati dalla sua casa editrice Combat.Siamo abituati ai ritmi ossessivi dettati dal mainstream, perché un potenziale fumettista dovrebbe dedicarsi all’autoproduzione, spendendo molto tempo per lavori che rischiano di essere dimenticati prestissimo?
Perché non ha alternativa, l’autoproduzione non nasce per fare lotta tra tifosi, “noi contro di loro”, nasce per riempire un vuoto culturale. Nel mio libro definisco questo tipo di fumetto selvatico, non perché selvatico sia una parola figa pescata a caso, ma perché è il termine più preciso per definire questo fenomeno. In natura, quelle che l’uomo definisce “piante selvatiche” o “erbacce” hanno una funzione ben precisa, proteggere il terreno dall’erosione da parte degli agenti atmosferici. La cultura non addomesticata che nasce dal fumetto, ma anche dalla musica, dal teatro e dal cinema indipendenti e autoprodotti, questo fa, trattiene la terra sotto ai nostri piedi. Se hai qualcosa da dire, e vuoi dirlo esattamente come ce l’hai in testa e non sei nessuno, quindi, per il sistema editoriale non sei la gallina dalle uova d’oro a cui lasciare la libertà di espressione perché il tuo esprimerti porta soldi… beh l’autoproduzione è l’unica via per dare un senso alla tua vita, o anche solo alla tua esigenza comunicativa.In un’intervista Roberto La Forgia dice che le autoproduzioni dovrebbero scomparire proprio per l’impossibilità degli autori di essere ideatore, scrittore, sceneggiatore, eccetera, altrimenti non si arriverebbe a un pubblico più ampio. Inoltre, gli strumenti tecnici, i programmi a disposizione, tendono in qualche modo ad abbandonare quell’elemento artigianale delle autoproduzioni. Come ne vedi il futuro?
Roberto ha lanciato una provocazione, poi è lui il primo che non se ne sta con le mani in mano ad aspettare che un editore gli cali le possibilità dall’alto. Non me lo ha raccontato lui (sono cose che mi sono state riferite da terzi), ma il mega tour di presentazioni di un mese per far girare il suo libro Il signore dei colori se lo è organizzato da solo. Un autoproduttore è così, quando una cosa non è come la vorrebbe se la aggiusta da solo, non sta lì a lamentarsi, agisce. Considerando la fase storica che stiamo vivendo, il futuro immediato è dell’autoproduzione. Si sta arrivando a livelli mai immaginati prima, tutto il movimento dei makers ne è la prova, dai loro una stampante 3D e faranno qualsiasi cosa. Per me tutto il discorso sul fumetto non è altro che un modello in scala ridotta di qualcosa più grande che sta avvenendo a livello globale. Chi non l’ha ancora capito, semplicemente non ha ancora aperto gli occhi. E anche se storicamente questa fosse una falsa partenza, anche se non ci fosse la forza oggi o domani perché il segnale superi il livello soglia, succederà dopodomani.Hai trovato un comune denominatore fra i vari autori?
Cito Betty Friedan: “Il problema se n’è stato sepolto, inespresso, nella mente delle donne americane per molti anni. Era una strana irrequietezza, un senso d’insoddisfazione, uno struggimento [che è un desiderio] che le donne hanno sofferto a metà del XX secolo negli Stati Uniti. Ogni moglie di provincia ha lottato da sola. Mentre rassettava i letti, faceva la spesa… aveva paura di porre anche solo a se stessa la domanda silenziosa – ‘Questo è tutto?”. Gli autori autoprodotti e indipendenti della mia generazione, nella loro adolescenza, negli anni ’90, hanno sperimentato questo tipo di disagio. Probabilmente i fumettisti non ne hanno sentito il peso nel momento in cui rassettavano i letti, ma le emozioni in ballo erano le stesse: isolati, soli, non si sentivano rispecchiati dal contesto che avevano attorno e si sono chiesti se la loro esistenza, non solo in quanto fumettisti, si dovesse ridurre a quello che stava prospettando loro la società.C’è qualcosa che più ti sembra caratterizzi, nello stile o nella scelta narrativa, chi emerge dalla scena indipendente?
Tra il 2000 e il 2006 hanno avuto luogo diverse rotture, a livello generale nel mondo del fumetto, non solo indipendente: in Italia si è diffuso un fumetto disegnato in modo meno accademico, in cui sono diventati ammessi strumenti come la matita, le tavole senza griglia classica, le cancellature evidenti, le anatomie disegnate in modo infantile. Stesso discorso vale per la narrazione, non è stato più un obbligo raccontare di supereroi, avventure o anche solo rispettare la struttura narrativa tradizionale. Tutte ‘rivoluzioni’ che, con le dovute proporzioni, in letteratura sono ormai roba del Novecento. Tra fumetto d’autore di tipo mainstream e fumetto autoprodotto ci sono delle diversità nei contenuti, un fumetto in cui si ride a crepapelle pur parlando di un bambino morto, come dicevo prima, sarà difficile vederlo pubblicato in ambito mainstream. Un’edizione su una bella carta, serigrafata e rilegata a mano, è impossibile vederla in ambito mainstream. Adesso il mainstream adora il graphic journalism, che per carità, bene che esista, ma spesso scivola nella superficialità e nella morbosità da reality. Spero che, non solo nella scena indipendente, si assista a un ritorno alla narrazione. Il raccontare storie con sapienza può arrivare a essere più vero del vero.Il mercato del fumetto italiano, a che punto è? Robe tipo Lucca Comics riescono effettivamente a inquadrare la portata del fenomeno?
Lucca Comics di quest’anno è stata un grande successo, una marea di gente ovunque, credo sia stata l’edizione con la maggiore affluenza di sempre. Una vera festa! Lucca Comics, però, non è il contesto ideale per scoprire la vera attitudine della scena indie. Festival come il BilBOlbul di Bologna, il Crack di Roma, il Treviso Comic Book Festival sono molto più adatti per toccare con mano lo spirito di comunità che travalica anche i confini nazionali che connota l’autoproduzione e l’editoria indipendente. Ma questo solo per citare le manifestazioni più grandi. Anche piccoli meeting come Gelati, organizzato da Lök Magazine a Genova o il nuovissimo festival Ratatà di Macerata o il Ca.Co Fest di Bari sono momenti in cui bisogna vedere cosa succede, perché c’è la possibilità di sfogliare diverse produzioni (di cui parlo pure nel mio libro). È in questi contesti che c’è la possibilità di parlare con chi questi libri li fa guardandosi reciprocamente negli occhi. Perché tutto questo circo è in piedi per un solo motivo: comunicare con le altre persone.P.S. La chiacchierata con Sara è stata molto più corposa e di conseguenza molto tagliata, vi consiglio, se siete interessati, di incontrarla nei festival a cui partecipa e sfinirla di domande. Tanto per scoprire chi cede prima.
di Luca PakarovAh, prima di lasciarvi all’intervista di Sara, proprio mentre sto scrivendo, sul mio Facebook, compare la frase di un più o meno conosciuto (anzi, meno che più) illustratore che dice: “Oggi, a parte qualche caso, dov’è finita la fantasia, l’immaginazione, l’avventura in questo nostro fumetto asfittico, didascalico e senza immaginario?”. Bah, non condivido, soprattutto quando dietro si pone come divinità e garanzia lo spettro di Andrea Pazienza. Pazienza è stato un grandissimo ma i tempi sono cambiati, i buoni e i cattivi prima si distinguevano anche dai colori, oggi legare storie in un momento così ridondante di effetti speciali, confuso, svilente e di oppressione (mentale e fisica, più metafisica), richiede altri registri, anche per la lettura. Una quotidianità senza punti di riferimento è di per sé debole e nel descriverla si corrono dei rischi terribili, proprio per il fatto di non avere linguaggi confezionati, a cui ispirarsi. L’Accademia può insegnare le tecniche ma non il fervore che spinge più in là l’avventuriero, verso sentieri non ancora metabolizzati. Non a caso, parlando con gente più anziana appartenente al mondo del fumetto, ho sempre avuto l’impressione che (a parte il bravissimo Gipi che piace a chiunque, purtroppo anche a chi non lo capisce) ci sia un’incapacità di lettura del fumetto odierno. Me lo fece notare anche Zerocalcare quando mi raccontava come in un’intervista, a causa del taglio del giornalista, egli stesso uscisse fuori come un debosciato che proponeva storielle alla Vanzina. Siamo messi così.L’autoproduzione, come scrivi tu stessa, permette una libera espressione, molti dei tuoi intervistati hanno cominciato in questo modo per approdare a importanti case editrici: secondo te hanno continuato a esprimersi liberamente?
