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Dalla parte del torto
Alias – il manifesto, 27 marzo 2021Dalla parte del torto
Vulcanica Agenzia X! La Casa editrice con un caricatore che non si inceppa sta mandando in libreria decine di libri magnifici. I due che vi presentiamo sono letture irrinunciabili. Dome la Muerte, coadiuvato da Pablito el Drito, ha scritto una biografia che – come disse Ginsberg del Pasto nudo di Burroughs – farà perdere a tutti la testa, si tratta di Dalla parte del torto. Una storia Hippie, punk e rave. Dome ha una faccia bellissima (la splendida copertina lo dimostra): una mappa esistenziale. Immaginate un’entità tra Nessuno e William Blake, protagonisti di Dead Man di Jarmusch, e la colonna sonora di Neil Young dello stesso film, ecco Dome è l’incarnazione di questa fusione visionaria. Chi, per questioni di età, non conosce i Cheetah Chrome Motherfuckers e i Not Moving, due gruppi che hanno fatto storia, ha qui la chiave che apre mondi. Punk, nativi americani, leggende come Nico, chitarre elettriche e distorsori. Mai stanco di sperimentazioni, Dome racconta vita, incontri, ideali (splendida eretica coerenza), i suoi dischi con i nuovi gruppi o in solitaria. Avrebbe potuto scrivere un trattato dal titolo «Filosofia del distorsore» ci ha regalato invece il racconto della sua vita, che è poi la stessa cosa! Anche l’altro titolo è “filosofico”, ha lo stesso peso emozionale dell’ibridazione tra un libro di Donna Haraway e un film di Cronenberg. Si tratta della storia dei mitici Mutoid Waste Company. È, a livello mondiale, la prima biografia-catalogo (con foto) di questo gruppo senza confini che ha contribuito a cambiare l’immaginario di almeno un paio di generazioni, mettendo in discussione i canoni di arte, teatro, azione politica. Mutate or die. In viaggio con la Mutoid Waste Company scritto da Rote Zora, appassionata di controculture e situazionismo, intreccia le testimonianze di fondatori e fiancheggiatori, dalla Londra thatcheriana a Mutonia di Santarcangelo di Romagna, da Berlino al mondo. Attraverso le loro enormi sculture in movimento (party visionario tra le macchine di Tinguely e le illustrazioni di Giger) ad alto contenuto distopico, recuperando materiali di scarto, mettono in discussione il capitalismo e i suoi disastri ambientali e psichici, e propongono la loro m/utopia.
di Marc Tibaldi
Il Tirreno, 28 febbraio 2021 Noi musicisti fuori dal coro ora siamo ridotti alla fame
Dome la Muerte, icona del punk hardcore anni ’80, si racconta in un libro e gli amici lanciano una raccolta di firme per i benefici della legge Bacchelli

All’inizio degli anni Ottanta, nel rock esplode l’hardcore, una versione più veloce, violenta e rumorosa del punk-rock. La Toscana risponde con luoghi simbolo come il circolo pisano Victor Charlie e band come i Cheetah Chrome Motherfuckers, in cui milita un ancora giovanissimo Dome la Muerte, al secolo Domenico Petrosino: pisano, classe 1958, abile chitarrista e un aspetto inconfondibile per via dell’alta statura associata a una minacciosa magrezza. In seguito entrerà nei Not Moving, tra le principali espressioni del garage-rock italiano, fonderà gli Hush e i Diggers, si affermerà come dj e diventerà anche il personaggio di un film, “Nico” di Susanna Nicchiarelli. Un’autentica icona del “sex & drugs & rock’n’roll”, molto stimato anche oltreoceano, come certificato nella bella autobiografia pubblicata da Agenzia X Dalla parte del torto. Una storia hippie punk e rave, scritta con l’aiuto di Pablito el Drito.
Oggi Dome è in gravi difficoltà economiche, tanto che è partita una petizione – che si può firmare sul sito change.org – per fargli ottenere il vitalizio previsto dalla Legge Bacchelli. «È stata un’idea di alcuni cari amici – spiega Dome – Spero serva anche per aprire una porta per altri musicisti in difficoltà in un settore abbandonato a se stesso e con grossi problemi aggravati dalla pandemia. Magari non riempiamo gli stadi, ma dietro a un nostro live ci sono tecnici, locali e agenzie che stanno facendo la fame come noi. È una vera tragedia. Ho gli incubi: l’altra notte ho sognato che ero sul palco e mi si rompeva il manico della chitarra mentre suonavo! Ma cerco di darmi da fare. Oltre a concerti e dj set in streaming, sto lavorando a tre dischi e ho imparato a fare dei bellissimi collage su tela».

Si sente davvero “dalla parte del torto”?
«No, ma così mi hanno sempre fatto sentire e oggi, a 63 anni, la situazione non è cambiata».

Come sono stati i suoi inizi nella musica?
«Già a 12 anni avevo visto i primi concerti beat e rock e suonavo la chitarra. Erano gli anni Settanta, al cinema Odeon a Pisa proiettavano film su Jimi Hendrix, The Who, David Bowie, Bob Dylan e io volevo essere come loro. Mi ci son trovato dentro fino al collo senza accorgermene e quel fuoco, per fortuna, brucia ancora. Poi, negli anni Ottanta, a Pisa c’era tanta energia, creatività e la voglia di cambiare il mondo. Nonostante sia una città di provincia, è sempre stata all’avanguardia nell’arte e nella cultura. Oggi, pur non avendo un grande feeling con la tecnologia, mi rendo conto che tutto è più veloce. Però c’è un prezzo da pagare. Noi comunicavamo con telefoni fissi, per posta o via fax, ma i rapporti erano sicuramente più umani. Ad esempio, suonammo con The Clash grazie ad un amico, Eddie King, che realizzava le copertine dei loro Lp e ci chiamò all’ultimo minuto. Fu un’esperienza indimenticabile».

Cosa non rifarebbe?
«Cercherei di essere meno distratto e di non farmi fregare. A causa di inevitabili periodi di tormento, non sempre ho fatto scelte lucide o ponderate. Anche nella vita privata cercherei di fare meno casini. Ma le scelte artistiche le rifarei tutte».

Come mai è mancato il salto verso una maggiore popolarità?
«Con i Not Moving, negli anni ’80, ci proposero un contratto discografico con una major, ma rifiutammo, perché le clausole includevano la vendita dell’anima. Del resto, chi ha cambiato strada ha dovuto rivoluzionare la propria musica e cambiare approccio ed obiettivi. La mia insofferenza verso ogni forma di autorità non mi ha mai aiutato a digerire quel tipo di situazioni».

Nel libro ci sono mille aneddoti e si parla anche dell’incontro con Nico, ex cantante dei Velvet Underground.
«All’epoca avevo 26 anni e lei 46. L’agenzia mi chiese se potevo ospitarla a casa mia per qualche giorno. A distanza di tempo, capisco quanto per me sia stato importante conoscere un’artista di quello spessore, passarci alcuni giorni insieme e condividere ideali, sofferenze e sogni. Quando le chiedevo se potevo farle qualche foto mi rispondeva molto gentilmente: “Sì, certo. Dammi solo un attimo per truccarmi”. Mi faceva davvero una grande tenerezza».
di Guido Siliotto
www.rockgarage.it, febbraio 2021Dalla parte del torto
“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.” Firmato Bertolt Brecht.
Ma che cos’hanno in comune il drammaturgo, poeta, regista teatrale e saggista tedesco con una storia “hippie punk e rave” dove il protagonista dichiara: “Un giorno volevo incidermi la pelle con la scritta Born to lose, ma poi il tatuatore mi ha detto: ‘Già la sfiga viene da sola, perché tirarsela?’. Così abbiamo scelto It’s only rock’n’roll”? Nulla, se non il coraggio delle proprie idee. E scusate se è poco. Ma è proprio Dalla parte del torto – come recita il titolo della sua autobiografia – che Dome la Muerte (all’anagrafe Domenico Petrosino, pisano, classe 1958) ha deciso di stare. E di rimanere. Buttato giù a quattro mani con Pablito el Drito (Pablo Pistolesi, nato a Milano nel 1974), attivista, storico delle controculture e dj, e pubblicato da Agenzia X, il volume ripercorre il tracciato umano e artistico di Dome, “leggendario chitarrista che appartiene a quel minuscolo commando di ribelli senza causa nati nel boom economico e sopravvissuti ai propri coetanei debosciati”, riporta la quarta di copertina, definito altresì “professionista della provocazione e seminatore di zizzanie”. Niente di originale, direte voi. Oltremodo, la copertina del libro, se osservata da lontano, potrebbe indurre a pensare all’ennesima bio – sempre ben accetta, sia chiaro – su uno dei membri dei Ramones.
Se siete per le letture “facili” proseguite oltre, c’è tanto per voi in giro. Se invece siete curiosi o, meglio ancora, avidi di conoscenza per tutto ciò che abbraccia (qui, quasi, stritola) le controculture, la stagione hippie, il glam rock, le derive del punk e tanto altro, conoscere la storia di Dome – cofondatore dei pisani CCM (Cheetah Chrome Motherfuckers), band di riferimento dell’hardcore nostrano, mentre con i piacentini Not Moving ha suonato sul palco con artisti del calibro di Clash (“il 1984 fu un anno cruciale per la musica, perché ebbi una serie di gran botte di culo: la prima fu la possibilità di dividere il palco con i Clash”, ricorda), Iggy Pop, Nick Cave, Johnny Thunders – fa davvero per voi. Cantautore e disc-jockey, ma soprattutto abile a far sterzare la chitarra e a impugnarla a mo’ di ramazza per spazzare via chi voleva svendere la sua arte in favore del mero business (oggi, invece, può ammettere che “per tutte le etichette con cui ho lavorato negli ultimi anni la passione e la qualità del progetto vengono prima del profitto”), Dome è un artista con gli attributi, uno degli ultimi sognatori, una voce (più che irriverente) fuori dal coro che in Dalla parte del torto viene messa nero su bianco dall’autore insieme al “pusher di libri” Pablito el Drito, grande fan e (soprattutto) amico del “nostro”.
Ricco di suggestivi scatti in bianco e nero (che lo ritraggono tanto in pubblico quanto in privato) – e la scelta di inserire le foto in coda al libro evita nella lettura qualsivoglia “distrazione” – questo volume ripercorre, attraverso un racconto snello e puntuale, senza se e senza ma, l’universo incredibile (ma che ne sappiamo, noi? Sarebbe stato da viverlo) di Dome, caratterizzato da migliaia di live (e di chilometri macinati) sudati fino a disidratarsi, massacranti registrazioni in studio, sostanze psicoattive al limite dell’umana sopportazione. E ancora, feste notturne giunte al capolinea solo grazie all’arrivo (o per colpa, diranno alcuni) delle forze dell’ordine, arresti, processi, scazzottate finite al pronto soccorso, sesso a go-go. Per non parlare degli incredibili incontri con il poeta beat Allen Ginsberg, con il frontman degli inarrivabili Clash, Joe Strummer con il poeta militante cheyenne Lance Henson, tra le grandi voci della letteratura a stelle e strisce contemporanea.
“Da bimbo mi mandarono all’asilo dalle suore, dove sperimentai per la prima volta cosa significa essere nella merda fino al collo. Infatti correndo caddi nella buca di un pozzo nero, perché avevano lasciato inavvertitamente scoperchiato il tombino. Anche se per fortuna mi tirarono fuori subito, fu comunque troppo tardi”, ricorda Dome in apertura di una biografia che trasuda polvere, sudore, piscio e sangue. Una corsa ininterrotta, la sua, talvolta con il fiato corto ma senza mai mollare. Figlio, marito, padre e artista eroico ed ironico, turbolento e contradditorio. Tenero, a suo modo. Per i non convenzionali citofonare Dome la Muerte.
di Massimo Canorro
www.kulturjam.it, 2 febbraio 2021Dome la Muerte: sempre dalla parte del torto
Dome è un’icona del rock italiano che ha fatto del rock’n’roll il suo stile di vita. Attraverso la sua storia nel libro Dalla parte del torto, ripercorriamo le varie scene musicali: hippie, punk, post-punk e rave di cui Domenico Petrosino, in arte Dome la Muerte è stato un indiscusso protagonista. Da qualche mese, per aiutare l’artista toscano in difficoltà per il lockdown, è in atto una petizione su Change.org, in cui si chiede l’applicazione della legge Bacchelli per permettere al chitarrista di usufruire dei contributi vitalizi. Il fatto potrebbe costituire un precedente in Italia per il riconoscimento della musica rock a livello istituzionale.

