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di Daniele Barbieri
di Carola Frediani
il manifesto, 13 agosto 2013
La rivoluzione o la rivolta non si fanno con Twitter, come è stato sostenuto con le primavere arabe. Il social network ha però il potere di veicolare punti di vista ostili al potere. Un volume sul suo uso politico
Il sapere, è noto, non è fatto per comprendere ma per prendere posizione. Un’affermazione che sembra tanto più vera quando ci si ritrova tra le mani Blitzkrieg Tweet. Come farsi esplodere in rete, l’ultimo libro di Francesco De Collibus (Agenzia X, pp. 136, euro 12): dalla sua lettura, statene certi, trarrete spunti preziosi per decidere come schierare le vostre truppe sul campo di battaglia dell’informazione.
Una premessa è doverosa. L’autore (filosofo, informatico e animatore di spinoza.it) non ha dato alle stampe l’ennesimo manuale di guerriglia marketing. O almeno, non sembra essere stato mosso da quest’unico intento. Certo, il libro è denso di suggerimenti su come concepire le vostre bombe mediatiche, influenzare l’opinione pubblica e «incendiare» il terreno della comunicazione (possibilmente senza farvi terra bruciata intorno). Ma allo stesso tempo, sotto la superficie delle 130 gustose pagine pubblicate da Agenzia X scorre come un fiume carsico una stimolante riflessione sulla rete, le ambivalenze dei fenomeni sociali che l’attraversano e i pericoli che ne stanno mettendo a repentaglio la libertà.
L’obsolescenza dei media
Ma cosa hanno in comune Twitter e la guerra lampo? Molto, se si considera che la velocità negli scenari di conflitto è un fattore in grado di mutare profondamente i connotati dei fenomeni bellici e dei sistemi di comunicazione. Così come l’adozione della blitzkrieg da parte delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale aveva reso inefficace la mastodontica linea Maginot costruita dai francesi, allo stesso modo, sostiene De Collibus, la rete e i fenomeni ad essa connaturati (mentalità quantistica, disintermediazione, istantaneità e partecipazione del pubblico al processo informativo) hanno reso obsolescenti quelle fortezze comunicative broadcast (televisioni, quotidiani e radio) che il potere aveva posto fino ad oggi in sua difesa.
Attenzione. Non siamo di fronte all’ultimo di una lunga lista di intellettuali folgorati sulla via del tecno entusiasmo internettiano. L’approccio dell’autore è olistico – tecnologia e sociologia in rete «procedono di pari passo» – e rifugge quella sciocca lettura neopositivista di Internet, destinata inevitabilmente a sfociare nell’apologia liberale delle twitter revolutions o nell’annuncio della distopia orwelliana.
De Collibus non conosce il futuro. Non è venuto a dirci come andrà a finire. Sa solo che è già cominciato e che non saranno né macchine, né algoritmi a scriverlo per noi. L’accelerazione prodotta dalla rete e dai social media infatti racchiude in sé tanto la possibilità di aprirci nuovi orizzonti inesplorati quanto quella di confinarci in asfissianti recinti d’informazione. Il passo tra swarm intelligence e clicktivism (l’attivismo pigro fatto a colpi di like dalla poltrona di casa) è breve, ma sta solo a noi trovare il modo di non scivolare nel secondo. Per farlo è però necessario comprendere quali forze agitano la rete («un costrutto semiumano, nato dall’interazione tra l’uomo e la tecnologia») e come l’esperienza mediale digitale permea e modifica le nostre capacità cognitive e sensoriali.