Porto l’esempio di Tuono Pettinato. Nel suo Garibaldi non è che non si esprima liberamente, ma cerca di parlare a un pubblico più vasto, cerca di poter essere letto anche nelle scuole, non tradendo però mai la sua peculiarità, quella di unire linguaggio alto e basso. Poi prendiamo Corpicino, un capolavoro, una storia che ha al centro un tema politicamente scorretto, l’omicidio di un bambino, un vero e proprio tabù per la nostra società. Anche qui linguaggio alto e basso si fondono, al centro del ridicolo lo sciacallaggio mediatico delle tragedie, il tutto trattato con una levità disarmante (e forse per questo più penetrante, perché non cerca di impressionare il lettore attraverso il patetico). Un libro così non sarebbe mai potuto uscire per un editore mainstream. Innanzitutto per il tema e poi perché la dose di impegno e amore che sta dietro alla realizzazione di un libro come Corpicino, non riuscirà mai a essere compensata economicamente, quindi una grande casa editrice difficilmente sarà interessata a curare un’edizione come questa. Qualcuno potrebbe obiettare che questo non è esattamente un libro indipendente né tanto meno autoprodotto. Ma, come dice bene MP5 nella sua intervista, la scena underground considera tutto il lavoro di Silvana di GRRRžetic come parte del movimento culturale degli indipendenti. Non è certo l’ISBN a fare la differenza, contano i contenuti e l’amore per la ricerca che stanno dietro ai libri che vengono pubblicati dalla sua casa editrice Combat.Siamo abituati ai ritmi ossessivi dettati dal mainstream, perché un potenziale fumettista dovrebbe dedicarsi all’autoproduzione, spendendo molto tempo per lavori che rischiano di essere dimenticati prestissimo?
Perché non ha alternativa, l’autoproduzione non nasce per fare lotta tra tifosi, “noi contro di loro”, nasce per riempire un vuoto culturale. Nel mio libro definisco questo tipo di fumetto selvatico, non perché selvatico sia una parola figa pescata a caso, ma perché è il termine più preciso per definire questo fenomeno. In natura, quelle che l’uomo definisce “piante selvatiche” o “erbacce” hanno una funzione ben precisa, proteggere il terreno dall’erosione da parte degli agenti atmosferici. La cultura non addomesticata che nasce dal fumetto, ma anche dalla musica, dal teatro e dal cinema indipendenti e autoprodotti, questo fa, trattiene la terra sotto ai nostri piedi. Se hai qualcosa da dire, e vuoi dirlo esattamente come ce l’hai in testa e non sei nessuno, quindi, per il sistema editoriale non sei la gallina dalle uova d’oro a cui lasciare la libertà di espressione perché il tuo esprimerti porta soldi… beh l’autoproduzione è l’unica via per dare un senso alla tua vita, o anche solo alla tua esigenza comunicativa.In un’intervista Roberto La Forgia dice che le autoproduzioni dovrebbero scomparire proprio per l’impossibilità degli autori di essere ideatore, scrittore, sceneggiatore, eccetera, altrimenti non si arriverebbe a un pubblico più ampio. Inoltre, gli strumenti tecnici, i programmi a disposizione, tendono in qualche modo ad abbandonare quell’elemento artigianale delle autoproduzioni. Come ne vedi il futuro?
Roberto ha lanciato una provocazione, poi è lui il primo che non se ne sta con le mani in mano ad aspettare che un editore gli cali le possibilità dall’alto. Non me lo ha raccontato lui (sono cose che mi sono state riferite da terzi), ma il mega tour di presentazioni di un mese per far girare il suo libro Il signore dei colori se lo è organizzato da solo. Un autoproduttore è così, quando una cosa non è come la vorrebbe se la aggiusta da solo, non sta lì a lamentarsi, agisce. Considerando la fase storica che stiamo vivendo, il futuro immediato è dell’autoproduzione. Si sta arrivando a livelli mai immaginati prima, tutto il movimento dei makers ne è la prova, dai loro una stampante 3D e faranno qualsiasi cosa. Per me tutto il discorso sul fumetto non è altro che un modello in scala ridotta di qualcosa più grande che sta avvenendo a livello globale. Chi non l’ha ancora capito, semplicemente non ha ancora aperto gli occhi. E anche se storicamente questa fosse una falsa partenza, anche se non ci fosse la forza oggi o domani perché il segnale superi il livello soglia, succederà dopodomani.Hai trovato un comune denominatore fra i vari autori?
Cito Betty Friedan: “Il problema se n’è stato sepolto, inespresso, nella mente delle donne americane per molti anni. Era una strana irrequietezza, un senso d’insoddisfazione, uno struggimento [che è un desiderio] che le donne hanno sofferto a metà del XX secolo negli Stati Uniti. Ogni moglie di provincia ha lottato da sola. Mentre rassettava i letti, faceva la spesa… aveva paura di porre anche solo a se stessa la domanda silenziosa – ‘Questo è tutto?”. Gli autori autoprodotti e indipendenti della mia generazione, nella loro adolescenza, negli anni ’90, hanno sperimentato questo tipo di disagio. Probabilmente i fumettisti non ne hanno sentito il peso nel momento in cui rassettavano i letti, ma le emozioni in ballo erano le stesse: isolati, soli, non si sentivano rispecchiati dal contesto che avevano attorno e si sono chiesti se la loro esistenza, non solo in quanto fumettisti, si dovesse ridurre a quello che stava prospettando loro la società.C’è qualcosa che più ti sembra caratterizzi, nello stile o nella scelta narrativa, chi emerge dalla scena indipendente?
Tra il 2000 e il 2006 hanno avuto luogo diverse rotture, a livello generale nel mondo del fumetto, non solo indipendente: in Italia si è diffuso un fumetto disegnato in modo meno accademico, in cui sono diventati ammessi strumenti come la matita, le tavole senza griglia classica, le cancellature evidenti, le anatomie disegnate in modo infantile. Stesso discorso vale per la narrazione, non è stato più un obbligo raccontare di supereroi, avventure o anche solo rispettare la struttura narrativa tradizionale. Tutte ‘rivoluzioni’ che, con le dovute proporzioni, in letteratura sono ormai roba del Novecento. Tra fumetto d’autore di tipo mainstream e fumetto autoprodotto ci sono delle diversità nei contenuti, un fumetto in cui si ride a crepapelle pur parlando di un bambino morto, come dicevo prima, sarà difficile vederlo pubblicato in ambito mainstream. Un’edizione su una bella carta, serigrafata e rilegata a mano, è impossibile vederla in ambito mainstream. Adesso il mainstream adora il graphic journalism, che per carità, bene che esista, ma spesso scivola nella superficialità e nella morbosità da reality. Spero che, non solo nella scena indipendente, si assista a un ritorno alla narrazione. Il raccontare storie con sapienza può arrivare a essere più vero del vero.Il mercato del fumetto italiano, a che punto è? Robe tipo Lucca Comics riescono effettivamente a inquadrare la portata del fenomeno?
Lucca Comics di quest’anno è stata un grande successo, una marea di gente ovunque, credo sia stata l’edizione con la maggiore affluenza di sempre. Una vera festa! Lucca Comics, però, non è il contesto ideale per scoprire la vera attitudine della scena indie. Festival come il BilBOlbul di Bologna, il Crack di Roma, il Treviso Comic Book Festival sono molto più adatti per toccare con mano lo spirito di comunità che travalica anche i confini nazionali che connota l’autoproduzione e l’editoria indipendente. Ma questo solo per citare le manifestazioni più grandi. Anche piccoli meeting come Gelati, organizzato da Lök Magazine a Genova o il nuovissimo festival Ratatà di Macerata o il Ca.Co Fest di Bari sono momenti in cui bisogna vedere cosa succede, perché c’è la possibilità di sfogliare diverse produzioni (di cui parlo pure nel mio libro). È in questi contesti che c’è la possibilità di parlare con chi questi libri li fa guardandosi reciprocamente negli occhi. Perché tutto questo circo è in piedi per un solo motivo: comunicare con le altre persone.P.S. La chiacchierata con Sara è stata molto più corposa e di conseguenza molto tagliata, vi consiglio, se siete interessati, di incontrarla nei festival a cui partecipa e sfinirla di domande. Tanto per scoprire chi cede prima.