Dome La Muerte, come sta andando la petizione per il vitalizio?
Mancano 180 firme per arrivare a 5000. Il primo step erano 2000 firme che sono state raccolte nel giro di una settimana. Questo è il secondo step. Sto aspettando dei video appelli da mettere nella mia pagina Facebook, da parte di personaggi famosi dell’ambiente musicale. Alcuni me li hanno già mandati. Spero grazie a dei personaggi noti ci si arrivi.
È un po’ per aprire una porta e sollevare un polverone sulla scena, che è nella merda in questo periodo. Non abbiamo niente, non abbiamo un sindacato, non abbiamo un contratto nazionale, ma non è una cosa semplice. Il vitalizio lo danno ai poeti, scrittori, attori…

Il lockdown ti ha molto penalizzato perché avevi tanti gruppi coi quali suonavi.
Si, per un po’ ho campato coi soldi della Siae. Con quello che ho fatto l’estate scorsa e con un po’ d’aiuto da parte di amici. C’è poco da fare se non posso suonare e fare il disc jockey. Ora mi hanno commissionato della musica per un teatro che fanno alla radio, in cui devo fare delle piccole colonne sonore. Sto facendo dei lavoretti, ma rispetto a quello che facevo prima, faccio poco.
Sto registrando un po’ di cose in studio per i Not Moving e devo fare un disco con gli Exp, ma lo studio è a Livorno e non mi posso muovere dalla provincia quindi il lavoro è bloccato. Per fortuna, quello coi Not Moving è con lo studio a Cascina, nel mio stesso comune. Registro col metronomo in cuffia e poi mando tutta la roba a Piacenza e loro mi rimandano la parte con la batteria e voce, poi faccio fare quella con la chitarra a Piombino vicino Livorno, dalla chitarrista che abita lì.
È un casino vederci, facciamo tutto a distanza tipo Rolling Stones! Ultimamente avevamo rincominciato a registrare alla vecchia maniera, tutti nella stessa stanza, in diretta, figurati…Ma bisogna adattarsi, altrimenti non si va avanti!

Hai avuto una vita avventurosa da vero rocker: sesso, droga e rock’n’roll, rifaresti tutto?
Le scelte che ho fatto, le rifarei tutte. Da artista però passo momenti su e giù, momenti in cui sono al settimo cielo e va tutto bene e momenti di solitudine e problemi.

Nel libro dici: ”Io al domani non ho mai pensato, ho sempre vissuto in un eterno presente…”. In un certo modo oggi paghi le conseguenze del tuo modo di pensare senza compromessi.
Io pensavo di morire prima dei trent’anni come tanti musicisti. Quando poi sono arrivato ai 40 e poi ai 50, ho detto: ”Qui bisogna organizzarsi!. È chiaro che pago certe scelte radicali, più in là vai con l’età, più è logico che le devi pagare: in periodi in cui non riuscivo a mantenermi, ho sempre fatto dei lavori duri, su quello non ho mai avuto problemi e l’ho sempre vista come un prezzo da pagare per certe le scelte che avevo fatto.

Hai suonato in tante band ed ogni giorno sforni un nuovo progetto musicale. Ma qual è il gruppo a cui sei più legato?
Guarda è come se mi chiedi se vuoi più bene a babbo o mamma…(ride. n.d.r.). È una scelta un pò difficile, tutte le mie band avevano il loro background, il periodo in cui sono nate, i movimenti artistici e culturali che avevano dietro.
Ogni band ha la sua storia. Gli Upper Jaw Mask, sono stati il punto di partenza. I CCM (Cheetan Crome Motherfuckers), sono stati la mia adolescenza, insieme abbiamo creato qualcosa che è rimasto, che ha avuto successo anche oltre oceano con tutta la scena italiana hard-core punk: Raw Power e Negazione. Era una scena in contemporanea con tutto il resto del mondo, con la propria connotazione stilistica, il proprio marchio.
Non era una copia, come tanti altri movimenti o generi che sono arrivati in Italia 3-4 anni dopo che erano già in America. Poi ci sono stati i Not Moving e appena sciolta l’ultima formazione, ci sono stati gli Hush che erano una band stoner quando lo stoner non andava di moda. A seguire i Diggers, un gruppo a cui sono particolarmente affezionato, perché è stato tutto il sunto di tutto il rock’n’roll che avevo vissuto nella vita e nella musica; ci ho messo tutto: garage, punk e tutte le esperienze musicali che avevo avuto prima.
L’ultimo disco che ho fatto uscire, quello con gli Exp, ce l’avevo in testa dai tempi dei Not Moving: l’idea era di fare una band alla Spaghetti Western. C’erano già dei riferimenti a quelle sonorità all’interno dei Not Moving e anche il mio disco solista che feci una decina di anni fa, a cui sono molto affezionato, aveva delle atmosfere acustiche strumentali molto intime, alla spaghetti western.

Se tu fossi nato in America o in Inghilterra saresti stato sicuramente una rockstar, eppure non hai mai pensato di trasferisti all’estero. Ti sei sentito penalizzato per essere nato in Italia. Hai qualche rimpianto?
Sicuramente per certi versi sì, per le possibilità che avrei potuto avere, dato che la scena musicale estera era molto forte negli anni’80 e ’90. Nonostante quella italiana fosse una bella scena, a partire dalle etichette alle agenzie, c’era tutta una struttura in piccolo che poteva esserci anche nel main stream.
C’era tanta gente che lavorava bene intorno alla scena indipendente anche in Italia, ma sicuramente all’estero c’erano più possibilità. Mi sarebbe piaciuto andare all’estero, ma non in una grande città italiana, no, quello non mi ha mai attratto. Sono legato alla provincia, vengo da Pisa che è un po’ ‘la vendetta della provincia’. Li è nato uno dei primi locali punk italiani il Victor Charlie, ma prima ancora, negli anni ’70, c’era una grossa scena hippie sia musicale che politica. Perciò, quando ero in tour mi faceva piacere stare nelle grandi città, ma poi volevo tornare all’ovile. Inizialmente sarei voluto andare ad abitare a Londra o Berlino, ma la mia ex-moglie Daniela non aveva voluto.

Il tuo nome d’arte che risale ai tempi dei CCM, è dovuto alla tua magrezza?
Si risale tra il periodo dei CCM e Not Moving. Mi davano sempre nomi per prendermi in giro per il mio aspetto fisico allampanato, secco e lungo. Quando ero più piccino la magrezza era ancora più accentuata, ero lungo come ora ma molto più secco. Quando venne fuori il nome Dome la Muerte, pensai :” lo userò come un riscatto!”.

Il più bel concerto in cui hai suonato?
Uno degli ultimi che abbiamo fatto insieme con i CCM a Bologna, nell’84. Ricordo che venne a vederci anche Giuseppe Codeluppi, dei Raw Power, che purtroppo non c’è più. Con i Not Moving ce ne sono stati tanti belli, tra l’Italia e la Germania. Sicuramente uno dei più emozionanti è stata la prima sera a Torino, quando abbiamo suonato come spalla di Johnny Thunders, lui era uno dei miei idoli in assoluto.

Hai conosciuto delle leggende del rock sul viale del tramonto, mi riferisco a Johnny Thunders e Nico. Che ricordi hai di loro?
Ho dei ricordi molto teneri. Erano due personaggi che avevano una barriera difensiva ed un modo di fare un pò spaccone, invece quando li ho conosciuti erano persone bisognose di affetto e sicurezze. Avevano bisogno di essere rassicurati. Mi piaceva tanto un disco acustico di Johnny Thunders, quando glielo dissi, si alzò dalla sedia e mi abbracciò. Ai fan quel disco non era piaciuto, ma per me quello era il suo album migliore.

Alcuni dei tuoi vestiti più belli, erano fatti a mano artigianalmente, da tua madre e tua sorella, il “look” è sempre stato importante per te?
Io gli davo le direttive e a volte gli trovavo anche gli accessori da incastonare. È una cosa che ti viene da dentro, ti ci devi sentire. Io sono sempre andato in giro vestito per strada come sul palco. Fin da piccolo sono stato sempre attratto dall’estetica delle band ed il look è sempre stato importante per me. Ora lo è meno. Quando ero giovane era un modo per far parte di una tribù, di una scena, era molto importante essere riconoscibile.