Il libro è diviso in due capitoli. Il primo si occupa di tattica, ovvero di quei principi da attuare quando la guerra è già cominciata. Quali sono le regole per influenzare la spirale delle decisioni collettive e far sentire la propria voce sui social media? Dall’osservazione empirica di diversi campi di battaglia – come la guerra di propaganda scoppiata in rete tra Israele e Hamas nel novembre 2012 o la disfatta di Letizia Moratti alle ultime amministrative milanesi – De Collibus ne deduce principalmente due. La prima prende le mosse da una constatazione elementare ma essenziale: quella per cui il rumore di fondo della rete, l’incessante scorrere di notizie, immagini, video, tweet e aggiornamenti di stato, sta progressivamente riducendo la soglia di attenzione degli utenti. È pertanto necessario cogliere con prontezza le occasioni che ci si parano di fronte per far esplodere tempeste d’informazione sulle teste dei nostri avversari. Ma per riuscirci (ecco la seconda regola) dobbiamo rivolgerci al pubblico giusto. Questo perché nel web 2.0 ogni messaggio non viene più definito solo dal suo significato ma anche e sopratutto dal processo di significazione collettiva alla base della sua trasmissione. Nessun contenuto può cioè esistere in rete se non viene mediato e moltiplicato da un processo distribuito di cooperazione sociale e di condivisione dell’informazione. Per attivarlo bisogna saper interagire coi diversi attori che costellano l’ecosistema di rete (tra cui influencers e media tradizionali), fare comunità e trasformarsi in hub, ovvero punti di raccordo tra mondi ed isole nella rete.
La trappola del «recentismo»
Attenersi ai principi enunciati da De Collibus permette di vincere le battaglie. Non ottemperarvi significa condannarsi all’irrilevanza, che in rete è sinonimo di rovina. Ma non illudetevi: ideare hashtag, ricorrere alla memetica, organizzare petizioni o creare eventi su Facebook non vi garantirà il successo finale. Prima di scendere sul piede di guerra, anche nel web, è necessario predisporre un’adeguata pianificazione, tema che copre la seconda parte del libro dedicata alla strategia.
Come muoversi nel caos che è condizione naturale della vita on-line? Qual è il modo migliore per veicolare un messaggio, quando la struttura stessa della conoscenza è oggetto di un profondo processo di trasformazione sotto la spinta dell’overloading informativo e della logica del cloud computing? In che modo tenere alto il livello del dibattito in rete senza cadere nella trappola del recentismo, cioè nell’eterno presente privo di prospettive storiche che caratterizza i social media? Come non rinchiudersi nelle cerchie viziose dell’omofilia (l’inclinazione a parlare solo con chi ci somiglia) che trasformano il mare magnum della rete in un acquario stagnante? Quali sono gli archetipi narrativi più efficaci per coinvolgere il pubblico? Questi ed altri argomenti sono affrontati dall’autore, con l’intento di elaborare una metodologia idonea per far esplodere la rete coi propri messaggi.
I padroni del silicio
A dispetto della vena ironica che scandisce piacevolmente il ritmo della lettura, il libro esplora questioni piuttosto serie ed attuali. Tra i suoi pregi principali c’è quello di ricordare che nel web non siamo semplici utenti ma veri e propri nodi della rete, in grado di dirottare i flussi d’informazione e senso che l’attraversano. L’autore ha poi la capacità di mettere a fuoco in modo brillante gli elementi da cui sono scaturite esperienze vincenti di comunicazione politica in rete – Wikileaks e Anonymous, per esempio – la cui forma d’organizzazione, aperta e molecolare, è stata in grado di connettere porzioni di società molto differenti tra loro.
Chiuso il libro sorge però una considerazione. Se in linea teorica è vero che siamo attrezzati per sfondare la linea Maginot del tiranno (ovvero i media broadcast generalisti) è altrettanto vero che lo scontro con i nuovi padroni (le internet companies della Silicon Valley) ci vede al momento quasi del tutto sguarniti. Google e le altre major della Rete infatti si candidano appieno al ruolo di novelli broadcaster in quanto oligopolisti del mercato dell’information and communication technology, supernodi di internet ed interfacce costitutive della comunicazione sociale. Fatti che, più che alludere a processi di liberazione o empowerment dell’individuo, indicano semmai un’enorme concentrazione di potere (come testimonaia l’affaire Prism) nella mani di pochi soggetti privati che hanno cristallizzato nel mercato globale alcune funzioni politiche un tempo monopolizzate dallo stato-nazione.
È il sigillo finale sulla storia di internet? Assolutamente no, perché questa, proprio come il libro di De Collibus, non ha ancora una conclusione. Niente è per sempre e dietro l’angolo ci aspettano incredibili futuri non lineari. Siamo noi ad essere la vera ricchezza della rete. E una rete libera sarà sempre possibile fino a quando saremo disposti a lottare per essa. Come direbbe Aaron Swartz: vuoi essere dei nostri?
di Pizio Daniele
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di Bertram Niessen
Perché la dedica ad Aron Swartz? E ad Antonio Caronia?