Pagina 99, 5 aprile 2014 Storia del fumetto indie dall’uderground al 2.0
Tra il boom degli anni Ottanta e l’odierna affermazione del graphic novel in libreria c’è un pezzo di storia del fumetto difficile da afferrare: una storia fatta di stampanti e fotocopiatrici, di albi spillati a mano diffusi tra gli amici o spediti per posta e di racconti per immagini prodotti dal basso, senza vincoli editoriali, liberi perché nati all’interno di riviste pensate, realizzate e distribuite dagli stessi autori di quei racconti.
Il potere sovversivo della carta (Agenzia X), raccolta di interviste, in forma narrativa, ad alcuni degli autori più vivaci della scena indipendente (tra gli altri Zerocalcare, Francesco Cattani, Andrea Baronciani, Tuono Pettinato), tenta un ritratto in movimento di un mondo in continua mutazione. Un mondo - sintetizza Sara Pavan, che ha messo insieme tavole e testimonianze per questo libro - fatto di «una fitta rete di contatti umani intessuti su uno scheletro costituito da festival, collettivi di autori e circuiti librari alternativi che copre mezza Europa».
Ed è proprio la rete - di contatti personali e amici di amici, ma anche blog e pagine Facebook - la costante di questi percorsi, che iniziano con la condivisione di una passione (il disegno come espressione di sé e un’urgenza, tutta personale, di dire la propria) e si formano in collettivi che diventano luoghi di confronto, progetti comuni, promotori di eventi e di idee.
A volte sono luoghi fisici, come l’appartamento di Parigi del fondatore di “Papier Gaché” (carta sprecata, in italiano), una delle riviste di settore che fanno ricerca (e tendenza), da cui sono passati molti dei fumettisti italiani emigrati in Francia. Oppure sono associazioni culturali come Hamelin, che ha preparato il terreno al gruppo di Canicola e alla nascita di un festival come BilBOLBul, dedicato al fumetto d’autore su scala internazionale, o etichette che giocano tra alto e basso esplorando il confine, a volte davvero sottile, tra autoproduzione ed editoria di pregio, come Ernestvirgola, Strane Dizioni e Teiera. Senza dimenticare chi, come il gruppo dei Super Amici, si diverte a mettere in crisi la vocazione allaserietà di certo indie, tra satira e parodia.
Molte di queste storie continuano ancora oggi, ma in modo diverso: alcuni si sono ritrovati autori di successo, come Zerocalcare («a un certo punto [...] ho pensato che se fossi riuscito a usare i disegni per pagare l’affitto sarebbe stato meglio che continuare a fare lavori orribili, in cui vieni sfruttato per sfruttare meglio gli altri»), altri continuano ad autoprodursi, per scelta, o sono diventati editori, dotati di Isbn ma con lo spirito libero degli inizi. Altri ancora guardano al digitale come nuova base collaborativa, postano i loro lavori in rete e si autofinanziano con il crowdfunding.
Sono lontani i tempi in cui, come ricorda Baronciani, l’unico modo per fare punk quando la scena punk era a Londra era ricostruirlo a partire da quel poco che filtrava in Italia, «unendo i puntini in modo imprevisto».
Ora che tutto - in potenza - è su Google, e che tutti sono online, all’autoproduzione, guizzo anarchico della creatività a fumetti, tocca reinventarsi ancora. Non resta che vedere quali nuovi puntini sarà capace di unire.
di Valentina ManchiaIl potere sovversivo della carta (Agenzia X), raccolta di interviste, in forma narrativa, ad alcuni degli autori più vivaci della scena indipendente (tra gli altri Zerocalcare, Francesco Cattani, Andrea Baronciani, Tuono Pettinato), tenta un ritratto in movimento di un mondo in continua mutazione. Un mondo - sintetizza Sara Pavan, che ha messo insieme tavole e testimonianze per questo libro - fatto di «una fitta rete di contatti umani intessuti su uno scheletro costituito da festival, collettivi di autori e circuiti librari alternativi che copre mezza Europa».
Ed è proprio la rete - di contatti personali e amici di amici, ma anche blog e pagine Facebook - la costante di questi percorsi, che iniziano con la condivisione di una passione (il disegno come espressione di sé e un’urgenza, tutta personale, di dire la propria) e si formano in collettivi che diventano luoghi di confronto, progetti comuni, promotori di eventi e di idee.
A volte sono luoghi fisici, come l’appartamento di Parigi del fondatore di “Papier Gaché” (carta sprecata, in italiano), una delle riviste di settore che fanno ricerca (e tendenza), da cui sono passati molti dei fumettisti italiani emigrati in Francia. Oppure sono associazioni culturali come Hamelin, che ha preparato il terreno al gruppo di Canicola e alla nascita di un festival come BilBOLBul, dedicato al fumetto d’autore su scala internazionale, o etichette che giocano tra alto e basso esplorando il confine, a volte davvero sottile, tra autoproduzione ed editoria di pregio, come Ernestvirgola, Strane Dizioni e Teiera. Senza dimenticare chi, come il gruppo dei Super Amici, si diverte a mettere in crisi la vocazione allaserietà di certo indie, tra satira e parodia.
Molte di queste storie continuano ancora oggi, ma in modo diverso: alcuni si sono ritrovati autori di successo, come Zerocalcare («a un certo punto [...] ho pensato che se fossi riuscito a usare i disegni per pagare l’affitto sarebbe stato meglio che continuare a fare lavori orribili, in cui vieni sfruttato per sfruttare meglio gli altri»), altri continuano ad autoprodursi, per scelta, o sono diventati editori, dotati di Isbn ma con lo spirito libero degli inizi. Altri ancora guardano al digitale come nuova base collaborativa, postano i loro lavori in rete e si autofinanziano con il crowdfunding.
Sono lontani i tempi in cui, come ricorda Baronciani, l’unico modo per fare punk quando la scena punk era a Londra era ricostruirlo a partire da quel poco che filtrava in Italia, «unendo i puntini in modo imprevisto».
Ora che tutto - in potenza - è su Google, e che tutti sono online, all’autoproduzione, guizzo anarchico della creatività a fumetti, tocca reinventarsi ancora. Non resta che vedere quali nuovi puntini sarà capace di unire.
Linus, aprile 2014 Sara Pavan. Il potere sovversivo della carta
Piccola appendice alla prima recensione: Sara Pavan ha letterato In cucina con Alain Passard, come altri libri editi da Bao Publishing. Oltre al lettering, fa molte altre cose. Un sacco di lavori diversi, e poi studia medicina (per colpa dei disegni anatomici visti anni fa nei fumetti di Phoebe Gloeckner, dice). Di storie sue, però, ora ne disegna poche. Scrive di essere rimasta scottata dall’attacco del 2009, quando “Il Giornale” sbatté in prima pagina un suo fumetto pubblicato su internet e consigliato all’interno di un opuscolo stampato dalla biblioteca comunale di Genova, bollandolo come pornografia per minori; tutto allo scopo di attaccare la giunta di centrosinistra in tempo di elezioni. Più che pretestuoso, più che disinformato, l’articolo appare folle. Eppure fece danni, non tanto al centrosinistra genovese quanto alla vita professionale di Sara: per vivere teneva corsi di fumetto nelle scuole, e molti istituti dopo quella vicenda troncarono la collaborazione. Personalmente, spero che Sara torni a fare fumetti presto. Intanto ha messo insieme un libro che racconta il mondo in cui ha vissuto nell’ultimo decennio, prima da sola, poi con il collettivo bolognese Ernest,: quello del fumetto autoprodotto (indipendente, se vi piace) in Italia. Attraverso interviste e interventi critici di autori, editori, lettori. Molti raccontano semplicemente la loro esperienza, altri provano a rifletterci sopra. Tutti mettono in fila una serie di verità sull’argomento, forse anche banali, eppure mai viste insieme. Tipo che il fumetto di oggi è il primo davvero globalizzato, grazie al formato graphic novel (Davide Toffolo); che Igort e Coconino Press hanno cambiato il mercato editoriale in Italia (Andrea Bruno); che le autoproduzioni oggi non sono sporche e cattive, ma pulite e carine (Roberto La Forgia); che l’ego è un propellente fondamentale per ogni impresa do-it-yourself (Daniele Brolli); che nell’epoca di internet l’unico modo per lasciare una traccia è usare la carta (Emanuele Rosso). Spunti per discussioni che potrebbero andare avanti ancora un bel po’.
contezarganenko.blogspot.it, 25 marzo 2014 Il potere sovversivo della carta
Questo libro sembra scritto apposta per chi come me ha frequentato il mondo dell’auto-produzione fumettistica fino agli inizi degli anni duemila, poi si è eclissato in mille altri percorsi ed è tornato solo da poco più di un anno ad occuparsi dell’arte del fumetto.