Hai detto che anni addietro ti avevano proposto di scrivere un’autobiografia, ma tu hai risposto: “I libri li fanno i reduci!”. Come mai hai cambiato idea?
L’idea me l’ha fatta cambiare Pablito el Drito (Pablo Pistolesi) di Milano, con cui ho un’amicizia che dura da più di 20 anni. Ha abitato anche a Pisa, perciò ci siamo frequentati tanto. Quando c’era il lockdown mi ha chiamato e mi ha detto: “Guarda che c’è da stare due mesi a casa , c’è da impazzire, che ne dici se ti intervisto tutti i giorni a casa dalle 3 alle 4 per un mese?
Ti faccio delle domande, le registro, poi te le rimando, tu le correggi e così abbiamo fatto.” Un giorno se ne esce fuori col titolo: “Dalla parte del torto”… a quel punto non potevo proprio più dirgli di no!
Lui lavora per L’Agenzia X ed ha scritto 3 libri sulla scena Rave illegale. Pablito ha 47 anni ed è sempre stato l’anello di congiunzione tra la vecchia scena e quella nuova. Era un fan dell’Hard Core, eppure non ha vissuto in pieno quella scena, inoltre, era amico di Matteo Guernaccia che viene dagli anni ’70 e conosce tutte le storie della beat generation. È stato uno degli esponenti della scena rave e anch’io verso la fine degli anni’ 90 ho cominciato a fare il Dee Jay e a seguire quella scena lì.
Ho rivisto nella scena rave tante cose che credevo perdute, la trance collettiva che era come ritrovarsi ai Free Festival degli anni ’70 con migliaia di persone in maniera pacifica. L’autobiografia proprio non mi interessava, ma attraverso la mia storia, volevo ripercorrere la storia dei movimenti musicali italiani, dagli anni ’70 alla scena elettronica.

Hai vissuto tutti questi movimenti, anche la scena “rave”, parlamene…
Negli anni ’90 facevo il disc-jockey a tempio pieno, in estate arrivavo a fare 4-5 a volte 6 serate a settimana. Ho vissuto tutta la nascita della scena elettronica musicale degli anni ’90 e poi, quando ho conosciuto quella illegale con le feste nei boschi, sono rimasto folgorato come quando era arrivato il punk. Ci ho rivisto quel tipo di freschezza alla: ”Do it yourself”.
Col punk, con 3 accordi e della strumentazione anche scarsa, riuscivi a salire sul palco e condividere ed esprimere con gli altri le tue emozioni. Con pochi mezzi le band nella scena elettronica si auto-producevano, dai dischi alle magliette. È lì che ho rivisto la scintilla: il fatto che tu, con un computer in camera tua, senza spendere in mega studi e produzioni, potessi fare un disco bomba. Comunque abbiamo avuto anche un sacco di problemi legali, non sempre le cose sono andate bene.

All’interno dei Not Moving come funzionavano le dinamiche?
Essendo in 5, gruppo misto, c’erano sempre un sacco di casini sentimentali. Cioè tutti erano stati con tutti. C’era quel problema lì che ogni tanto creava conflitti all’interno della band. Eravamo giovani, a volte c’erano scazzi, a volte ci siamo pure picchiati perché il rapporto era veramente sanguigno e credevamo fermamente in ciò che stavamo facendo. Infatti, potevamo anche aver litigato nel camerino un secondo prima di salire sul palco, ma poi sul palco andavamo tutti nella stessa direzione, una vera alchimia!

I tuoi figli cosa dicono di te? Non hai consigliato loro di fare i musicisti, hai detto: “In questo paese vivere d’arte è un lusso se sei nato in una famiglia umile”.
Ho sempre cercato di evitare che facessero i musicisti anche loro. Con la mia figliola ci sono riuscito, con Elia no. Mi vedono un pò naif, cercano di darmi continuamente una mano con la tecnologia perché non ci capisco niente.
Mi aiutano su un sacco di cose, sono un tipo di altri tempi. Mia figlia non facendo la musicista, spesso mi chiede delle mie avventure musicali, lei è più curiosa, mentre Elia ha già avuto delle band per cui ha già cominciato a stare sul palco. Quando mi sono rassegnato che facesse il musicista ho cominciato a dargli dei consigli spassionati, lui ha visto che gli sono serviti e così altre volte è venuto a chiedermi dei consigli. Allora sì, c’è stato un interscambio ma non volevo che fossero sottoposti a questi tormenti dell’anima nella vita…

Le tue 3 mogli vanno d’accordo tra loro? Hai mantenuto dei buoni rapporti con le tue ex?
Secondo me si ignorano, non se lo pongono proprio il problema di andare d’accordo! All’inizio chiaramente c’erano delle scintille, ma poi col tempo si sono calmate le acque, anche perché ci sono dei figli da gestire insieme.

Non ho capito bene la storia su Charles Manson che secondo te era innocente ed il governo americano cercava un capro espiatorio per distruggere il movimento hippy.
Non sono un complottista, questa cosa che lui non era sulla scena del crimine è stata dimostrata, ma nonostante ciò, Manson è stato considerato il capo e condannato come mandante. Nell’immaginario collettivo era un serial killer, ma non aveva mai ammazzato nessuno.
Se compri un libro sui serial killers quasi sempre in copertina c’è la faccia di Charles Manson. Syd, il cantante dei CCM, già all’epoca mi diceva che tutta la storia su Manson era una cazzata.

Sei animalista e vegetariano?
Sì, mangio formaggi e uova, ma non mangio nessun tipo di bestia, pesce e mollusco… non sono un pescetariano! Avevo un’iguana di 20 anni, da Guinness dei primati, ora non c’è più, ma ho una gazza in adozione.
di Daniela Giombini
Rumore, febbraio 2021Dalla parte del torto
Nella foto di copertina è ritratto con in spalla la fedele Gibson tenuta a mo’ di zappa e l’aria di chi te la sta per spaccare intesta. Postura e sguardo traducono il peso di oltre 40 anni di r’n’r sul groppone. È un fiume in piena Domenico Petrosino in questo lungo flusso di coscienza imbottito di aneddoti incredibili e spesso esilaranti. Uno che, da figlio di carabiniere meridionale in servizio a Pisa, ha bazzicato i movimenti anarchici e della sinistra extraparlamentare, vivendo nelle comuni e sperimentando la triade sesso, droga e r’n’r dalla giovane età. Una lettura imperdibile per chi non conosce il Keith Richards italiano e anche per chi lo ha sempre apprezzato, non soltanto per i suoi trascorsi dall’enorme portata (sotto) culturale nei CCM e Not Moving. Le più eccitanti sono le storie meno conosciute. Gli inizi con gli UJM del mitico Zappa, la prostituta senza gamba a Berlino, l’incontro con Fernanda Pivano e Allen Ginsberg, il chiodo di pelle fatto a mano da una amica dell’amorevole mamma (la “Vivienne Westwood di Navacchio”), il legame fraterno con il poeta cheyenne Lance, la riservatezza drogata di Johnny Thunders, Nico che su scola mezza bottiglia di Amaretto di Saronno sua, l’incontro con lo sfortunato Massimo Riva e l’ipotesi di diventare la chitarra ritmica del Blasco nazionale, la supponenza di Blixa Bargeld, l’amore per le donne (che comprende anche baccagliare Joe Squillo, le chitarre su Nirvana di Salvatores, gli anni novanta della trance, della techno e dell’ecstasy. Dome la Muerte è la dimostrazione in carne ed ossa della continuità delle controculture hippie, punk e rave sostenuta da Simon Reynolds. Un artista totale, un “seminatore di zizzanie” buono e giusto, a cui dobbiamo riconoscenza e sostegno materiale in questo periodo difficile. Per esempio iniziando col comprare lo stupefacente libro scritto a quattro mani con Pablito el Drito.
Voto: 85/100
di Manuel Graziani
Classic Rock, febbraio 2021Il mio karma è questo
Attivo da metà anni 70, Dome la Muerte è passato attraverso epoche e musiche diversissime, da Frank Zappa al punk, all’hard rock psichedelico, al folk, all’elettronica. Con lui ho avuto e continuo ad avere il piacere e l’onore di condividere il palco con i Not Moving. La sua recente autobiografia Dlla parte del torto è un incredibile spaccato dell’underground musicale italiano. Stare da quella parte ha un prezzo spesso molto alto ed è recente l’appello a suo favore per l’assegnazione della Legge Bacchelli, dopo che la pandemia lo ha, come tanti altri musicisti, messo al tappeto economicamente.

La tua autobiografia ci racconta di scelte sempre estreme e nette. Rifaresti tutto?
Per quanto riguarda la mia carriera artistica, non ho rimpianti, rifarei tutto. Relativamente alla sfera privata, chiunque di noi vorrebbe tornare indietro per correggere qualche errore, ma ogni artista è sottoposto a momenti di gioia e gratificazione, ma anche a lunghi periodi di depressione e difficoltà, in una perenne lotta fra combattere o assecondare i propri demoni. Io, essendo buddista, so che questo è il mio karma, per cui, probabilmente, rifarei tutti da capo.

Il recente appello per chiedere l’accesso alla Legge Bacchelli ha messo in risalto una condizione comune a migliaia di artisti. Che soluzioni vedresti?
Sicuramente ci vorrebbe un contratto nazionale, un salario minimo garantito per prestazione, un sindacato, una cassa integrazione, e poi alleggerire le tasse sia per i musicisti che per gli organizzatori. Un locale deve pagare costi altissimi, lo stesso i musicisti. Finora tutto questo sistema non ha funzionato, cos’ metà del lavoro viene svolto in nero. Oltretutto, ci sono famosi artisti italiani che hanno pagato i contributi tutta la vita ma non hanno comunque diritto alla pensione. È vergognoso che un’intera categoria che produce cultura, arte e intrattenimento venga trattata così. Fare il musicista è un lavoro, oltre che una passione, e va regolarizzato come tutti gli altri. È famosa la battita: “Tu casa fai?”, “Il musicista”, “Sì ok, ma di lavoro?”.

Come vedi il futuro del rock? È un’era finita per sempre, per come l’abbiamo conosciuta noi?
Parlare di un’era finita mi sembra eccessivo, esistono delle scene ormai consolidate, e anche fra i giovani, c’è chi è ancora interessato a vedere una band indipendente, dal vivo, in un piccolo club, ed è attratto anche da un certo tipo di messaggi, estetica e socialità. Ma dire che non è cambiato nulla, sarebbe da stupidi. È cambiato tutto, dal modo di comunicare ai movimenti culturali e artistici, fino all’espansione dei mezzi tecnologici al modo di fruire la musica.

Sei musicista, compositore e dj (e pure nonno). In quale veste ti vedi meglio rappresentato?
Come nonno, sicuramente: ti trovi piacevolmente catapultato in quel magico mondo che è l’infanzia, e che ormai credevi perduto per sempre. Ho bisogno del palco come l’aria, ma quello della composizione resta il massimo momento creativo.

