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Confini, mobilità e migrazioni
il manifesto, 13 giugno 2020 Cartografie contemporanee e ricerche partigiane
La vivace casa editrice Agenzia X manda in libreria due titoli che – pur senza la volontà degli autori – si compendiano e offrono una interessante lettura critica di questioni centrali nel dibattito politico contemporaneo. Una è l’idea di popolo, l’altra l’idea di confine, unite nelle loro decomposizioni, deterritorializzazioni, nuove e mutate ricomposizioni. Dalla lettura intrecciata emergono stimoli utili per la riflessione e le proposte di lotta. Figure centrali che «agiscono» concretamente queste tematiche sono i migranti, i rifugiati, ma anche gli attivisti antirazzisti e no-border; tutti quelli che per necessità o convinzione politica si possono definire soggettività nomadi, planetarie, cosmopolitiche, singolari e molteplici al tempo stesso.
Confini, mobilità e migrazioni. Una cartografia dello spazio europeo, (pp. 268, euro 15 euro), si apre con una incisiva intervista a Étienne Balibar, realizzata da Lorenzo Navone (curatore del volume) e da Federico Rahola: «Ogni classificazione delle popolazioni è arbitraria. Trovo disgustosa la situazione attuale e ammiro chi si oppone ma soprattutto l’ostinazione e il coraggio straordinario dei migranti», sostiene il filosofo francese.
Quella di Balibar è una considerazione che guida i saggi di J. Anderlini, G. Cometti, P. Cuttitta, J. Eczet, F. Foschini, L. Giliberti, C. Heller, C. Kobelinsky, C. Moatti, L. Pezzani, A. Pian, L. Queirolo Palmas, M. Stierl, S.Tersigni, W. Walters, dedicati all’irrigidimento dei confini interni e alla ridefinizione di quelli esterni, nello spazio europeo, e al carattere paradigmatico della condizione e delle esperienze dei migranti. «Un soggetto il cui continuo movimento nello spazio e nel tempo rappresenta una sfida a questo fenomeno di riconfigurazione delle frontiere, che assumono così la dimensione di uno spazio prismatico continuamente prodotto, ovvero, nella particolare prospettiva ‘trialettica’ suggerita da Henry Lefebvre, la risultante conflittuale tra spazi rappresentati, concepiti e vissuti», scrive Navone.
In nome del popolo. Ricerca partigiana transoceanica (pp. 246, euro 15) è invece il titolo del primo numero della rivista planetaria Liaisons, che contiene dodici saggi non firmati, ma condivisi collettivamente, provenienti da varie parti del mondo. «Siamo nati in un’era di separazioni, alle soglie dell’inabissamento di un secolo stanco. La nostra eredità politica non è figlia di alcun testamento», scrivono gli autori, citando il René Char di Fogli d’Ipnos, e quindi mostrando che pur non avendo genealogie non rinunciano a riferimenti importanti. Liaisons si pone un obiettivo ambizioso: «dar voce a una comune sensibilità, a un certo modo di porsi domande dentro il tempo della fine». E su questo primo numero afferma: «È necessaria un’attenzione alle storie particolari, a come si presentano e ripresentano all’interno di determinati contesti». A partire dai percorsi politici locali, la rivista intesse una trama di prospettive che si allontanano dalle politiche rivendicative e governamentali. Québec, Ucraina, Messico, Giappone, Libano, Stati Uniti, Corea del sud, Francia, Catalogna e Italia, sono i Paesi analizzati.
Senza dubbio i saggi dedicati alla situazione del Québec e della Catalogna sono i più interessanti perché mettono il dito nella piaga del vetusto rapporto lingua-popolo-stato e sull’inutilità, in una logica innovativa e libertaria, di concetti quali «nazioni» e «sovranità». Occorre denaturalizzare questi concetti, situarli nel contesto storico ed economico, chiedersi che cos’è un’identità, come si costituisce. In questa maniera sarà evidente la loro non-originarietà: non sono sempre esistiti, la loro invenzione deve essere smascherata. Basta guardarsi sotto i piedi, l’essere umano non ha radici e se fosse identico a ciò da cui origina avrebbe ben poco da gloriarsene. Le uniche radici umane che ci interessano sono quelle dello sradicato che cerca il contatto continuo con l’aria per purificarsi da tutte le ignominie del particolarismo, del familismo, del tribalismo, del culturalismo differenzialista e di ogni posticcia identità. In altri termini i due titoli riprendono ciò che Giorgio Agamben scriveva in un piccolo libro di molti anni fa a proposito della «comunità che viene»: essere «senza più presupposti né condizioni di appartenenza, esodo irrevocabile dallo Stato, costruzione di un corpo comunicabile».
di Marc Tibaldi

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