Il libro copre, con innegabile dovizia documentaristica, proprio quel buco temporale, andando a ricostruire l’affascinante cosmo clandestino di riviste, fanzine e collettivi artistici dalle cui ceneri ardenti sono poi rinati alcuni dei migliori talenti attualmente in circolazione.
Delle dodici interviste, realizzate da Sara Pavan, ad alcuni tra i principali esponenti della dimensione indipendente del fumetto italiano recente, ho apprezzato in particolar modo il contributo, molto centrato, di Alessandro Baronciani.
Inutile dire che ho adorato quello di Tuono Pettinato che ricostruisce la storia dei “Superamici”, ma qui entriamo nel campo della militanza ideologica.
Con quello di Andrea Bruno, invece, in quello della fede religiosa.
Due autori, diversamente eccezionali, che ho apprezzato fin dalle loro prime pubblicazioni.
Era prevedibile che la storica “Lampi Grevi”, che mi vide protagonista accanto a LRNZ, Lucio Villani, Daniele Catalli, Alessandro Caroni, Mariachiara Di Giorgio (menzionando solo chi è rimasto nel mondo del fumetto, gli altri ora sono o attori o professori universitari o giornalisti), non fosse menzionata nell’elenco in coda al libro: alla fine ne uscirono soltanto due numeri.
Mi ha fatto molto piacere, dunque, vederla citata nella sua intervista da Giulia Sagramola.
Del resto, sappiamo di non aver perso tempo, ci basta e avanza essere stati tra le fonti d’ispirazione della giovanissima Rita Petruccioli (della quale parleremo prestissimo!)
Ma ben altro colpo ha subito il mio ego (nel senso della tentazione).
Ho apprezzato molto alla fine il dovuto riconoscimento al ruolo di Alberto Choukadarian, collezionista e in un certo modo mecenate contemporaneo, animato da una purissima passione per il medium fumetto (oltreché da una rara gentilezza d’animo).
Confesso che, essendo come ho già detto più volte per nulla esperto di fumetto, ho letto il libro anche per documentarmi meglio, considerando che mi capita sempre più spesso di scrivere dell’argomento.
Sono dunque scoppiato a ridere, credendo si parlasse di un omonimo, nel leggere l’intervista al gentilissimo Alberto.
Essere citati accanto a critici affermati mentre si legge un libro per documentarsi fa indubbiamente piacere.
Grazie.
In conclusione, un libro che consiglio a chiunque abbia a cuore il futuro, non solo il passato, del fumetto indipendente italiano.
Buona Lettura!
di Adriano ErcolaniIl libro copre, con innegabile dovizia documentaristica, proprio quel buco temporale, andando a ricostruire l’affascinante cosmo clandestino di riviste, fanzine e collettivi artistici dalle cui ceneri ardenti sono poi rinati alcuni dei migliori talenti attualmente in circolazione.
Delle dodici interviste, realizzate da Sara Pavan, ad alcuni tra i principali esponenti della dimensione indipendente del fumetto italiano recente, ho apprezzato in particolar modo il contributo, molto centrato, di Alessandro Baronciani.
Inutile dire che ho adorato quello di Tuono Pettinato che ricostruisce la storia dei “Superamici”, ma qui entriamo nel campo della militanza ideologica.
Con quello di Andrea Bruno, invece, in quello della fede religiosa.
Due autori, diversamente eccezionali, che ho apprezzato fin dalle loro prime pubblicazioni.
Era prevedibile che la storica “Lampi Grevi”, che mi vide protagonista accanto a LRNZ, Lucio Villani, Daniele Catalli, Alessandro Caroni, Mariachiara Di Giorgio (menzionando solo chi è rimasto nel mondo del fumetto, gli altri ora sono o attori o professori universitari o giornalisti), non fosse menzionata nell’elenco in coda al libro: alla fine ne uscirono soltanto due numeri.
Mi ha fatto molto piacere, dunque, vederla citata nella sua intervista da Giulia Sagramola.
Del resto, sappiamo di non aver perso tempo, ci basta e avanza essere stati tra le fonti d’ispirazione della giovanissima Rita Petruccioli (della quale parleremo prestissimo!)
Ma ben altro colpo ha subito il mio ego (nel senso della tentazione).
Ho apprezzato molto alla fine il dovuto riconoscimento al ruolo di Alberto Choukadarian, collezionista e in un certo modo mecenate contemporaneo, animato da una purissima passione per il medium fumetto (oltreché da una rara gentilezza d’animo).
Confesso che, essendo come ho già detto più volte per nulla esperto di fumetto, ho letto il libro anche per documentarmi meglio, considerando che mi capita sempre più spesso di scrivere dell’argomento.
Sono dunque scoppiato a ridere, credendo si parlasse di un omonimo, nel leggere l’intervista al gentilissimo Alberto.
Essere citati accanto a critici affermati mentre si legge un libro per documentarsi fa indubbiamente piacere.
Grazie.
In conclusione, un libro che consiglio a chiunque abbia a cuore il futuro, non solo il passato, del fumetto indipendente italiano.
Buona Lettura!
www.bobos.it, 18 marzo 2014 Meet Sara Pavan
Sara Pavan è una fuoriclasse, in tutti i sensi. Disegna fumetti, realizza cover per libri e cd, produce lettering, cura mostre ed esposizioni, scrive, studia medicina, organizza eventi ai quali arriva lei stessa in ritardo. E difficilmente delude.
Frutto della provincia pordenonese che tanto ha dato al fumetto recente italiano, è una continua fucina di idee. È l’anima fondatrice del progetto Ernest, e sostenitrice da sempre dell’autoproduzione italiana. Non a caso, è appena uscito il suo primo libro: Il potere sovversivo della carta: dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia (Agenzia X) nel quale intervista 12 protagonisti della scena indipendente, chiedendo loro com’era e com’è adesso il modo di fare “self comics”. Sara non ha un blog, ma potete seguirla in quello di Ernest, oppure sulla stessa pagina facebook del libro. (L’illustrazione in copertina non è sua, ma di Paper Resistance.)
Quanto a fumetti… l’unico difetto di Sara è che produce davvero troppo poco. Ma quando lo fa, regala sempre delle perle narrative. Impossibile dimenticare la storia breve contenuta nell’antologia “Resistenze” (Sherwood e Beccogiallo) dove tratta con una semplicità disarmante il tema della sessualità tra i più giovani. Oppure prendiamo tra le mani l’ultimo minicomic prodotto per Ernest, dove il protagonista della storia non è il ragazzo incontrato in treno, bensì il suo femore (e qui lo studio della medicina e i continui viaggi verso Trieste diventano lo spunto per un fumetto davvero ben confezionato con un’originale punto di vista). Resta dunque una sola domanda da porsi: quale sarà la prossima mossa di Sara?
di AlbertoFrutto della provincia pordenonese che tanto ha dato al fumetto recente italiano, è una continua fucina di idee. È l’anima fondatrice del progetto Ernest, e sostenitrice da sempre dell’autoproduzione italiana. Non a caso, è appena uscito il suo primo libro: Il potere sovversivo della carta: dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia (Agenzia X) nel quale intervista 12 protagonisti della scena indipendente, chiedendo loro com’era e com’è adesso il modo di fare “self comics”. Sara non ha un blog, ma potete seguirla in quello di Ernest, oppure sulla stessa pagina facebook del libro. (L’illustrazione in copertina non è sua, ma di Paper Resistance.)