I grandi del rock hanno realizzato i loro capolavori da giovani. Cosa pensi della creatività in “età avanzata”?
La creatività non ha età. È vero che la gioventù di un artista è contrassegnata da tanta energia, sperimentazione e un variopinto flusso di idee, come anche da ingenuità e limiti dovuti all’inesperienza. Ma scopri sempre nuove strade. IN questo periodo, sto suonando dal r’n’r punk al folk psichedelico, dallo spaghetti western all’elettronica. Per me, quel fuoco non si è mai spento.
di Antonio Bacciocchi
Classic Rock, febbraio 2021Dalla parte del torto
Chitarrista e songwriter nonché cantante. Domenico Petrosino in arte Dome la Muerte vanta una vicenda snodatasi per oltre quarant’anni, con Cheetah Chrome Motherfuckers, Not Moving e Diggers come tappe più significative. Al di là dei risultati di qualità e della produzione copiosa e ingarbugliata, c’è qualcosa di lui che lo rende assolutamente speciale: è uno dei pochissimi in Italia a meritare davvero la qualifica di rocker, nel senso più genuino, internazionale, romantico (e, in fondo, un po’ autolesionista…) del termine. Gli eventuali scettici potranno ricredersi leggendo questo libro scritto senza particolari fronzoli ma con notevole efficacia insieme all’operatore (contro)culturale Pablo Pistoiesi. “una storia hippie, punk e rave”, come recita il sottotitolo, piena di musica, personaggi fuori dalle righe e neddoti pazzeschi. Divertente e toccante, crudo e sanguigno, “schierato” e a suo modo eroico, è il resoconto non autocelebrativo di una vita fieramente spericolata.
di Federico Guglielmi
YouTube, 31 gennaio 2021 Dome la Muerte – Backdoor suoni & parole selvagge – Musicastrada Festival
Dome la Muerte si racconta con l'amico Carlo Spinelli dopo l'uscita della sua biografia scritta con Pablito el Drito Dalla parte del torto. Una storia hippie, punk e rave
Con la collaborazione di Musicastrada Festival

Guarda il video
codice-rosso.net, 28 gennaio 2021Dalla parte del torto. Una storia hippie punk e rave
“Dalla parte del torto è dedicato a chi, nato dalla parte sbagliata, non può smettere di lottare per non essere schiacciato.”
È sicuramente curioso iniziare a parlare di un libro partendo dal suo explicit, ma in questo caso lo trovo invece doveroso, visto che penso che in questo periodo conclusivo del libro si depositi molto del senso di questa operazione editoriale di Agenzia X di Milano, riguardante la narrazione della vita di Domenico Petrosino aka Dome la Muerte, musicista, dj e molto altro, raccontata da Dome stesso in collaborazione con Pablito el Drito, agitatore culturale, scrittore, generatore e miscelatore di suoni che dell’underground musicale italico, di cui Domenico è membro sin dai settanta, è profondo conoscitore.
Siamo insomma nell’abituale territorio della variegata produzione della casa editrice, anzi in una specie di sua sintesi ideale visto che tale libro abbraccia temporalmente, ideologicamente e musicalmente, gran parte delle tematiche contro-culturali trattate nel proprio catalogo, dall’hippie, al punk, al rave come annuncia il sottotitolo del libro stesso.
La parte sbagliata sopra citata, è sicuramente quella in cui ritrova il protagonista sin dall’inizio della sua storia, nato figlio di immigrati del sud nelle lande sperdute della provincia pisana allo svanire degli anni cinquanta del Novecento , quando l’arretrata Italia stava per entrare nel decennio più mitizzato dalla narrazione mainstream, protagonista che vediamo già da ragazzetto crescere come imberbe ribelle e precoce talento musicale, sin da quando viene a contatto con la realtà del vicino capoluogo, che nei sessanta era stata una delle capitali della rivolta universitaria deflagrata nel sessantotto, e nei settanta mantiene un vitalissimo fermento politico, culturale e musicale, pur essendo una piccola città di provincia, governata solidamente dal PCI, anche se esposta a innumerevoli provocazioni fasciste che vedono episodi dolorosi come il martirio di Franco Serantini, giovane anarchico massacrato di botte dalla polizia per essersi opposto a un comizio di un leader missino e lasciato morire in carcere senza essere soccorso.
In questa situazione effervescente e dura, la scelta di Domenico, all’inizio giovane ribelle attratto dalla cultura hippie, è chiarissima sin da subito “per noi giovinastri, chiunque aderisse ad una organizzazione formale era un nemico. Dai vecchi del PCI ai fascisti, per noi erano tutti nemici. Quando c’erano i volantinaggi spesso si arrivava alle mani anche tra di noi”.
Ho scelto questa citazione dalle prime pagine del testo perché mi permette di chiarire, meglio di altro, un nodo fondamentale del testo, in connessione con l’explicit sopra ricordata, senza mettermi a fare tutto il riassunto del libro: anche perché dovete aprire il portafoglio, andare in libreria o sul sito di Agenzia X, sostenere i due autori, che sono due musicisti fermi per la pandemia, e anche l’editoria indipendente, evitando come la peste di foraggiare Amazon, almeno per questa volta. Il nodo fondamentale del testo è quello della mancanza di compromessi e della lotta per affermare la propria identità, aspetto che si fa limpido quando il protagonista entra nel mondo della musica underground italica (non voglio usare quella brutta parola che inizia con la “I” perché all’epoca aveva un altro significato e si diceva in italiano), dopo l’esordio nel primo giovanile combo di matrice fricchettona, dalla porta più scomoda e meno promettente per una possibile successo, quella dell’HC punk , di cui diventa uno dei protagonisti europei (e forse oltre) coi pisani CCM, per poi lasciarli entrando in uno dei gruppi simboli della scena alternativa degli ottanta e novanta italiani, i Not Moving, leggenda musicale protagonista di decine di live infuocati, la cui carriera discografica non arriverà mai ai livelli che si sarebbero meritati per il talento e potenza che esprimevano in concerto (peggio per voi se ve li siete persi): il filo che lega l’attività degli ottanta/novanta del musicista, così come quelle successive e odierne (prima del lockdown) è appunto quello della mancanza di compromessi, con la scena stessa , con le etichette, i manager, il pubblico, persino coi miti della stessa musica che si ama incontrati durante la oltre quarantennale carriera di Dome, che anche nel libro ci vengono mostrati nella loro dimensione schiettamente umana, con estrema sincerità, nomi che sono quelli ad esempio di Nico, Johnny Thunders, persino dei Clash, per cui i Not Moving aprono dei live.
La vita “complicata” e la carriera di Domenico, su cui non mi voglio soffermare ulteriormente, mi viene istintiva, per farla meglio comprendere a chi vuole intenderla in breve, accostarla ad uno dei molteplici interessi non solo musicali a cui si accenna spesso nel libro, che ricorre nella sua vita e anche nella sua attività, quello per la cultura dei Nativi Americani (nel libro si racconta come Dome sia stato scelto come fratello dal poeta Cheyenne Lance Henson, che ha anche collaborato a un disco dei Not Moving): se il mainstream, la cultura borghese e l’Occidente neoliberista e consumista sono le perfide Giacche Blu, Domenico, tutti i suoi fratelli nell’avventura molteplice dell’esistenza e della creazione culturale sono la tribù ribelle che si sposta libera per i territori inesplorati della libera creatività, che conosce assai meglio del vile Cowboy che non ha nessun rispetto per quello che non può capire e di cui quindi ha una terribile paura, cosicché fa di tutto per distruggerlo, se non può comprarlo, non comprendendo che ci sono beni che il denaro del vé’ho’ e (l’uomo bianco) non è in grado di acquisire, perché è impossibile fissarne un prezzo congruo al suo valore.
di Falco Ranuli
Dome la Muerte si racconta con l'amico Carlo Spinelli dopo l'uscita della sua biografia scritta con Pablito el Drito Dalla parte del torto. Una storia hippie, punk e rave. Con la collaborazione di Musicastrada Festival