Swartz è il santo laico patrono del libro. Da una nuvoletta ultraterrena di libertà digitali egli veglia su di noi e ci protegge mentre lottiamo per tenere la rete libera. Caronia è il maestro che ciascuno di noi rimpiangerà tutta la vita di non aver avuto, nume tutelare delle controculture milanesi e non. Antonio è venuto a mancare proprio mentre il libro si chiudeva, e ci sembrava doveroso ricordarlo.
Perché iniziare il libro con l’epilogo e chiudere con il prologo?
Perchè la rete è un percorso ininterrotto, privo realmente di un inizio, e di una fine. Le cose in rete non seguono le regole aristoteliche della narrazione, ma maturano come le forme organiche. Dobbiamo imparare a stravolgere il nostro punto di vista per interagire al meglio con la rete. Quindi ho ritenuto utile operare questo piccolo giochino di inversione. Si inizia con la fine del vecchio, si conclude con l’inizio del nuovo.
Con quali criteri ha scelto i cinguettii riportati nel testo?
Ho volontariamente selezionato episodi alti, famosi, celebri (come il caso della finta blogger lesbica a Damasco, o del regista di Kony 2012 Jason Russell) con altri meno celebri, e più quotidiani, di quelli che possono capitare a chiunque. La mia tesi di fondo è che le dinamiche in gioco, sia nei momenti alti che in quelli meno celebri, siano esattamente le stesse, e mi auguro che questi esempi lo dimostrino. In rete non c’è un alto e un basso, ma un continuo ripetersi di dinamiche sociali.
Facciamo qualche esempio pratico dei contenuti. È interessante la teoria del «follow the money». Ce la spiega?
In realtà è un concetto piuttosto di buon senso: se vuoi affermarti in qualsiasi campo devi avere dei modelli da seguire, delle fonti di ispirazione che siano in grado di guidarti. «Follow the money» vuol dire che se vuoi diventare popolare in rete, ti conviene capire cosa ha fatto chi popolare lo è già. Senza scimmiottare le twitstar, bisogna però comprendere che i meccanismi che regolano la celebrità in rete, da Kim Kardashian fino al meno seguito degli account sono basilarmente le stesse.
Secondo lei che futuro c’è per Twitter? Come si evolverà?
Twitter è ormai insieme l’ufficio stampa del pianeta e uno strumento per creare eventi e aggregazione.Trovo difficile immaginare uno stravolgimento della piattaforma o una sua radicale evoluzione, anche se si continuano a fare esperimenti, l’ultimo dei quali è il servizio di video Vine. Credo che il social network espanderà la propria base utenti e la propria adozione, ma resterà essenzialmente ciò che è ora.
E Facebook?
Facebook si sta muovendo per coprire una gamma di servizi sempre più completa. Ormai essere connessi su Internet vuol dire essere loggati su Facebook. Tuttavia credo che il suo core business resterà fornire e garantire identità digitali e trasferire reti sociali in differenti contesti applicativi.
Come immagina saranno tra dieci anni le dinamiche della socialità in rete?
Se nel 2003 ci avessero descritto il mondo di oggi, saremmo sbottati in una sonora risata. Per citare il motto del Founders Fund di Peter Thiel: «We wanted flying cars, instead we got 140 characters» («volevamo macchine volanti, invece abbiamo 140 caratteri», ndr). Trovo che rispetto alle rivoluzioni che ogni giorno accadono in rete, il livello di riflessione sociale sia rimasto clamorosamente indietro. Questi saranno ricordati come gli anni più tumultuosi della storia umana, a livello di cambiamenti negli strumenti e nella mentalità della comunicazione. Interfacce uomo macchina sempre attive come Google Glass offrono un buono spunto di come saranno questi strumenti social nel futuro a medio o lungo termine. Non saremo noi a essere su Facebook, o comunque si chiamerà in futuro questo strumento social. Sarà lo strumento social a essere sempre con noi e ad assisterci in tutto quello che facciamo.
di Marco Morello
di Raffaele Mauro
di Pablito el drito