Quanto a fumetti… l’unico difetto di Sara è che produce davvero troppo poco. Ma quando lo fa, regala sempre delle perle narrative. Impossibile dimenticare la storia breve contenuta nell’antologia “Resistenze” (Sherwood e Beccogiallo) dove tratta con una semplicità disarmante il tema della sessualità tra i più giovani. Oppure prendiamo tra le mani l’ultimo minicomic prodotto per Ernest, dove il protagonista della storia non è il ragazzo incontrato in treno, bensì il suo femore (e qui lo studio della medicina e i continui viaggi verso Trieste diventano lo spunto per un fumetto davvero ben confezionato con un’originale punto di vista). Resta dunque una sola domanda da porsi: quale sarà la prossima mossa di Sara?
www.fumettologica.it, 17 marzo 2014 Il potere sovversivo della carta (in dodici testimonianze)
Il 19 marzo, Agenzia X pubblica Il potere sovversivo della carta, a cura di Sara Pavan. Dodici interviste che insieme costituiscono un sorprendente viaggio attraverso la storia del fumetto indipendente in Italia negli ultimi dieci anni. Un percorso condotto attraverso le parole di alcuni tra i più noti autori contemporanei, nati artisticamente proprio a partire da pratiche di autoproduzione, per raccontare com’è cambiato il modo di fare fumetto in anni di grandi cambiamenti politici, sociali e culturali. Dall’evoluzione delle tecnologie, alla trasformazione delle nuove generazioni, al rapporto con la politica, sempre a partire dalla necessità di raccontare e di raccontarsi. Dodici interviste che costituiscono una preziosa testimonianza sul passaggio di epoca e sul modo di intendere le infinite potenzialità del fumetto.
Abbiamo selezionato alcuni passaggi dalle interviste realizzate da Sara Pavan ad Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki e Zerocalcare.Andrea Bruno
I ragazzi che si avvicinano oggi al fumetto mi sembrano molto bravi e preparati da un punto di vista tecnico. Partono subito a bomba, un fattore positivo, perché bisogna fare esperienza senza aspettare un’ipotetica legittimazione esterna. Un altro aspetto positivo è che ci sono molte più autrici, non solo in Italia, e la loro presenza porta nuovi input, smuovendo l’atteggiamento un po’ nerd degli uomini in generale. Ma, con le dovute eccezioni, mi pare che vengano curati principalmente gli aspetti esteriori, come confezione, grafica, promozione e comunicazione sui social network a scapito del lavoro sul segno e sulla narrazione. Sta succedendo anche nella musica, in generale nell’indie, in cui emerge un immaginario legato all’estetica del cute. È sicuramente anche questione di gusti. Io non amo l’estetica alla Wes Anderson ormai dominante, ma bisogna anche dire che vengo da un altro mondo, in cui quando si parlava di musica indie si intendevano i Fugazi o il noise rock, non l’indie pop svedese… proprio un’altra cosa.
Alessandro Baronciani
Raccontare è difficile e penso che si debba iniziare sempre partendo da qualcosa che ci riguarda. Non per forza autobiografico, ma con qualcosa di vicino. Nei corsi di fumetto che ho tenuto prima per gli studenti della Scuola del Libro di Urbino, e oggi per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, ho sempre riscontrato una grande resistenza al raccontare qualcosa di sé, si preferisce piuttosto una storia che appartenga ai nonni, o addirittura inventata, piuttosto che misurarsi con il proprio vissuto personale, anche fosse solo una delusione d’amore, perché è doloroso. Però sono convinto che sia un passo fondamentale per imparare a scrivere storie.
Giulia Sagramola
Adesso che chiunque può stampare i suoi fumetti in migliaia di copie, avere una rete sul territorio è importante e se si è in tanti è facile andare avanti senza ricorrere a un vero distributore. Inoltre diventa possibile essere presenti alle varie fiere di settore sparse per la penisola, dividendo equamente il carico economico e di impegno per partecipare anche a quegli eventi che danno solo rimborsi spese risicati o richiedono la partecipazione degli autori a titolo gratuito. Anche i nuovi collettivi infatti lavorano principalmente per realizzare libri che in qualche modo vanno fatti girare. In Italia non esiste una vera cultura dei contenuti web, un fumetto disegnato solo per la rete non viene ancora considerato pari a un libro stampato, anche il fatto che si debba trattare per forza di qualcosa di gratuito lo svaluta agli occhi del lettore. D’altro canto nell’underground far pagare qualcosa che è già online, è un po’ strano. E comunque fino a che non è anche su carta è come se non esistesse. All’estero invece è abbastanza comune vendere i propri fumetti in pdf.
Francesco Cattani
L’autoproduzione è un bene, ma è anche una trappola, è come Facebook, ti dà la possibilità di ricevere complimenti e commenti sul tuo lavoro, ma questi feedback rischiano di essere solo pacche sulle spalle. Pacche sulle spalle all’infinito. Forse bisognerebbe stare incollati al computer e promuovere sistematicamente ogni giorno il proprio lavoro sui social network, e magari pure produrre app e ebook dedicati (questi nuovi mezzi tra l’altro stanno modificando ed evolvendo il fumetto giorno dopo giorno, a dimostrazione di quanto questo linguaggio sia fresco e versatile e pieno di possibilità), rischiando però di preoccuparsi troppo di adattare il prodotto alle esigenze dei lettori, e questa sorta di marketing poco si sposa con l’approfondimento e la libertà di una ricerca artistica. L’autoproduzione si scopre con il passaparola, la ricevi dalle mani dell’autore e questo è bellissimo, è romantico, è un contatto umano vero. Ma con tirature bassissime e l’assenza di una vera distribuzione, dopo un anno un libro autoprodotto – per quanto valido – sarà già invisibile.
Tuono Pettinato
Il mio caso, rispetto a quello degli altri Super Amici, è diverso perché sono l’unico ad aver affiancato alla creazione autoriale superamicale una vera produzione commerciale, accettando per esempio di fare libri che cadessero in occasione di celebrazioni nazionali, come nel caso del libro su Garibaldi. Nel mio futuro vorrei continuare ad avere la capacità di rivolgermi a diversi tipi di pubblico, continuare a fare sia libri pop commerciali, come può essere considerato quello su Garibaldi (libri che potrebbero essere letti nelle scuole, che piaceranno anche a chi non arriva dall’underground e che anzi non ne conosce nemmeno l’esistenza) e parallelamente continuare a fare fumetti matti, sapendo che per questi ho a disposizione altri canali. Anche nel mio prodotto mainstream mescolo il livello alto e colto con quello basso e punk, solo che si tratta di storie e argomenti accessibili a tutti, quindi ha senso pubblicarle con un editore importante; le storie che invece sono frutto dei miei deliri, intrise magari di quel citazionismo che possono capire, sì e no, quattro persone, preferisco autoprodurle per curarle in un modo che sfugge alla standardizzazione.
Roberto La Forgia
Io lo dico: le autoproduzioni non dovrebbero esistere. Lo so, le ho fatte anch’io, sia a fumetti sia in video. La mia potrebbe sembrare una stupida provocazione, ma non lo è. Ora cerco di spiegare meglio questo concetto controverso. Al giorno d’oggi la distanza tra case editrici vere e autoproduzioni non si misura più nella quantità di copie o nella qualità di stampa. Tutto è accessibile a tutti e i giovani sono anche più preparati di quanto non lo fossimo noi a utilizzare strumenti e tecnologie che consentono di ottenere prodotti di fattura professionale. Ma secondo me, se nella vita uno vuole fare i fumetti, deve desiderare che la gente li legga. Spesso il destino delle autoproduzioni è di restare all’interno del circuito degli appassionati. Per arrivare veramente alla gente serve una struttura, un distributore, anche se il numero delle copie alla fine rientra nello stesso ordine di grandezza. Io a trent’anni non posso e non voglio pensarmi nel ruolo di ideatore, scrittore, sceneggiatore, disegnatore, curatore, stampatore e distributore del mio volume, perché le energie di cui dispongo non sono infinite.