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www.ilprimoamore.com, 13 gennaio 2021«Dalla parte del torto»: quarant’anni di peripezie underground nel libro di Dome la Muerte
Mai sentito parlare di un italiano che ha suonato insieme a Iggy Pop, è stato amico di Nico dei Velvet Underground, è diventato una star nelle riserve Cheyenne e alla fine si è ritrovato settantenne, leggermente stonato e completamente disoccupato, ma ancora combattivo? Be’, allora non conosci Dome la Muerte. Nato Domenico Petrosino, ha passato vent’anni a imbracciare la chitarra elettrica con band di culto assoluto come CCM e Not Moving. Un’accidentata carriera solista lo ha poi portato a diventare anche un apprezzato dj electro-trance nel passaggio tra anni ’90 e 2000. In mezzo, naturalmente, è successo di tutto: arresti, scazzottate con i manager dei locali, concerti scalcinati e non, tatuaggi, motociclette, eccessi di droghe (ma niente eroina), dischi, un paio di matrimoni, due figli, una nipotina e tantissime canzoni. Tutto questo Dome la Muerte lo ha messo in pagina - con l’aiuto di Pablito el Drito (al secolo Pablo Pistolesi, già autore di Once were ravers) - in un coraggioso libro autobiografico intitolato Dalla parte del torto (Agenzia X, pp 238, 15 euro). La storia di Dome la Muerte prende le mosse dalla provincia pisana alla fine degli anni ’60. Un luogo che da subito sta stretto al giovanissimo hippy e chitarrista in erba, anche per via dei conflitti con il padre carabiniere. Cominciano allora i viaggi (fisici e non), gli spostamenti per i concerti, le esperienze nelle comuni dell’epoca in cui dibattiti politici e libero amore sono all’ordine del giorno. È l’era dei grandi raduni giovanili, delle utopie rivoluzionarie. Tutta rock, naturalmente, la colonna sonora: Led Zeppelin, Who e via schitarrando. Alla fine degli anni ’70 è folgorante l’incontro con il punk dopo il classico viaggio a Londra. Tornato a casa, insieme a una ghenga di amici scatenati, Dome mette su i Cheetah Chrome Motherfuckers, più brevemente CCM. Prime movers della scena hardcore italiana, si autoproducono il 45 giri 400 fascists. È l’inizio di una grande epopea, che porterà i CCM a una serie di concerti infuocati in Italia e in Europa. Tra questi, il formidabile show al Leoncavallo di Milano nel 1984. Il muro del suono targato CCM però alla lunga si rivela eccessivo per l’eccentrico Dome, e allora è tempo di puntare tutto sui Not Moving, con i quali aveva già cominciato a suonare da po’. Il gruppo ha base a Piacenza però, è così Dome ogni due settimane, qualche volta in sella alla motocicletta con la chitarra a tracolla, lascia Pisa per le prove. I Not Moving hanno una cantante donna, usano l’organo e suonano un rock’n’roll imparentato con X, Avengers e Gun Club. Il loro suono è più accessibile rispetto a quello dei CCM. Non a caso i Not Moving trovano un certo successo di pubblico e si esibiscono con artisti di primo piano come i Clash e il dolente Johnny Thunders, al quale Dome dedica uno dei ritratti più sentiti del libro: "Al di là dello stile chitarristico che mi piaceva, Johnny mi faceva un sacco di tenerezza a livello personale. Era un tossicomane che scriveva canzoni romantiche (...) Avevo letto una sua intervista che mi aveva fatto stringere il cuore. Mi appariva fragile e disilluso. Alla domanda dell’intervistatore che gli chiedeva cosa avrebbe voluto fare se non fosse diventato una rockstar aveva risposto “il clown triste”. Forse lì ho intuito la sua vera natura, immaginandomelo con il cerone bianco e la lacrima nera." È questo il periodo in cui Dome, da sempre attratto dalla cultura dei nativi americani, diventa un militante della loro causa. Stringe amicizia con il poeta e attivista politico Lance Henson, che lo sceglie come fratello. Il sodalizio tra i due si rivela indistruttibile. Le canzoni di Dome dedicate ai patimenti dei nativi americani trovano un imprevedibile airplay nelle radio delle riserve. Sono probabilmente questi gli anni migliori della carriera di Dome. Da sempre costretto a barcamenarsi tra un lavoro e l’altro, gli incassi dei Not Moving garantiscono al nostro eroe una certa tranquillità economica. Arrivano persino un paio di ospitate in Tv. Poi però, un po’ per la pervicacia indipendente della band, un po’ per il mancato sfondamento presso il grande pubblico (impossibile per un gruppo rock italiano che canta in inglese), i Not Moving litigano, deragliano, si dividono. È tempo per Dome di gettarsi in altre peripezie insieme al delirante techno rock cabaret di MGZ e le Signore e ai Diggers, con i quali dividerà il palco dell’idolo Iggy Pop. Dopo è ora, complice un ingaggio al leggendario Baraonda di Massa, di dare il via a una carriera di dj trance nella sua versione più psichedelica. Un percorso artistico ricco di momenti memorabili se mai ce n’è stato uno, insomma. Tra questi, l’incontro con la celebre Nico. A Pisa per un concerto al Victor Charlie, ospite di Dome alcuni giorni, la mitica voce dei Velvet Underground canticchia baritonale nel suo bagno. Una valanga di soddisfazioni, quindi, ma anche tanti momenti difficili dovuti alla mancanza di denaro. E alla fine di questa cavalcata in quarant’anni di cultura underground, ritmata da un’affabile voce toscaneggiante ben restituita da Pablito el Drito – ci “garba” il suo lavoro –, tocca allo stesso Dome tirare le conclusioni. “Pur essendo entrato nella settima decade della mia vita resto la pecora nera della famiglia. Sono ancora, sempre e comunque, dalla parte del torto. I miei figli, essendo di un’altra generazione, sicuramente mi vedono come un babbo un po’ naïf, fuori dal tempo, che non è mai riuscito ad adattarsi alle regole e agli standard di un mondo senza utopia come questo. Io al domani non ho mai pensato, ho sempre vissuto in un eterno presente, con una tensione diretta alla realizzazione dei miei sogni e alla ricerca di un senso di giustizia, equilibrio e bellezza che ho sviluppato nella mia adolescenza turbolenta e ribelle.” Ecco, se ancora non avevi sentito parlare di Dome la Muerte, questo libro è un buon modo per scoprire tutto di lui e della sua vita da rocker; tutta giocata provocatoriamente, come dice il titolo, dalla parte del torto.
Silvio Bernelli
La Repubblica, 6 gennaio 2021Dome la Muerte il video appello di una generazione
Chi rompe, paga. E Dome la Muerte gli schemi li ha rotti tutti. A sciabolate di chitarra. Nel nome della creatività libera dalle leggi del mercato e della moda. Il risultato è una vita ai bordi della musica e dell’esistenza: una leggenda, lo definiscono Motta, Appino degli Zen Circus, Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, Bobo Rondelli, Marco Rovelli, Gipi, Ghigo Renzulli, artisti che hanno firmato l’appello (su change.org) e lo promuovono in un video, affinché al musicista pisano, già nei mitici Not Moving, venga concessa la Legge Bacchelli. Un vitalizio che assicurerebbe una vita dignitosa a un pezzo di storia del rock. L’iniziativa è partita dal direttore di Punto Radio Luca Doni e Dome, al secolo Domenico Petrosino, classe 1958, si sente in imbarazzo: «Non sono abituato ai complimenti. Me la sono sempre cavata da solo, il mio percorso è una linea retta che dichiara assoluta fedeltà alla scena indipendente perché necessaria. Ho accettato di espormi con la legge Bacchelli anche perché sarebbe un riconoscimento per il rock. E si aprirebbe uno spiraglio per i musicisti destinati a non godere di una pensione».
Chi rompe, paga. E Dome la Muerte ha fatto a pezzi le grandi svolte, quando spegnevano il fuoco sacro. «Faccio parte di quei perdenti che, mossi da una curiosità vorace per tutto ciò che è nuovo, sono sempre in anticipo rispetto alle mode. E, quando queste esplodono, sono altrove. Ma non ho rimpianti. Mollai i Cheetah Chrome Motherfuckers – racconta – proprio quando stavamo per andare in America. Perché l’hardcore era diventato il fenomeno del momento. Senza rendercene conto, con i Not Moving incarnammo per l’Italia quello che gli X, Gun Club e Cramps erano per l’America: portatori delle radici garage, rockabilly, blues e punk. Fummo outsider anche nella scena indipendente più radicale. E le conseguenze non tardarono». Certo, il destino ci ha messo del suo. Come quando lo ha fatto arrivare a un pelo da Vasco Rossi, risucchiandolo subito via: «Mi contattò Massimo Riva perché cercava un chitarrista ritmico, ed era rimasto colpito dal mio suono granitico. Ma la cosa non andò in porto, i manager cercavano altro: virtuosi inespressivi. Ma va bene così».
Immaginiamocelo allora, Domenico ragazzino, costretto per una scoliosi a portare il busto e per questo denigrato al limite del bullismo dai suoi coetanei. Domenico anima inquieta nella stretta Navacchio, mentre a pochi chilometri, a Pisa, ribolle prima la cultura hippie, poi la sinistra extraparlamentare. Immaginiamocelo mentre trova l’educazione sentimentale e non nella città che, fin dalla fine degli anni Settanta, è un laboratorio controculturale («ancora oggi, con buonapace dell’amministrazione di centrodestra, cova qualcosa»). Anzi, non c’è bisogno di immaginarlo. Perché c’è un libro a raccontarci la vita, gli incontro (memorabile quello con Nico dei Velvet Underground, che a casa sua divorò spaghetti al pomodoro accompagnati da Amaretto di Saronno), le gesta belle, quelle storte, quelle alcolico-psichedeliche. Dalla parte del torto, edito da Agenzia X, scritto con Pablo Pistolesi, alias Pablito el Drito, in oltre 200 pagine traccia l’itinerario di Petrosino nel movimento hippie, nel punk, nei rave, a fianco dei nativi americani: «Già da ragazzino ero refrattario all’autorità. Forse perché mio padre era carabiniere e garante dell’ordine costituito, ma io non ho mai avuto paura del nuovo. E, oggi, non sono nostalgico. Se c’è una generazione che si sente rappresentata dalla trap, perché biasimarla? Poniamoci in ascolto, senza cadere nello stesso errore degli adulti che ci infamavano quando dalla nostre camerette usciva il frastuono punk».
E del punk è considerato uno dei grandi padri in Italia, onorato come una star quando arrivava al Macchia Nera – storico centro sociale autogestito pisano, oggi non esiste più – con famiglia al seguito, fedele al suo look tra dandy e pelle strappata, a dispetto dell’età over. Punk uguale understatement: «Io con Jello Biafra dei Dead Kennedys andavo al bar». E, quando a Milano i Not Moving furono chiamati a fare da gruppo di spalla ai Clash, «constatammo la stessa umiltà. Ricordo l’attimo in cui salimmo sul palco. I tecnici che illuminavano il percorso con la torcia. Roba mai vista. Abituati al do it yourself dei locali, ci trovammo a suonare per 12 mila persone. Lì, nel backstage, c’erano Joe Strummer e Paul Simonon. Per stringerci la mano. E dirci semplicemente “good luck”».
di Fulvio Paloscia
www.rollingstone.it, 6 gennaio 2021 Dome la Muerte è orgogliosamente «Dalla parte del torto»
Il Keith Richards del punk italiano racconta in un libro la vita sua e di quella che chiama «generazione di scappati da casa». È una storia di palchi e battaglie in nome della ribellione e dell’indipendenza

A Navacchio – frazione di Cascina, provincia di Pisa – quel 18 maggio del 1958 nessuno immaginava neppure lontanamente che era appena nato il Keith Richards del punk made in Italy. In primis perché nessuno al mondo sapeva chi fosse Keith Richards e in secondo luogo perché il nuovo arrivato si chiamava Domenico Petrosino e non era ancora Dome la Muerte, il chitarrista di CCM e Not Moving. Secco, carismatico, con un look che mescola rock, punk e cultura dei nativi americani (di cui è un grande cultore) senza concedere nulla ai facili stereotipi da rivista trendy patinata: Dome è, senza il minimo dubbio, una leggenda dell’underground italiano, oltre che un personaggio di spessore a livello umano e ideale.
Recentemente finito sotto le luci della ribalta per un’iniziativa speciale (la richiesta della famosa Legge Bacchelli, il vitalizio a favore di cittadini con meriti acquisiti nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’economia, del lavoro, dello sport che versino in stato di particolare necessità), ha una storia e un curriculum artistico che abbracciano gli ultimi 50 anni e le maggiori tendenze/movimenti controculturali; il tutto totalmente all’insegna della libertà, della sperimentazione e dell’istinto viscerale all’avversione nei confronti di qualunque genere di catene, imposizioni e status quo. Ironicamente figlio di un papà carabiniere (a cui è legato da un affetto profondo, ma con cui ha profonde e insanabili divergenze di vedute fin dalla preadolescenza), è da sempre un vero ribelle: così lo definisce Pablito el Drito alias Pablo Pistolesi – storico delle controculture, dj e attivista, coautore di una recentissima autobiografia di Dome intitolata Dalla parte del torto uscita per Agenzia X a fine 2020 (suoi sono anche i volumi Once were ravers, Rave in Italy e Diversamente pusher). Domenico dal canto suo, durante una chiacchierata telefonica in un bigio sabato pomeriggio d’inizio anno, si è autodescritto come uno sperimentatore che non si pone limiti e un non allineato. Ribellione e sperimentazione, dunque – sempre, comunque e a ogni costo.
I primi approcci di Dome con la chitarra avvengono intorno ai 12 anni: da quel momento scopre la sua passione più bruciante. Presto inizia a suonare con altri ragazzi più grandi, inserendosi nel circuito dei gruppi rock di base, dediti alle contaminazioni col blues, il jazz e certo prog: musica non facile, né commerciale, pregna di messaggi. Nel frattempo si avvicina alle pendici del movimento hippy, a cui aderisce nella sua espressione più libera e libertaria: va e viene da casa, scappa più volte («La mia è una generazione di scappati da casa. Scappavamo da soli o con la ragazza. […] Scappavamo per andare ai concerti o ai festival») e inizia a frequentare alcune comuni fra Italia e Svizzera. È un periodo di grande vivacità ed esperimenti, sia musicali che in campo di sesso (il famoso amore libero è nella sua golden age) e di approcci con le sostanze.
Della militanza negli Upper Jaw Mask, band molto peculiare, Dome dice: «Scatenavamo reazioni estreme, non c’era via di mezzo: o ci amavano o ci odiavano». Con un singolo solo all’attivo su Cessofonya Records (con quotazioni intorno ai 100 euro, ma in cui Dome non suona), sfocia verso il 1979 nella formazione della punk band CCM, una vera istituzione nota in tutto il globo. Il punk lo folgora, con la sua voglia di novità, di urlare la propria libertà dal sistema e di fare in qualche modo piazza pulita di quanto c’era stato prima.
Con i Cheetah Chrome Motherfuckers (questo il nome per esteso, scelto in onore di Cheetah Chrome, chitarrista dei Dead Boys) incide tre dischi entrati nel gotha del punk hardcore made in Italy – lo split 12” con gli I Refuse It Permanent Scar e i singoli 400 Fascists e Furious Party – suona in tutta Italia (anche nel famoso concerto Last White Christmas) ed Europa. Sono gli anni – quelli fra il 1980 e il 1985 – del fermento hardcore in Italia: il punk muta, si estremizza prendendo anche le strade spesso parallele dell’ultravelocità e/o della pesantezza stralunata (i CCM fanno bene entrambe le cose, coltivando un’identità netta e riconoscibile).
Nel 1983, alla fine di un live dei CCM, Dome viene avvicinato da due ragazzi e due ragazze: sono i piacentini Not Moving che hanno perso il chitarrista e, avendo all’attivo un demo e un 7”, vorrebbero proseguire, ma solo a una condizione: «Mi dissero che avrebbero continuato a suonare insieme solo se avessero incontrato un chitarrista che somigliasse a Keith Richards e che avesse la scritta Cramps sul chiodo. In quel periodo in effetti avevo la pettinata come il chitarrista degli Stones e una giacca di pelle con una scritta rossa e nera dei Cramps».
Da questo incontro, che vede Dome inizialmente piuttosto scettico anche per via della distanza geografica, nasce un’altra miscela esplosiva, ossia il consolidamento di quella che sarà la formazione classica e più blasonata dei Not Moving – eroi dell’underground punk/garage/wave, autori di una manciata di album e singoli di caratura elevatissima, avvicinati da molti fan e addetti ai lavori a gruppi del calibro di X, Gun Club e Cramps.
Con loro, abbandonati i CCM nel 1985, Dome – oltre a esibirsi sui palchi di tutta Italia ed Europa, aprendo anche per gente come Clash, X e Johnny Thunders – arriva alle soglie del salto verso il mainstream, con passaggi in RAI, un’agenzia professionale che gestisce il comparto dei live, tour e guadagni interessanti. Ma la natura ribelle e indipendente ha ancora una volta la meglio. Dome ricorda: «Quando hai fra i 20 e i 30 anni, hai degli ideali, ci credi tantissimo e non ti interessa se ti offrono magari 30 milioni di lire per un contratto, che negli anni ’80 erano soldi. Piuttosto che piegarti al sistema dici: “No, io vado per la mia strada, intanto l’unica cosa importante è stare sul palco”. E io sul palco c’ero sempre, per cui non me ne fregava niente».
Questa incarnazione quasi magica dei Not Moving lascia un 7”, due 12” e due LP (i fondamentali Sinnermen e Flash On You), prima di sfaldarsi. Sono il solo Dome e la tastierista Maria Severine a tenere in vita fino a metà anni ‘90 la ragione sociale Not Moving, riuscendo comunque a regalare ancora due notevoli LP (Song Of Myself e Homecomings) e un 12”, spostandosi a fine corsa verso una sorta di stoner/space rock dal sapore Seventies.
Ma Mr. La Muerte non si ferma mai e, oltre a collaborare con altre realtà (su tutti il folle e geniale MGZ, ma anche gli stoner rocker Hush) si trova a lavorare a progetti legati alle colonne sonore di spettacoli teatrali e perfino alle musiche di Nirvana, il film sci-fi blockbuster di Gabriele Salvatores (del 1997). Sue sono le partiture di chitarra (scritte e suonate), sebbene non sia accreditato ufficialmente nei titoli di coda, né nel CD con la soundtrack per via di quella che lui definisce una leggerezza: un altro retaggio dell’animo punk ultraindipendente che lo muove da sempre. A riprova della purezza dei suoi intenti e dell’incrollabile fedeltà alla causa dell’indipendenza, Dome ha ceduto e si è iscritto alla SIAE appena una decina d’anni fa. E ridendo mi dice: «Alla fine mi sono lasciato convincere, ma pensa che io sono sempre stato uno degli organizzatori della “Giornata contro la SIAE”: portavamo gli amplificatori in piazza e suonavamo tutto il giorno per contestare quell’organizzazione». Negli anni Zero non arretra di un centimetro: torna protagonista con una band di punk rock/garage battezzata Dome La Muerte & The Diggers (tre album e altrettanti singoli fra il 2007 e il 2013, oltre a innumerevoli live), un disco solista (Poems For Renegades, del 2010), collaborazioni (con Avvoltoi e Spina Nel Fianco), una prima reunion dei Not Moving (2005-2006) e una seconda con il nome mutato in Not Moving LTD – ancora in corso, norme anti-Covid permettendo.
In tutto questo trova spazio un avvicinamento alla rave culture e al genere trance goa in veste di dj e di musicista: una contraddizione solo apparente, in quanto la cultura dell’elettronica underground e dei rave, spiega Dome, gli ha da subito ricordato da vicino l’ambito punk. Anzi, a ben vedere – continua, citando anche il volume Radical Gardening di George McKay (in Italia pubblicato da Edizioni Nautilus) – c’è un fil rouge che lega la maggior parte dei movimenti controculturali, a partire dalle comuni/comunità utopiche dell’Ottocento, fino ad arrivare al movimento hippy, al punk e alla cultura rave. «A parole il punk ha sempre rifiutato qualsiasi cosa ci fosse stata prima a livello musicale. […] Io, invece, nel tempo ci ho visto un sacco di riferimenti al passato», afferma Dome, «[e il libro di McKay] mostra come le idee e le pratiche inaugurate nelle comuni hippie siano proseguite anche nelle comuni punk». E aggiunge: «Nella scena rave ho trovato una continuità con il punk anche nell’etica radicatissima del do it yourself: con un computer e poco altro si possono registrare dischi e pezzi in totale autonomia e indipendenza, poi ci si organizzano le cose da soli». Dome a 62 anni è inossidabile nella sua missione di artista fuori dagli schemi. I pochi compromessi a cui è sceso riguardano semplicemente la possibilità di raccogliere i frutti dovuti di quanto fatto negli anni (SIAE, edizioni, diritti…), ma continua il suo percorso in cui musica e ideali si intrecciano. La sua autobiografia – senza spoilerare troppo – contempla incontri con personaggi come Joe Strummer, Lance Hanson, Nico e Allen Ginsberg… ma il presente è sempre tutto da vivere, senza fare concessioni al reducismo e all’amarcord. Perché stare dalla parte del torto è un lavoro difficile, ma importante. E qualcuno deve pur farlo.
Andrea Valentini
Premio Macchina da scrivere 2020, 31 dicembre 2020 Dalla parte del torto di Dome la Muerte e Pablito el Drito
Vincitore del Premio Macchina da scrivere nella categoria “Biografie” per aver ricordato e descritto una complessa vita r’n'r.
www.versacrum.com, 28 dicembre 2020Dome la Muerte – Dalla parte del torto
Se il nome Dome La Muerte non è conosciuto al grande pubblico in Italia, di contro qui a Pisa, sua “zona di nascita”, lui è giustamente considerato un mito.
Come tutti quelli che “nella costa est” toscana si sono appassionati alla musica e alla scena alternativa, anche io ho una marea di aneddoti su di lui. Come quando verso la fine degli anni ’80 lo vedevo entrare al Centro Sociale Macchia Nera di Pisa, vestito di pelle e fichissimo come una vera rockstar (e infatti con i miei amici dicevamo che era un “sorco della Madonna”!). Arrivava con la bellissima moglie al seguito e con la simpaticissima figlioletta che… si addormentava sulle casse, nel bel mezzo di rumorosissimi concerti! Oppure quando anni dopo facevo con lui il DJ alle serate di Ver Sacrum al Baraonda, uno storico locale in Versilia: una volta aumentò così tanto il volume delle casse spia che persi temporaneamente l’udito e l’indomani dovetti andare al pronto soccorso!
Le cosa che fa rabbia è che Dome La Muerte – per l’appunto – è un nome conosciuto da troppe poche persone. Il suo talento, la sua storia musicale, la sua simpatia e umanità meriterebbero un’ampia visibilità a livello nazionale se non mondiale. Eppure l’importanza di Dome nelle scena alternativa italiana è innegabile: è stato tra i fondatori dei grandissimi Cheetah Chrome Motherfuckers, sicuramente il più importante (e forse anche il primo) gruppo hard-core italiano. Li lasciò all’apice della fama mondiale per unirsi ai Not Moving, una band unica nella pur eclettica scena eighties italiana, con il loro eccitante e brillante mix di garage-rock, punk e dark. La carriera musicale di Dome non si è mai fermata, prima con le infinite formazioni dei Not Moving, poi con MGZ, con i suoi tantissimi progetti in gruppi o da solista fino all’inaspettata semi-reunion con i suoi antichi sodali Lilith e Tony Face nei Not Moving LTD, per chi scrive uno dei migliori gruppi italiani di oggi.
In Dalla parte del torto c’è tutto questo e molto molto altro. Il libro è costruito come una conversazione in presa diretta tra Dome e Pablito el Drito (Pablo Pistolesi), con tutti i pregi e gli inevitabili limiti del caso (il linguaggio leggero e colorito che fa scappare risate spesso e volentieri da un lato, lo stile un po’ piatto e qualche refuso di troppo dall’altro).
Il lettore è così accompagnato in un viaggio nella controcultura italiana dagli anni ’70 ad oggi. Mille sono gli episodi memorabili, da quando i Not Moving aprirono per i Clash o quando fecero il tour con Johnny Thunders, al mitico concerto hard-core con i CCM e tanti altri gruppi punk toscani nella chiesa sconsacrata di San Zeno a Pisa, dalla collaborazione con il poeta Cheyenne Lance Henson ai rave illegali, fino all’incontro con la divina Nico, che fu ospite in casa di Dome pasteggiando a pasta al pomodoro e Amaretto di Saronno.
Va bene l’etica e l’estetica del “no regrets”, ma l’amaro in bocca – se non si vuole parlare di rimpianti – per le occasioni perdute da Dome monta di frequente leggendo queste pagine. Dall’ostracismo dei Not Moving da parte dei funzionari Rai, all’occasione mancata di diventa¬re il chitarrista di Vasco Rossi, la vita di Dome e di tutti i suoi straordinari compagni di viaggio è stata spesso sul punto di cambiare radicalmente verso il successo vero.
Va dato atto a Dome di non essersi mai arreso e soprattutto di non vivere ricordando i bei tempi andati. L’arte e l’esistenza tutta di Dome La Muerte sono proiettate nel presente, se non addirittura nel domani. Onore a questo libro per aver restituito fedelmente il ritratto di una vera leggenda alternativa. Qualcuno diceva “it’s only Rock ‘n’ Roll…but I like it!”.
Info: https://www.facebook.com/dallapartedeltorto.unastoriahippiepunkrave
di Christian Dex
Libertà, 27 dicembre 2020Per sempre dalla «parte del torto». Cadute e risalite di Dome il ribelle
Con Domenico, in arte Dome la Muerte, ho condiviso tante esperienze, non solo musicali, a suoi fianco nei Not Moving ma anche a livello umano. Dome è l’epitome di quello che sta accadendo a migliaia di musicisti, artisti, attori, operatori dello spettacolo in tutta Italia e in tutto il mondo. Ne abbiamo ripetutamente parlato in queste pagine di quanto la pandemia sia stata letale per certe categorie.
Dome ha sempre lavorato nella musica e con la musica e ovviamente ora, da una decina di mesi, si trova completamente appiedato. Una cordata di amici ha fatto appello alla Legge Bacchelli, un sussidio riservato agli artisti in difficoltà, ma è cosa ardua per chi ha sempre navigato nei flutti del rock’n’roll, materia raramente riconosciuta a livello istituzionale. In tanti gli stanno dando una mano. Ebbene, per chi vuole saperne di più sulla sua particolare storia artistica e umana c’è ora un’autobiografia, Dalla parte del torto edita da Agenzia X e scritta in coppia con Pablito el Drito. La chiusura del libro dice tutto «Io al domani non ho mai pensato, ho sempre vissuto in un eterno presente, con una tensione diretta alla realizzazione dei miei sogni e alla ricerca di un senso di giustizia, equilibrio e bellezza che ho sviluppato nella mia adolescenza turbolenta e ribelle. […] Posso dire di avere sempre vissuto le cose fino in fondo, senza compromessi, rifuggendo la notorietà, e non ho nulla da rimpiangere, anche se ora ne pago le conseguenze. […] Ogni iniziativa che va in direzione della sostenibilità e della giustizia sociale va sostenuta con anima e corpo per far sì che questo mondo non sia un parco giochi per pochi ricchi sempre più ricchi, ma un luogo dove tutti quanti abbiano lo spazio per vivere con dignità, nel rispetto delle differenze, della libertà e dei desideri dei singoli.»
Una vita vissuta a 200 all’ora, senza freni, con scelte difficili e definitive, dalle quali non si torna indietro. Dome le ha fatte da metà degli anni ’70, abbracciando l’etica e l’estetica hippie, saltando nel punk, virando verso l’hard rock, tornando al rock’n’roll, senza dimenticare la techno e i rave. In mezzo impegno politico, sociale, in prima linea, sempre, ovviamente, dalla parte del torto. Non ci risparmia nulla: botte, droghe, sesso, disastri, cadute, risalite, Aneddoti incredibili. Per una storia incredibile.
Antonio Bacciocchi
www.satisfiction.eu, dicembre 2020Dome La Muerte e Pablito el Drito. Dalla parte del torto
Nel corso di questi ultimi anni, abbiamo assistito ad un moltiplicarsi considerevole delle monografie dedicate ai cosiddetti cult hero della scena Rock, le quali, non di rado, hanno contribuito alla riscoperta, se non alla scoperta tout court da parte delle nuove generazioni, di artisti che, seppur rimanendo confinati in una nicchia di popolarità underground, sono stati comunque in grado di scrivere pagine indimenticabili nella storia e nel costume del genere. Questo fenomeno, fortunatamente, ha interessato anche l’Italia, dove alcuni coraggiosi pionieri dell’elettricità più selvaggia, dopo una militanza umana e artistica durata decenni, sono finalmente protagonisti di pubblicazioni che rendono il giusto omaggio a meriti acquisiti sul campo in un contesto umano e di possibilità, diciamolo, molto più complicato rispetto ai “soliti” Stati Uniti o alle terre d’Albione. In Dalla parte del torto (Agenzia X, 2020, pp. 238, € 15), Domenico Petrosino, meglio conosciuto come Dome La Muerte, ci racconta insieme a Pablito el Drito la sua lunga avventura sopra e sotto un palco, ma, soprattutto, ci consegna una picara perla di storia su una scena, quella appunto del rock italiano non mainstream, che non si finisce mai di conoscere e apprezzare. La Muerte, noto soprattutto come chitarrista e cofondatore dei seminali Cheeta Chrome Motherfukers nella seconda metà degli anni Settanta e poi come la sei corde degli altrettanto storici Not Moving (oggi Not Moving LTD) nel decennio successivo, ci guida nei meandri di un’esistenza funambolica che ha come quinta scenografica non certo le luccicanti colline di Los Angeles o i cieli grigi e densi di Londra, ma, quasi sempre, i colori un po’ anonimi (ma molto più caldi per molti di noi) della provincia italiana. A partire da quelli che coloravano i dintorni di Pisa quasi mezzo secolo fa, quando già il semplice passeggiare per strada con lunghi capelli a lambire la schiena o indossare un certo tipo di giacca di pelle potevano metterti nei guai. A maggior ragione se eri figlio di un divisato e i taciti “costumi” dell’epoca ti avrebbero imposto ben altro contegno per non recare disdoro all’onore paterno. Ma certe vocazioni, si sa, riescono a vincere qualsiasi temperanza e magari si manifestano attraverso l’imperscrutabilità di un banale accidente, nella fattispecie una fastidiosissima scoliosi che, a causa di una necessaria ingessatura per essere curata, impedisce ad un aspirante trombettista di accumulare abbastanza aria nei polmoni e lo spinge a gettarsi sulla chitarra. E poi la scoperta di Hendrix, dei GranFunk Railroad e soprattutto del punk, che nella Piazza Garibaldi del capoluogo toscano ha il potere di accomunare in un risicato quadratino di spazio un drappello di ragazzi per i quali ogni giorno si trasforma in un’occasione per conoscere qualcosa di nuovo di sé e per sperimentare sulla propria pelle la difficoltà di allargare gli orizzonti, per immaginare un futuro diverso da quello sempre tristemente prospettato in classe o a casa. Ecco allora aprirsi davanti agli occhi spazi completamente inaspettati e, soprattutto, comparire un’esigenza di esprimersi in un modo personale, non allineato. Magari dentro pollai trasformati in sale prove o in scalcinati cine-teatri dove, non di rado, sei costretto a smettere di suonare perché lo sparuto pubblico presente non capisce cosa stai suonando o qualcuno arriva a staccare la corrente. Il racconto di La Muerte è per buona parte della prima metà del libro il racconto di un’Italia che oggi si farebbe fatica anche solo a immaginare. Un’Italia in qualche modo segreta ma davvero “in rete”, fatta di passaparola che senza un briciolo della potenza mediatica di cui si dispone nell’anno di grazia 2020, era in grado mettere insieme in tante piccole realtà sotterranee centinaia di giovani affamati di forme altre di contatto, di vita. Senza dubbio più genuine, senza dubbio meno irreggimentate. Da plasmare con le tasche vuote, ma con i cuori pieni e sempre, sempre pulsanti. Come quello del protagonista, che unisce al desiderio di diventare un rocker professionista quello di liberarsi dai retaggi imposti senza spiegazione, affrontando ogni singola occasione di socialità come un evento da non dover mai banalizzare. E, scorrendo le pagine di “Dalla parte del torto”, troverete tanti esempi di questa attitudine, non soltanto quando il nostro avrà la fortuna di incrociare la propria strada con quella di personaggi che hanno marchiato a fuoco il mondo dell’arte e della cultura del Novecento, ma anche quando, perso in qualche landa della sua regione o in giro per l’Europa, si troverà a confrontare la propria ricerca di senso e significato con quella di uomini e donne qualunque. Sarebbe naturalmente un delitto rivelare anche solo qualche nome o qualche particolare di questi incontri, come pure è doveroso tacere sulla celebrazione del rock and roll way of life che La Muerte ha sempre santificato. Basterà sapere che quella del chitarrista toscano è stata e continua ad essere una cavalcata nel wild side della vita che non potrà deludere in alcun modo coloro che si aspettano da un libro rock un “tributo” a certi canovacci esistenziali. Con la differenza però sostanziale di non creare mai una frattura tra eroe e lettore, ma di edificare un ponte empatico sul quale camminare insieme e dall’alto del quale, magari, riconoscere certi splendidi precipizi o respirare certa pulitissima aria buona. Ispirando la quale, forse, alcuni ricordi personali potranno cambiare sapore e diventare assai più dolci. Fosse anche per il sopraggiungere del rimpianto o dell’agnizione della propria innocenza perduta in un’Italia che troppo spesso ci è sembrata un po’ un ghetto senza avergli mai dato una vera possibilità. Per il lettore giovane e appassionato del genere, questa storia viscerale e priva di gonfiature da hype narrativo sarà l’occasione per scoprire che anche dietro casa, nel buco di culo della provincia più estrema, ci sono certe meravigliose strade serpentinate da percorrere a tutta birra, senza che il mondo dei talent e della musica usa e getta possa guastarne la magnificenza. Per il lettore più anziano e magari un po’ fiaccato dalle costrizioni dei tanti conti da far quadrare con lo scorrere del tempo, sarà un invito a prendere un bel respiro, chiudere gli occhi e guardarsi dentro. Non per scudisciarsi con la frusta spesso impietosa della memoria, ma per tornare a vivere anche solo un istante quei fantastici giorni “del vino e delle rose” (come direbbero i The Dream Syndacate) e sentirsi felici di esserci in qualche modo stati.
di Domenico Paris
giornaledellospettacolo.globalist.it, 15 dicembre 2020L’appello in rete: dare la “Legge Bacchelli” al rocker Dome la Muerte
È in corso una raccolta di firme per assegnare al musicista e dj il sostegno per artisti in difficoltà economiche. E un libro di Pablito el Drito racconta la sua vita, il punk e le controculture in Italia