Zerocalcare
Al giorno d’oggi, non solo tra i fumettisti, ma nella società in generale, c’è molta disillusione. Penso a me stesso tredici anni fa al G8 di Genova: ero convinto che la mia vita in qualche modo sarebbe cambiata in meglio insieme a quella di tutti gli altri, perché stavamo facendo qualcosa che credevamo potesse incidere davvero. Adesso ho molto più la percezione, con tutte le virgolette del caso, che nonostante i nostri sforzi, nella migliore delle ipotesi quella che otterremo sarà una riserva indiana: una comunità che cerca di resistere ai cambiamenti negativi in arrivo dall’esterno in cui si continuerà a vivere seguendo una serie di valori, ma senza una forza propulsiva. Penso che nella società italiana questo atteggiamento di disillusione sia evidente e che alla fine le storie che raccontano i nostri fumettisti ne siano lo specchio, anche quando si concentrano sui tormenti individuali disinteressandosi della politica.
MP5
Credo che fare fumetti in Italia, a meno che non ci si occupi di seriali ad alta tiratura, sia veramente un lavoro di merda, che tu sia uomo o donna. Innanzitutto perché non è un lavoro. Il massimo a cui puoi aspirare è che ti contatti una rivista generalista ad alta tiratura o un quotidiano nazionale e ti chieda di fare delle illustrazioni. Quindi alla fine lavori come illustratore o vignettista, non come fumettista, il tutto per avere i soldi per vivere mentre cerchi di fare anche i tuoi romanzi a fumetti. È una mosca bianca chi riesce a vivere di quello che incassa con i libri, bisogna raggiungere cifre mostruose in termini di copie vendute e i comuni mortali è già tanto se arrivano a mille e cinquecento copie a titolo. Fare fumetti, contrariamente a quanto pensavo dieci anni fa, è chiaramente un terno al lotto, come fare lo scrittore, rientra tra quelle attività utopiche che è difficile chiamare “mestieri”. Fare fumetti vuol dire pensare, scrivere sceneggiature, disegnare, buttare pagine e pagine che non funzionano: richiede una dedizione e un impegno che non sono equamente ricompensati.
Amanda Vähämäki
Ho bisogno di fare fumetti per puro piacere, e per me ora le autoproduzioni sono questo: un divertimento. Quando è cominciato “Canicola”, anche se non eravamo degli editori, il tormentone era: “Dobbiamo diventare professionali”, perché solo così la gente ci avrebbe presi sul serio. All’epoca gli appuntamenti dei vari festival erano l’occasione per far uscire nuovi numeri della rivista e nessuno a parte “Canicola” mi chiedeva dei fumetti: dovevo per forza rispettare quelle scadenze altrimenti non avrei combinato niente. Ma adesso ho questo progettino con Roope, si chiama Petomies, e pubblichiamo le nostre cose. Non mi importa nemmeno più di tanto di andare ai festival, a vent’anni mi sembrava di doverci andare per forza, altrimenti mi sarei persa qualcosa. Adesso vado principalmente a quello di Helsinki e poi dove mi invitano, ovviamene ci sono anche altri eventi durante l’anno a cui non posso mancare ma il festival di Helsinki è l’unico appuntamento fisso.
Alessandro Tota
In Italia quando io avevo vent’anni ci si autoproduceva per un’urgenza personale fortissima, con attitudine punk, decisamente più grezza. Adesso l’atmosfera è cambiata, però fino a qualche anno fa le fanzine erano ancora tutte fatte alla cazzo, contava il forte bisogno di esprimersi. Questo era determinato anche dalla ristrettezza dei mezzi: a parte forbici, colla, cucitrice e fotocopiatrice non c’erano molti altri strumenti alla portata di tutti. Partendo dalle prime esperienze con “Aneurisma”, passando per “Canicola” fino a quando ho iniziato a lavorare al mio primo libro a fumetti, Yeti, ho sempre trovato energia nei gruppi, a costo però di sacrificarvi parte della mia identità. Solo quando mi sono trasferito a Parigi, con la grande solitudine che comporta arrivare in una città straniera, ho cominciato a trovare la mia voce. Ora, se mi capita di collaborare con una rivista autoprodotta come “Papier Gaché” o di progettare un libro con uno dei colleghi con cui ho preso in affitto un atelier, non è più un compromesso, ma finalmente una scelta per il puro piacere di creare qualcosa assieme. Non ci si può limitare a consumare, il vero divertimento è nel fare le cose!
Romina Pelagatti
Qualcuno si è stupito che io, italiana, abbia trovato terreno fertile in Francia per diventare autrice, fondare una rivista e organizzare un piccolo festival, forse perché dall’Italia c’è questa visione della Francia come il paradiso del fumetto, e pare strano di nuovo che debbano arrivare a Parigi tre personaggi da barzelletta perché nasca un vero festival della fanzine nella capitale di Francia. Secondo me la chiave di tutto è stata il nostro essere outsider. Gli altri italiani che arrivano qui ci vengono per fare i fumettisti con le case editrici, io non avevo quello scopo, e soprattutto sono arrivata da ragazzina, senza alcuna vera esperienza alle spalle, senza contatti di alcun tipo. Mi sono dovuta dare da fare per creare il mio spazio, per rendere Parigi la mia città. Nel panorama francese “Papier Gaché” è davvero sui generis, nel suo piccolo ovviamente. In Francia il mondo dell’arte è molto strutturato, un po’ come la pornografia: è tutto diviso in categorie, e in un certo senso noi siamo quelli che non hanno preso posizione, che non hanno voluto scegliere tra il fumetto e l’illustrazione, che hanno messo tutto sullo stesso piano.
Strane Dizioni
Abbiamo iniziato Strane Dizioni un po’ per caso e poi ci siamo fatti travolgere, ma l’autoproduzione e la ricerca hanno sempre fatto parte della nostra vita e la pervadono totalmente. L’approccio di ricerca è un modo per essere curiosi nei confronti del mondo in senso lato. Marzia per esempio esplora molto in ambito gastronomico, grafico e teatrale, Enrico nel campo musicale. In generale non ci siamo mai accontentati della prima versione delle cose; anche incappandoci per caso, se ti scontri con la seconda versione ti accorgi che può essere molto più interessante.
Abbiamo selezionato alcuni passaggi dalle interviste realizzate da Sara Pavan ad Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki e Zerocalcare.Andrea Bruno
I ragazzi che si avvicinano oggi al fumetto mi sembrano molto bravi e preparati da un punto di vista tecnico. Partono subito a bomba, un fattore positivo, perché bisogna fare esperienza senza aspettare un’ipotetica legittimazione esterna. Un altro aspetto positivo è che ci sono molte più autrici, non solo in Italia, e la loro presenza porta nuovi input, smuovendo l’atteggiamento un po’ nerd degli uomini in generale. Ma, con le dovute eccezioni, mi pare che vengano curati principalmente gli aspetti esteriori, come confezione, grafica, promozione e comunicazione sui social network a scapito del lavoro sul segno e sulla narrazione. Sta succedendo anche nella musica, in generale nell’indie, in cui emerge un immaginario legato all’estetica del cute. È sicuramente anche questione di gusti. Io non amo l’estetica alla Wes Anderson ormai dominante, ma bisogna anche dire che vengo da un altro mondo, in cui quando si parlava di musica indie si intendevano i Fugazi o il noise rock, non l’indie pop svedese… proprio un’altra cosa.
Alessandro Baronciani
Raccontare è difficile e penso che si debba iniziare sempre partendo da qualcosa che ci riguarda. Non per forza autobiografico, ma con qualcosa di vicino. Nei corsi di fumetto che ho tenuto prima per gli studenti della Scuola del Libro di Urbino, e oggi per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, ho sempre riscontrato una grande resistenza al raccontare qualcosa di sé, si preferisce piuttosto una storia che appartenga ai nonni, o addirittura inventata, piuttosto che misurarsi con il proprio vissuto personale, anche fosse solo una delusione d’amore, perché è doloroso. Però sono convinto che sia un passo fondamentale per imparare a scrivere storie.