Quando si parla di Dome la Muerte, gli appellativi di eroe, leggenda e icona del rock’n’roll in Italia si sprecano. E se si sprecano, un motivo c’è. Il primo è che il nome di Dome la Muerte è sconosciuto ai più. Perché l’anima più profonda del rock’n’roll, quella che è sperimentazione di forme di vita, che è vita assolutamente libera, senza vincoli né garanzie, è per sua natura ctonia, underground. Si svolge sottoterra, nei cunicoli della notte, nelle nicchie che sfuggono alla visibilità assoluta dello Spettacolo. L’anima più profonda del rock’n’roll non si fa catturare, e soprattutto non si mette in vendita. Si arrischia nell’indipendenza, e accetta il rischio fino in fondo.
Quegli appellativi di eroe e leggenda si sprecano perché Dome ha traversato i territori delle controculture e dell’underground italiano dagli anni settanta a oggi rimanendo fedele a se stesso. Dalla cultura hippie dei primi anni settanta alla rivolta del punk, di cui è stato uno dei personaggi simbolo, fino alla neopsichedelia, all’elettronica e alla cultura rave. Ci sarebbe da spendere anche una parola sull’appellativo di icona, perché la sua figura è inconfondibile, con i suoi lunghi capelli neri, i suoi vestiti di pelle nera, i tatuaggi, il fisico asciutto, la statura alta.
Un gruppo di persone che lo stimano per quanto abbiamo appena detto hanno organizzato una campagna di raccolta firme per chiedere l’applicazione dei benefici della legge Bacchelli, ovvero la concessione di un vitalizio per artisti in difficoltà economica. Dopo una vita libera, Dome ha pochi introiti (nessuno in fase di pandemia), e il vitalizio sarebbe una forma di riconoscenza per uno che, appunto, ha mantenuto una forma di verità esistenziale e artistica senza compromessi. Le firme stanno arrivando a pioggia, per vincere una battaglia che sarebbe storica, visto che mai un musicista rock ha potuto avere un vitalizio. Sarebbe importante anche al di là della figura del Dome, riconoscere la pari dignità degli artisti underground rispetto a quelli della cosiddetta “alta cultura”.
Chi voglia sapere di più sull’itinerario di Dome non ha che da leggere il libro con la storia della sua vita appena uscito per Agenzia X, Dalla parte del torto, nata dai racconti fatti su Skype durante il lockdown a Pablito el Drito, che ha steso la narrazione. Dalla parte del torto (pp. 240, euro 15) non è solo la storia della vita di Dome, ma anche un attraversamento delle controculture underground in Italia dagli anni settanta a oggi. Si inizia con la vita quotidiana di chi si sentiva attratto, in una provincia come Pisa, dall’onda lunga della rivoluzione hippie, dalle pratiche libertarie alla liberazione sessuale all’uso delle droghe, sulla scia dei grandi maestri della beat generation, da Burroughs a Ginsberg. E poi la musica: Dome comincia a suonare la chitarra elettrica, di cui sarà uno dei più importanti nel punk-rock italiano. Poi arriva il punk, e Dome, tra un viaggio londinese e l’altro, mette in piedi un gruppo che farà la storia del punk italiano: i Cheetah Chrome Motherfuckers, meglio conosciuti come CCM.
Ma Dome non è uno uno che si contenta, quando non sente più il thrill, il senso e il piacere nel fare una cosa, molla tutto e se ne va: così, abbandona i CCM prima del tour americano, e si unisce ai Not Moving, sperimentando ancora nuovi territori, in questo caso contaminazioni musicali che esondavano dall’hardcore punk ormai in via di codificazione. E i Not Moving segnano la storia musicale italiana degli anni ottanta. Molti dei musicisti rock dei decenni successivi gli devono moltissimo. Li conoscono negli Usa: Jello Biafra dei Dead Kennedys, per esempio, ha tutti i loro dischi. Aprono il concerto dei Clash al Vigorelli dei Milano, chiamati da Eddie King, grafico dei Clash, che disegna anche il logo dei Not Moving. I Not Moving, però, non faranno mai il “salto”: ancora una volta, per mantenere la propria libertà, per non vendere l’anima, rifiutano il contratto che gli era stato proposta da una major dell’industria musicale.
Parallelo a tutto questo, l’impegno di Dome nella causa dei nativi americani, sterminati dai bianchi e tuttora oppressi da una forma clamorosa di negazione storica. Poi arrivano gli anni novanta, Dome comincia la sua attività come dj, per anni al Baraonda di Massa, dove chi scrive era un habitué, e ha perso ettolitri di sudore ballando ai ritmi del Dome. In quegli anni Dome incontra la musica grunge prima, e poi, soprattutto, l’elettronica, la neopsichedelia, e comincia la sua attività di dj nel vasto mondo dei rave. E poi, la reunion dei Not Moving, con Tony Bacciocchi e Lilith.
Oltre a tutto questo, nel libro ci sono una quantità di storie e di aneddoti potenti, talvolta picareschi e divertentissimi, che meritano una lettura, per percepire la vibrazione di quel mondo che sfugge ai più. Di questo mondo Dome è l’icona che merita, senza dubbio, un riconoscimento adeguato.