Giulia Sagramola
Adesso che chiunque può stampare i suoi fumetti in migliaia di copie, avere una rete sul territorio è importante e se si è in tanti è facile andare avanti senza ricorrere a un vero distributore. Inoltre diventa possibile essere presenti alle varie fiere di settore sparse per la penisola, dividendo equamente il carico economico e di impegno per partecipare anche a quegli eventi che danno solo rimborsi spese risicati o richiedono la partecipazione degli autori a titolo gratuito. Anche i nuovi collettivi infatti lavorano principalmente per realizzare libri che in qualche modo vanno fatti girare. In Italia non esiste una vera cultura dei contenuti web, un fumetto disegnato solo per la rete non viene ancora considerato pari a un libro stampato, anche il fatto che si debba trattare per forza di qualcosa di gratuito lo svaluta agli occhi del lettore. D’altro canto nell’underground far pagare qualcosa che è già online, è un po’ strano. E comunque fino a che non è anche su carta è come se non esistesse. All’estero invece è abbastanza comune vendere i propri fumetti in pdf.
Francesco Cattani
L’autoproduzione è un bene, ma è anche una trappola, è come Facebook, ti dà la possibilità di ricevere complimenti e commenti sul tuo lavoro, ma questi feedback rischiano di essere solo pacche sulle spalle. Pacche sulle spalle all’infinito. Forse bisognerebbe stare incollati al computer e promuovere sistematicamente ogni giorno il proprio lavoro sui social network, e magari pure produrre app e ebook dedicati (questi nuovi mezzi tra l’altro stanno modificando ed evolvendo il fumetto giorno dopo giorno, a dimostrazione di quanto questo linguaggio sia fresco e versatile e pieno di possibilità), rischiando però di preoccuparsi troppo di adattare il prodotto alle esigenze dei lettori, e questa sorta di marketing poco si sposa con l’approfondimento e la libertà di una ricerca artistica. L’autoproduzione si scopre con il passaparola, la ricevi dalle mani dell’autore e questo è bellissimo, è romantico, è un contatto umano vero. Ma con tirature bassissime e l’assenza di una vera distribuzione, dopo un anno un libro autoprodotto – per quanto valido – sarà già invisibile.
Tuono Pettinato
Il mio caso, rispetto a quello degli altri Super Amici, è diverso perché sono l’unico ad aver affiancato alla creazione autoriale superamicale una vera produzione commerciale, accettando per esempio di fare libri che cadessero in occasione di celebrazioni nazionali, come nel caso del libro su Garibaldi. Nel mio futuro vorrei continuare ad avere la capacità di rivolgermi a diversi tipi di pubblico, continuare a fare sia libri pop commerciali, come può essere considerato quello su Garibaldi (libri che potrebbero essere letti nelle scuole, che piaceranno anche a chi non arriva dall’underground e che anzi non ne conosce nemmeno l’esistenza) e parallelamente continuare a fare fumetti matti, sapendo che per questi ho a disposizione altri canali. Anche nel mio prodotto mainstream mescolo il livello alto e colto con quello basso e punk, solo che si tratta di storie e argomenti accessibili a tutti, quindi ha senso pubblicarle con un editore importante; le storie che invece sono frutto dei miei deliri, intrise magari di quel citazionismo che possono capire, sì e no, quattro persone, preferisco autoprodurle per curarle in un modo che sfugge alla standardizzazione.
Roberto La Forgia
Io lo dico: le autoproduzioni non dovrebbero esistere. Lo so, le ho fatte anch’io, sia a fumetti sia in video. La mia potrebbe sembrare una stupida provocazione, ma non lo è. Ora cerco di spiegare meglio questo concetto controverso. Al giorno d’oggi la distanza tra case editrici vere e autoproduzioni non si misura più nella quantità di copie o nella qualità di stampa. Tutto è accessibile a tutti e i giovani sono anche più preparati di quanto non lo fossimo noi a utilizzare strumenti e tecnologie che consentono di ottenere prodotti di fattura professionale. Ma secondo me, se nella vita uno vuole fare i fumetti, deve desiderare che la gente li legga. Spesso il destino delle autoproduzioni è di restare all’interno del circuito degli appassionati. Per arrivare veramente alla gente serve una struttura, un distributore, anche se il numero delle copie alla fine rientra nello stesso ordine di grandezza. Io a trent’anni non posso e non voglio pensarmi nel ruolo di ideatore, scrittore, sceneggiatore, disegnatore, curatore, stampatore e distributore del mio volume, perché le energie di cui dispongo non sono infinite.
Zerocalcare
Al giorno d’oggi, non solo tra i fumettisti, ma nella società in generale, c’è molta disillusione. Penso a me stesso tredici anni fa al G8 di Genova: ero convinto che la mia vita in qualche modo sarebbe cambiata in meglio insieme a quella di tutti gli altri, perché stavamo facendo qualcosa che credevamo potesse incidere davvero. Adesso ho molto più la percezione, con tutte le virgolette del caso, che nonostante i nostri sforzi, nella migliore delle ipotesi quella che otterremo sarà una riserva indiana: una comunità che cerca di resistere ai cambiamenti negativi in arrivo dall’esterno in cui si continuerà a vivere seguendo una serie di valori, ma senza una forza propulsiva. Penso che nella società italiana questo atteggiamento di disillusione sia evidente e che alla fine le storie che raccontano i nostri fumettisti ne siano lo specchio, anche quando si concentrano sui tormenti individuali disinteressandosi della politica.
MP5
Credo che fare fumetti in Italia, a meno che non ci si occupi di seriali ad alta tiratura, sia veramente un lavoro di merda, che tu sia uomo o donna. Innanzitutto perché non è un lavoro. Il massimo a cui puoi aspirare è che ti contatti una rivista generalista ad alta tiratura o un quotidiano nazionale e ti chieda di fare delle illustrazioni. Quindi alla fine lavori come illustratore o vignettista, non come fumettista, il tutto per avere i soldi per vivere mentre cerchi di fare anche i tuoi romanzi a fumetti. È una mosca bianca chi riesce a vivere di quello che incassa con i libri, bisogna raggiungere cifre mostruose in termini di copie vendute e i comuni mortali è già tanto se arrivano a mille e cinquecento copie a titolo. Fare fumetti, contrariamente a quanto pensavo dieci anni fa, è chiaramente un terno al lotto, come fare lo scrittore, rientra tra quelle attività utopiche che è difficile chiamare “mestieri”. Fare fumetti vuol dire pensare, scrivere sceneggiature, disegnare, buttare pagine e pagine che non funzionano: richiede una dedizione e un impegno che non sono equamente ricompensati.
Amanda Vähämäki
Ho bisogno di fare fumetti per puro piacere, e per me ora le autoproduzioni sono questo: un divertimento. Quando è cominciato “Canicola”, anche se non eravamo degli editori, il tormentone era: “Dobbiamo diventare professionali”, perché solo così la gente ci avrebbe presi sul serio. All’epoca gli appuntamenti dei vari festival erano l’occasione per far uscire nuovi numeri della rivista e nessuno a parte “Canicola” mi chiedeva dei fumetti: dovevo per forza rispettare quelle scadenze altrimenti non avrei combinato niente. Ma adesso ho questo progettino con Roope, si chiama Petomies, e pubblichiamo le nostre cose. Non mi importa nemmeno più di tanto di andare ai festival, a vent’anni mi sembrava di doverci andare per forza, altrimenti mi sarei persa qualcosa. Adesso vado principalmente a quello di Helsinki e poi dove mi invitano, ovviamene ci sono anche altri eventi durante l’anno a cui non posso mancare ma il festival di Helsinki è l’unico appuntamento fisso.
Alessandro Tota
In Italia quando io avevo vent’anni ci si autoproduceva per un’urgenza personale fortissima, con attitudine punk, decisamente più grezza. Adesso l’atmosfera è cambiata, però fino a qualche anno fa le fanzine erano ancora tutte fatte alla cazzo, contava il forte bisogno di esprimersi. Questo era determinato anche dalla ristrettezza dei mezzi: a parte forbici, colla, cucitrice e fotocopiatrice non c’erano molti altri strumenti alla portata di tutti. Partendo dalle prime esperienze con “Aneurisma”, passando per “Canicola” fino a quando ho iniziato a lavorare al mio primo libro a fumetti, Yeti, ho sempre trovato energia nei gruppi, a costo però di sacrificarvi parte della mia identità. Solo quando mi sono trasferito a Parigi, con la grande solitudine che comporta arrivare in una città straniera, ho cominciato a trovare la mia voce. Ora, se mi capita di collaborare con una rivista autoprodotta come “Papier Gaché” o di progettare un libro con uno dei colleghi con cui ho preso in affitto un atelier, non è più un compromesso, ma finalmente una scelta per il puro piacere di creare qualcosa assieme. Non ci si può limitare a consumare, il vero divertimento è nel fare le cose!