Clicca qui per la petizione per la Legge Bacchelli a Dome la Muerte
di Marco Rovelli
tonyface.blogspot.com, 10 dicembre 2020Dome la Muerte / Pablito el Drito - Dalla parte del torto
«Io al domani non ho mai pensato, ho sempre vissuto in un eterno presente, con una tensione diretta alla realizzazione dei miei sogni e alla ricerca di un senso di giustizia, equilibrio e bellezza che ho sviluppato nella mia adolescenza turbolenta e ribelle.... posso dire di avere vissuto le cose fino in fondo, senza compromessi, rifuggendo la notorietà, e non ho nulla da rimpiangere, anche se ora ne pago le conseguenze... ogni iniziativa che va in direzione della sostenibilità e della giustizia sociale va sostenuta con anima e corpo per far si che questo mondo non sia un parco giochi per pochi ricchi sempre più ricchi, ma un luogo dove tutti quanti abbiano lo spazio per vivere con dignità, nel rispetto delle differenze, della libertà e dei desideri dei singoli.»
Basterebbero queste parole che chiudono l'appassionante autobiografia di Dome la Muerte per innamorarsi di questo libro. Una corsa ai 200 all'ora, senza freni, nella vita. Quella che vale la pena di vivere, costi quel che costi. Sono scelte difficili e definitive, da cui non si torna indietro.
Dome le ha fatte da metà degli anni 70, abbracciando l'etica ed estetica hippie, saltando nel punk e nell'hardcore, virando verso lo space hard rock, tornando al rock 'n' roll, senza dimenticare la techno, i rave, il djing estremo. In mezzo impegno politico, sociale, in prima linea, sempre, ovviamente, dalla parte del torto.
Non ci risparmia nulla: botte, droghe, sesso, disastri, cadute, risalite, aneddoti incredibili. Felice, orgoglioso, appagato, di aver condiviso (e di continuare a farlo) tante strade con Dome.
tonyface
Il Tirreno, 24 novembre 2020 Un libro che rende onore e gloria all’anima punk di Dome la Muerte
Un libro per rendere onore e gloria a Dome la Muerte, l’anima più punk che aggira nancora insonne per Pisa.
È uscito per le edizioni Agenzia X il volume dal titolo Dalla parte del torto, scritto dallo storico ed erudito delle controculture Pablito el Drito (Paolo Pistolesi).
“Il Tirreno” ha più volte incontrato Dome la Muerte nella sia casa-studio ed entrando si sbatte subito contro la sua leggenda di carne e di tante ossa con le su foto dileggianti Iggy Pop o in compagnia di Nico, musa di Andy Wharol e dei Velvet Underground.
Ma torniamo al libro che ripercorre con l’ausilio dello stesso Dome un profilo umano e musicale fatto di lotte che trattasse di sane scazzottate pre o post concerto oppure per le battaglie in difesa dei diritti dei nativi d’America. Dome (all’anagrafe Domenico Petrosino) è un leggendario chitarrista che appartiene a quel minuscolo commando di ribelli senza una vera causa. La narrazione è irriverente e corre sul filo del rasoio delle controculture, dalla radiosa stagione hippie alle nichiliste visioni del punk, dai distopici scenari del rave agli ultimi spartiti extrasensoriali del presente. Dome da sempre si è schierato sul fronte dei palchi infuocati e ha più volte afferrato il manico della sua chitarra colpendo in faccia chi voleva inquinare tutto con il business. Migliaia di concerti sudati fino alla disidratazione, estenuanti registrazioni in studio, sostanze psicoattive al limite della sopportazione umana, feste notturne concluse dall’arrivo della polizia, risse, arresti e deliri comunitari, sesso libero, amori stratosferici e incontri cruciali con Allen Ginsberg, Joe Strummer e il poeta militante cheyenne Lance Henson. Pablito el Drito, grande fan e amico di Dome, si affianca a lui per un’opera letteraria che rispetti il selvatico flusso di coscienza e il linguaggio tagliente di Dome.
di Carlo Venturini

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