Romina Pelagatti
Qualcuno si è stupito che io, italiana, abbia trovato terreno fertile in Francia per diventare autrice, fondare una rivista e organizzare un piccolo festival, forse perché dall’Italia c’è questa visione della Francia come il paradiso del fumetto, e pare strano di nuovo che debbano arrivare a Parigi tre personaggi da barzelletta perché nasca un vero festival della fanzine nella capitale di Francia. Secondo me la chiave di tutto è stata il nostro essere outsider. Gli altri italiani che arrivano qui ci vengono per fare i fumettisti con le case editrici, io non avevo quello scopo, e soprattutto sono arrivata da ragazzina, senza alcuna vera esperienza alle spalle, senza contatti di alcun tipo. Mi sono dovuta dare da fare per creare il mio spazio, per rendere Parigi la mia città. Nel panorama francese “Papier Gaché” è davvero sui generis, nel suo piccolo ovviamente. In Francia il mondo dell’arte è molto strutturato, un po’ come la pornografia: è tutto diviso in categorie, e in un certo senso noi siamo quelli che non hanno preso posizione, che non hanno voluto scegliere tra il fumetto e l’illustrazione, che hanno messo tutto sullo stesso piano.
Strane Dizioni
Abbiamo iniziato Strane Dizioni un po’ per caso e poi ci siamo fatti travolgere, ma l’autoproduzione e la ricerca hanno sempre fatto parte della nostra vita e la pervadono totalmente. L’approccio di ricerca è un modo per essere curiosi nei confronti del mondo in senso lato. Marzia per esempio esplora molto in ambito gastronomico, grafico e teatrale, Enrico nel campo musicale. In generale non ci siamo mai accontentati della prima versione delle cose; anche incappandoci per caso, se ti scontri con la seconda versione ti accorgi che può essere molto più interessante.
osservatoriesterni.it, 17 marzo 2014 Il potere sovversivo della carta
Come sta il fumetto indipendente in Italia?
A vedere, e leggere i numerosi autori che si sono susseguiti negli anni, direi benissimo. Gente come Alessandro Baronciani, Tuono Pettinato, Roberto La Forgia, Alessandro Tota, Giulia Sagramola e, senza dimenticare l'asso pigliatutto Zerocalcare hanno reso vitale un panorama indipendente quanto mai in constante evoluzione e cambiamento.
Il potere sovversivo della carta si propone di donare al lettore un'istantanea su ben dieci anni di autoproduzione nel magico mondo della nona arte tricolore. Messo in piedi da Sara Pavan e pubblicato da Agenzia X, un prezioso volumetto in dodici interviste ad altrettanti autori per raccontare il cambiamento del modo di fare fumetto. A partire dalla necessità crescente di raccontare e raccontarsi, passando per la volontà di fornire uno sguardo generazionale sulla nostra società, fino al cambiamento delle tecnologie e delle modalità di realizzazione.
Insomma, in poche parole lo stato delle cose di un microcosmo artistico in ottima salute!
In uscita il prossimo 19 Marzo, con interviste a: Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki e Zerocalcare.
di Marco TonelliA vedere, e leggere i numerosi autori che si sono susseguiti negli anni, direi benissimo. Gente come Alessandro Baronciani, Tuono Pettinato, Roberto La Forgia, Alessandro Tota, Giulia Sagramola e, senza dimenticare l'asso pigliatutto Zerocalcare hanno reso vitale un panorama indipendente quanto mai in constante evoluzione e cambiamento.
Il potere sovversivo della carta si propone di donare al lettore un'istantanea su ben dieci anni di autoproduzione nel magico mondo della nona arte tricolore. Messo in piedi da Sara Pavan e pubblicato da Agenzia X, un prezioso volumetto in dodici interviste ad altrettanti autori per raccontare il cambiamento del modo di fare fumetto. A partire dalla necessità crescente di raccontare e raccontarsi, passando per la volontà di fornire uno sguardo generazionale sulla nostra società, fino al cambiamento delle tecnologie e delle modalità di realizzazione.
Insomma, in poche parole lo stato delle cose di un microcosmo artistico in ottima salute!
In uscita il prossimo 19 Marzo, con interviste a: Alessandro Baronciani, Andrea Bruno, Francesco Cattani, Roberto La Forgia, MP5, Romina Pelagatti, Giulia Sagramola, Strane Dizioni, Alessandro Tota, Tuono Pettinato, Amanda Vähämäki e Zerocalcare.
Radio Città del Capo, 10 marzo 2014 Dieci anni di autoproduzione: un libro racconta il diy a fumetti
Un anno fa, Sara Pavan – fumettista e fondatrice del collettivo artistico Ernestvirgola – ha deciso di intraprendere un viaggio per lo stivale durante il quale avrebbe incontrato diversi giovani fumettisti; importanti non solo per la scena del fumetto italiana, ma anche e soprattutto per quella delle autoproduzioni a fumetti. Da questo anno di ricerca, incontri e interviste è nato Il potere sovversivo della carta. Dieci anni di fumetti autoprodotti in Italia, edito da Agenzia X e in uscita in libreria il prossimo 19 marzo.
Le quasi trecento pagine che compongono il volume, scandite da dodici interviste in forma narrativa ad altrettanti fumettisti, vanno a mettere il primo importante mattone in quella che potrebbe essere la mappature delle autoproduzioni artistiche in Italia, partendo da un focus molto preciso: la generazione che ha autoprodotto dalla fine degli anni novanta ad ora.
I temi toccati e gli spunti di riflessione sono tanti e stimolanti: si va dall’avvento di internet alla capacità di fare rete, dai festival diy alle prime riviste autoprodotte, dal dibattito sull’estetica diy all’importanza della carta, da una ideale geografia italiana dell’autoproduzione al dilagare delle produzioni nostrane in altri continenti. Uno sguardo lucido che, anche grazie alla postfazione di Daniele Brolli e ad una ricca appendice, restituisce anche l’idea politica del fare autoproduzione, partendo proprio dalle differenze sostanziali rispetto alle prime autoproduzioni della scena punk-antagonista degli anni settanta.
Un libro assolutamente consigliato per gli amanti del settore ma anche per chi si volesse avvicinare per la prima volta al (nuovo) mondo delle autoproduzioni a fumetti.
Ascolta qui l’intervista a Sara Pavan durante la puntata del programma di cultura indipendente e underground Palomar Rcdc in onda ogni lunedì dalle 17 alle 18 su Radio Città del Capo
di Palomar RcdcLe quasi trecento pagine che compongono il volume, scandite da dodici interviste in forma narrativa ad altrettanti fumettisti, vanno a mettere il primo importante mattone in quella che potrebbe essere la mappature delle autoproduzioni artistiche in Italia, partendo da un focus molto preciso: la generazione che ha autoprodotto dalla fine degli anni novanta ad ora.
I temi toccati e gli spunti di riflessione sono tanti e stimolanti: si va dall’avvento di internet alla capacità di fare rete, dai festival diy alle prime riviste autoprodotte, dal dibattito sull’estetica diy all’importanza della carta, da una ideale geografia italiana dell’autoproduzione al dilagare delle produzioni nostrane in altri continenti. Uno sguardo lucido che, anche grazie alla postfazione di Daniele Brolli e ad una ricca appendice, restituisce anche l’idea politica del fare autoproduzione, partendo proprio dalle differenze sostanziali rispetto alle prime autoproduzioni della scena punk-antagonista degli anni settanta.
Un libro assolutamente consigliato per gli amanti del settore ma anche per chi si volesse avvicinare per la prima volta al (nuovo) mondo delle autoproduzioni a fumetti.
Ascolta qui l’intervista a Sara Pavan durante la puntata del programma di cultura indipendente e underground Palomar Rcdc in onda ogni lunedì dalle 17 alle 18 su Radio Città del Capo